Ciao, bentrovate e bentrovati!
Innanzitutto devo delle scuse. La newsletter è rimasta ferma più del dovuto, non era previsto, è però successo per cause di forza maggiore. Nel frattempo ho scritto cose per Humans vs Robots. L’argomento di questa puntata non è inedito per Mookie, ma visti i recenti sviluppi nelle vicende americane, i sondaggi (poco lusinghieri) sui primi 100 giorni del secondo mandato di Donald Trump e il recente guazzabuglio dei dazi, mi è sembrato appropriato tornarci su.
Alcune settimane fa hanno destato scalpore le parole di Dody6 pronunciate durante una live su Instagram. Per chi non sapesse di chi stiamo parlando, Dody6 è un rapper dell’area di Los Angeles, venuto alla ribalta per la sua partecipazione in GNX di Kendrick Lamar, nello specifico in hey now. Rispondendo a quanti gli chiedevano in che modo la sua vita, artistica e personale, avesse beneficiato dell’opportunità di rappare al fianco di un gigante dell’hip hop, Dody6 ha sostenuto di non aver tratto dall’esperienza alcun vantaggio e di essere, all’opposto, un senzatetto. Se l’è presa in parte anche con Lamar, con il quale si è poi scusato in un successivo momento. Ma non è questo il punto. Il fatto è che la sua testimonianza ha in qualche misura riacceso i riflettori (non che ce ne fosse reale bisogno) su un tema che è centrale negli Stati Uniti: la povertà. Una situazione emergenziale e all’apparenza illogica in una delle nazioni più ricche del mondo, per di più in uno Stato – la California – che è ora la quarta economia mondiale, ma in questo senso anche uno dei più contraddittori. Nel complesso l’America presenta enormi squilibri nella distribuzione della ricchezza, anche se forse non è la condizione di Dody6 il migliore esempio per definire la portata del problema. Al limite può stupire che un rapper, in teoria in rampa di lancio, se la stia passando tanto male. Ma anche questo, in tutta evidenza, è un altro discorso.
I’m a different type of trophy, baby girl, I’m rose gold
– Kendrick Lamar feat. Dody6, hey now, 2024
Soprattutto negli ultimi anni, il dibattito sulla povertà in America si è trasformato in un genere letterario a parte. È stato persino il coefficiente dell’ascesa di un personaggio come J. D. Vance, oggi vicepresidente. È successo perché lo spaccato maggioritario e storicamente più privilegiato del paese ha scoperto le conseguenze nefaste dell’essere poveri, o comunque non abbienti come ci si aspetterebbe, richiamando alla memoria scenari nostalgici e tramandati di quando tutto ciò era appannaggio di altri. Entrare in competizione – concedetemi questa orribile espressione – con gruppi sociali “normalizzati” in una presunta entità di rango inferiore ha mandato in tilt gli schemi precostituiti, accrescendo le tensioni sociali. Altrove, al contrario, le circostanze migliorano ad un ritmo troppo lento, mettendo perciò in discussione vecchi convincimenti di natura politica. È la solita solfa del “qui è un magna magna”, ma in salsa BBQ.
Ciao, di nuovo. Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera. Per contribuire al progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola, un caffè. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!
Per i cittadini americani le faccende legate all’economia sono prioritarie. La regola vale durante le campagne elettorali e vale anche dopo. Nonostante l’andamento dell’inflazione abbia mostrato miglioramenti significativi rispetto al periodo 2022-2023, per molti rimane la principale preoccupazione. Donald Trump che allude all’età dell’oro (lo ha fatto all’insediamento e ancora in occasione dei primi 100 giorni alla Casa Bianca, durante un comizio in Michigan) soffia sul fuoco della sua stessa oratoria, costellata di dazi e fantasiose soluzioni economiche, che – a sentire le voci più esperte in materia – potrebbero far lievitare i prezzi un’altra volta. Senza contare che *questa* è l’unica golden age legalmente riconosciuta in America, il Pil ha intanto registrato una lieve flessione nel primo trimestre dell’anno.
Non che c’entrino i dazi, per adesso. O almeno non in maniera diretta. Ma la girandola di minacce/annunci, i calcoli approssimativi, la sospensione, la garanzia di implementarli sul serio se le cose non dovessero andare secondo i piani (e moltissime di queste non andranno secondo i piani, è inevitabile) e le “scaramucce” commerciali con la Cina, di sicuro non aiutano (intanto la fiducia dei consumatori è crollata ad aprile). E può sembrare un affare di scarso rilievo per le persone che vivono nell’America “profonda”, qualsiasi interpretazione vogliamo darle, ma come è stato per l’inflazione qualche tempo fa, anche i dazi potrebbero pesare maggiormente sulle minoranze.
‘Cause where I come from
Everybody frowns and walks around
With that ugly thing on their face
And where I come from
We work hard and grind and hustle all day– Brittany Howard, Stay High, 2019
Negli Stati Uniti i neri stanno vivendo le condizioni economiche più positive da generazioni – affermano il Center for Economic and Policy Research e il Joint Center for Political and Economic Studies –, eppure non è abbastanza. D’accordo i progressi, osservano i due istituti, ma permangono divari talvolta spropositati in relazione a reddito e occupazione. Per non parlare delle differenze – analizzate da studiosi come Matthew Desmond – che emergono tuttora a livello abitativo, una discrepanza che il paese si trascina dall’adozione, nel secolo scorso, di politiche residenziali vessatorie a scapito di determinati gruppi sociali.
Lo smantellamento promosso dall’amministrazione Trump di USAID, l’agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, ha inoltre paventato l’ipotesi di una lotta allargata ai programmi di assistenza sociale, quali Medicaid e SNAP (quest’ultimo noto come food stamps, su cui è possibile che il governo americano intervenga qua e là), nel timore che i repubblicani più intransigenti – va detto che fin qui Trump è apparso invece più prudente – possano mettere mano su misure storiche, o su analoghe iniziative, perché ritenute uno spreco di risorse.
Che l’hip hop sia il megafono degli ultimi, di chi compie la propria esistenza ai margini, eccetera, è un modello abbastanza superato, non fosse altro che la sua proficua espansione lo colloca ora su una dimensione parallela, che è tutto tranne che misera. Per dirla un po’ meglio di così: oggi è meno scontato che i racconti dell’hip hop arrivino ovunque, con la medesima intensità. Ma l’esperienza di Dody6 è sintomatica di quanto sia spinoso generalizzare, in una direzione o nell’altra. E poi va sempre tenuto conto della posizione di partenza. Perciò non stupisce se ancora negli ultimi anni l’immagine dei food stamps è stata utilizzata dagli artisti hip hop quale tropo narrativo per descrivere diverse sfaccettature della vita nelle comunità a basso reddito, da Kendrick Lamar a Lupe Fiasco, da Future ai Brockhampton. Una raffigurazione in alcuni casi stereotipata, ma evocativa di una connessione tematica e contestuale, come lo fu in passato per Ol’ Dirty Bastard, già nella cover del suo disco di esordio del 1995, Return To The 36 Chambers: The Dirty Version, o anche in precedenti pezzi “funkeggianti”. Un modo, insomma, per consolidare identità e senso di appartenenza, oppure per evidenziare l’antagonismo tra povertà e aspirazione alla ricchezza.
From food stamps to a whole ‘nother domain
Out the bottom, I’m the livin’ proof– Future, Mask Off, 2017
American Dream
La povertà non è mai una condizione fine a se stessa, da cui si può uscire con la sola forza di volontà. È in primo luogo la privazione di accessi: accesso a un’istruzione di qualità; accesso alle cure mediche; accesso ad alloggi sicuri; accesso a cibo sano e nutriente. In compenso è la porta d’ingresso, potenziale, a una lunga serie di storture che dopo anni di Mookie è quasi inutile elencare e di cui l’incarcerazione di massa, per esempio, è il fenomeno appena più vistoso. Solo che da qualche decennio alcuni segmenti di popolazione bianca hanno sperimentato circostanze molto simili, seppure da angolazioni diverse.
Alla fine la dinamica della povertà è altrettanto brutale. Rappresenta una perdita di identità individuale e collettiva, dovuta alla drastica riduzione del lavoro industriale, capace – prima – di assegnare un posto consolidato nel mondo. È la disperazione che alimenta la piaga degli oppioidi, decimando numerose comunità locali. Tale scenario, per anni, ha contribuito a un nuovo grado di invisibilità, illustrato da rapper come Eminem o Logic. Il guaio è che per molte persone si è tradotto in una guerra, appunto, tra poveri. Un conflitto di interessi, che sfocia nei diritti, nelle crociate anti-woke, nella polarizzazione politica. Non c’è responsabilità nei testi di Eminem o Logic (i quali, anzi, hanno manifestato pareri avversi su Trump e dintorni), ma l’idea di “white privilege” viene in ogni caso rifiutata con veemenza e lascia spazio a un rancore diffuso. È qui che entra in gioco il ri-eletto presidente degli Stati Uniti.
N***** don’t like Donald Trump, but they wanna politic
– Ray Vaughn feat. LaRussell, LOOK @ GOD, 2025
La cerimonia di inaugurazione della seconda amministrazione Trump è avvenuta il 20 gennaio, nel lunedì in cui si è celebrato il MLK Day, servendo al reinsediato inquilino della Casa Bianca il pretesto per l’audace promessa «di rendere il sogno di Martin Luther King realtà». La prospettiva di Trump di una società colorblind viene considerata da molti come uno specchietto per le allodole, il tentativo, cioè, di mascherare problemi atavici degli Stati Uniti attraverso il ricorso ad una retorica tanto unificante in superficie quanto effimera nella sostanza. Ne è prova la scomposta demolizione dei programmi DEI, mentre l’idea della giusta attribuzione al merito – alla base della decisione – sarebbe un’argomentazione fallace1 e mirante a strumentalizzare la figura di MLK.
La visione di Martin Luther King sul contrasto alla povertà si sviluppava in termini di giustizia sociale, il che rende velleitario qualsiasi sforzo di superamento delle barriere razziali se le politiche inclusive vengono perlopiù osteggiate, ma siamo a conoscenza del tipo di cortocircuito, fatale per i democratici, che si è innescato in America. La narrazione colorblind di Trump – affine ai pretestuosi ideali di un “mondo bianco” – è inoltre distante dal compromesso obamiano, che non ha prodotto granché, ma che pure era costretto a galleggiare a causa degli attacchi (spesso strumentali anch’essi) che venivano rivolti all’allora presidente da entrambi i lati, un po’ per gli scontati istinti reazioni e un po’ per la mancata realizzazione di una società post-razziale2. Può fare uno strano effetto riascoltare il Vince Staples di una decina di anni fa.
Know when change gon’ come like Obama would say
But they shootin’ everyday ‘round my mama and them way– Vince Staples, Norf Norf, 2015
Fa effetto perché sono spunti reiterati e fuori dal tempo, da film in stile Boyz n the Hood, che oggi ritroviamo in rapper come Ray Vaughn, al suo primo progetto con la TDE, The Good, The Bad, The Dollar Menu.
Age of fourteen, I was doin’ my own thing
But mama I’m hungry
‘Cause last night I had sleep for dinner
And my consciousness еats way more than me– Ray Vaughn, DOLLAR menu, 2025
Siamo ancora lì, in definitiva. Ma se non altro abbiamo un nuovo artista da tenere sott’occhio.
🔎 Altre cose interessanti
Sono successe parecchie cose dall’ultima volta che ci siamo sentiti, ma siamo già andati lunghi, perciò badiamo al sodo. Gli Outkast sono entrati nella Rock & Roll Hall of Fame, in compenso i “soci” Goodie Mob si stanno per sciogliere. È cominciato il processo a Sean “Diddy” Combs.
Consigli di lettura e di ascolto. Elena Milanesio (qualcuno ricorderà quando insieme realizzammo una puntata di Mookie incentrata sull’omicidio e sulla figura di Emmett Till) ha da poco pubblicato Black Style, un podcast dedicato alla storia del costume afroamericano, partendo dal Black Dandyism, tema del MET Gala 2025, che si è tenuto il 5 maggio.
Dopo Unsupervised, è tornato in pista – ed è un piacere ogni volta – anche l’amico Fabio Negri, stavolta con Speakeasy, una newsletter che si crede un podcast (cit.) sulle narrative del jazz. Il primo episodio è imperdibile.
🖋️ Cose scritte altrove
Per Humans vs Robots, ho scritto della causa di Drake contro UMG…
…delle attuali mille vite di Snoop Dogg…
…e infine del processo a Sean “Diddy” Combs.
Grazie al solito di aver letto fino in fondo. Ora la sfida sarà tornare alla regolare pubblicazione di Mookie, ma ci proveremo con l’entusiasmo di sempre.
Un caloroso abbraccio anche alle nuove iscritte e ai nuovi iscritti ❤️.
La playlist della newsletter è pronta: non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, scrivermi su Instagram, su Threads o su Notes. Se Mookie vi piace, mandate il link ad amici e parenti! La foto di copertina nella versione web della newsletter è di Milan Cobanov su Unsplash.
A presto!
Sul merito consiglio questa interessante lettura.