L’hip hop nacque nel 1973. Una manciata di mesi prima, a New York, Roy C produsse un brano per una giovane band di musica funk della Jamaica High School, The Honey Drippers. Il pezzo era Impeach The President, uscito nel pieno dello scandalo Watergate, che costrinse Richard Nixon alle dimissioni l’anno seguente. Impeach The President diverrà poi, su impulso di Marley Marl – il produttore che negli anni ‘80 porterà l’arte del sampling ad un livello superiore –, uno dei pezzi più campionati nella storia dell’hip hop.
Some people say that he’s guilty
Some people say I don’t know
Some people say, give him a chance
Some people say, wait till he’s convicted– The Honey Drippers, Impeach The President, 1973
Nel gennaio del 1993, a 20 anni dalla pubblicazione di Impeach The President e dalla nascita dell’hip hop, LL Cool J diventò il primo rapper a salire sul palco della cerimonia di insediamento di un presidente statunitense.
Pochi giorni fa Donald Trump è tornato alla Casa Bianca. Nelle settimane precedenti l’ultimo saluto a Jimmy Carter. Questi due eventi hanno perciò stimolato una ripresa dell’attività di Mookie molto “presidenziale”, facendo tornare alla memoria eventi del passato, in particolare del biennio 2004-2005 che, per quanto diversissimo dal periodo 2024-2025, potrebbe presentare elementi in linea con l’attualità. Oppure no: i prossimi mesi ci diranno tantissimo di come la società americana sia cambiata nel frattempo, almeno nelle sue porzioni più significative.
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Black Music Appreciation Month
L’hip hop è stato concepito sotto l’amministrazione Nixon. Ha cominciato a muovere i primi passi con Jimmy Carter; si è radicalizzato, trovando peraltro uno sbocco commerciale (un’apparente contraddizione in termini), con Ronald Reagan; è infine esploso con George H. W. Bush e con Bill Clinton.
Carter è stato definito «il primo presidente rock della storia». La sua relazione con la musica fu strettissima e aprì le porte della Casa Bianca ad artisti come Aretha Franklin – alla prima apparizione nel 1977 per un’inaugurazione presidenziale – e Dizzy Gillespie. Fu lui, inoltre, a istituire nel giugno del ‘79 l’African American Music Appreciation Month (in principio Black Music Appreciation Month, formalizzato dal Congresso soltanto nel 2000). Con ogni probabilità, all’epoca, Carter neppure sapeva dell’esistenza dell’hip hop, un movimento ancora troppo distante dai radar dei vertici politici. Come la data convenzionale dell’11 agosto 1973 segna un “prima” e un “dopo”, il 1977 è l’anno – aggrappandoci alla letteratura – che cambierà per sempre le sorti di quel microcosmo, in realtà destinato alla grandezza. Fu possibile “grazie” ad un blackout estivo in una decadente New York, nel mezzo della crisi economica e sistemica che l’America stava attraversando, con le inner city che squarciavano il mondo conosciuto e ampliavano i divari tra le aree più abbienti e quelle in evidente stato di abbandono.
Carter non ha vissuto in maniera diretta l’hip hop, almeno in origine. Né è riuscito, suo malgrado, a migliorare granché le cose, per cui i liberal incolpavano i conservatori dediti a smantellare la great society teorizzata da Lyndon B. Johnson nei ‘60, operazione che per larghi tratti verrà portata a compimento dall’amministrazione Reagan. A suo modo, allora, la nascente cultura hip hop forgiò le generazioni figlie del movimento per i diritti civili e ideò diverse formule di attivismo, ora meno legate alle figure carismatiche e più concentrate sulla quotidianità e sulle scorribande di quartiere.
Nonostante l’iniziale lontananza (per darci un ulteriore parametro temporale, Rapper’s Delight uscì a settembre ‘79, un paio di mesi dopo il famoso discorso sul malessere), l’hip hop ha saputo lo stesso omaggiare la figura di Carter. In President Carter – un brano del 2011 per la verità autocelebrativo di Lil Wayne (che per l’appunto si chiama Dwayne Carter) – l’intro è estrapolato dal giuramento del 20 gennaio 1977 del 39esimo inquilino della Casa Bianca, mentre nel 2018 JID, in chiusura di Off Da Zoinkys, mette in scena una conversazione con una persona più adulta che gli fa notare «quanto velocemente» sia morto il presidente Reagan, al contrario di Carter, che «è tuttora qui» (You know what I mean, ‘cause he got a open heart. He never do war, when he was President. He never hurt nobody, he help people). E di citazioni, volendo, potremmo farne molte altre.
Lì per lì, mentre era in carica, la percezione che in generale si aveva di Carter in relazione al contesto sociale era di tutt’altro tenore. Però è vero che gli anni di Reagan, la ripresa e l’inasprimento della war on drugs che penalizzava soprattutto le minoranze, così come il quadro economico – promosso energicamente dai repubblicani – che, secondo molti, stava allargando le differenze tra i segmenti della popolazione in un modo (spesso) proporzionale al colore della pelle, erano tutti elementi che contribuirono allo sviluppo di un rap di protesta, o comunque di denuncia, che dagli N.W.A. e dai Public Enemy si manterrà rumoroso durante la successiva presidenza Bush e nei decenni a seguire, da JAY-Z a Kendrick Lamar, da Scarface a Pusha T e Killer Mike.
Blame Reagan for making me into a monster
Blame Oliver North and Iran-Contra
I ran contraband that they sponsored– JAY-Z, Blue Magic, 2007
5 Years From Now
Il passaggio da Clinton a Bush Jr. rappresentò l’ennesimo salto di qualità del rap di protesta, in parte motivato dalle conseguenze dell’11 settembre e dalle misure restrittive che vennero adottate subito dopo. L’indomani della rielezione di Bush, la guerra in Iraq continuava ad essere uno dei temi più dibattuti, anche nell’hip hop1. Mike Jones – all’esordio con Who Is Mike Jones? – nel brano 5 Years From Now invita il pubblico a votare, a non prenderla come uno scherzo, perché tra cinque anni «il mondo potrebbe andare in fumo». Alcune sue argomentazioni sarebbero state altrettanto valide nell’era Carter.
It’s hard to plan your future when the world goin’ crazy
Kids with no food, who can they turn to
Beside they own people, I swear this world evil
They see us on TV, they thinkin’ we should be
The main ones providin’ for our community
But the government is paid, dishin’ out minimum wage
They don’t care about the streets as long as they get paid
My advice is please vote, don’t take it as a joke
‘Cause 5 years from now the world could be gone in smoke– Mike Jones, 5 Years From Now, 2005
Il rap politico era ovunque: Cage (Good Morning, Grand Ol’ Party Crash), The Perceptionists (People 4 Prez)2 e molti altri. Poi ci furono l’uragano Katrina e quelle rovinose parole pronunciate da Kanye West: «George Bush doesn’t care about Black people»3.
È difficile immaginare cosa ci riserverà il 2025, con il ritorno di Donald Trump. Nel 2017 fu il contraltare di Barack Obama, nella sua funzione simbolica, in quanto portavoce di istinti reazionari. Stavolta è diverso, siamo oltre il male necessario o illustrazioni simili. Si respira un’aria di diffusa accettazione – dai leader delle Big Tech ai rapper, passando talvolta per la gente comune –; quando non è accettazione, si tratta almeno di rassegnazione. Dalle prime dichiarazioni e dai primi provvedimenti – su questioni migratorie, politiche DEI, free speech e clima, senza trascurare la grazia concessa agli assalitori di Capitol Hill – si può intuire quale sarà l’impronta del secondo mandato di Trump. Rompendo protocolli non scritti di consuetudini e tradizioni, il discorso del 20 gennaio è stato tutt’altro che “presidenziale”, piuttosto un comizio: uno qualsiasi di quelli che hanno preceduto le elezioni di novembre. Il presidente ha anche ringraziato le comunità nere e ispaniche che hanno votato per lui (i risultati sono stati meno esaltanti di quanto millantato), ma la verità è che al netto di qualche scostamento osservato qua e là, in questo o in quel gruppo demografico, l’America continua a essere un paese diviso e polarizzato – rassegnazione a parte e sebbene i sondaggi suggeriscano un sentimento generale oggi più favorevole alle istanze della galassia MAGA.
Lo scenario potrebbe indurci a presumere che il 2025 sarà segnato dalla musica di protesta, come lo furono il 2017 e in misura maggiore il 2020. Qualcosa accadrà di sicuro – una decisione controversa, un incidente, un inciampo dialettico troppo grossolano per passarci sopra –, ma per il momento registriamo il malcontento di tantissimi fan per le esibizioni di Snoop Dogg, Rick Ross, Soulja Boy e Nelly (in passato critici di Trump, all’incirca) alle cerimonie inaugurali della nuova amministrazione. Soprattutto a Snoop, il quale aveva già mostrato dei segnali in questo senso, viene rimproverato il cambio di rotta rispetto al 2017, quando contestò aspramente gli artisti che avrebbero partecipato al primo insediamento. In quell’occasione la cantante Chrisette Michele subì un trattamento più severo, con conseguenze nefaste – raccontò poi – per la sua carriera (dopo la performance “incriminata”, Michele pubblicò uno spoken word per spiegare la sua versione dei fatti).
È un annoso dibattito, che si trascina dai tempi di Sammy Davis Jr., ma con il rischio adesso di aggravarsi. Some people say, give him a chance / Some people say, wait till he’s convicted, cantavano gli Honey Drippers nel 1973. Chi lo avrebbe mai detto, mezzo secolo più tardi.
Altre cose interessanti
Anche Keyshia Cole e il produttore Madlib hanno perso la casa per gli incendi di Los Angeles, mentre The Game è in prima linea tra i soccorritori. Pezzi di storia nera di Altadena cancellati dalle fiamme. Della California e dei problemi che l’affliggono si era parlato nell’ultima puntata di Mookie del 2024.
Alla fine Drake ha fatto causa a Universal Music Group per la promozione di Not Like Us di Kendrick Lamar, ritenendo l’etichetta responsabile della diffusione di false accuse nei suoi confronti.
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Ci leggiamo il prossimo mese, state bene!
Bush ottenne il secondo mandato sulla base, soprattutto, di altri elementi quali i valori etici e religiosi, ma in ogni caso i conflitti in Medio Oriente dividevano, non poco, l’opinione pubblica.
Qui abbiamo citato artisti provenienti dalla stessa etichetta, la Definitive Jux di El-P (futura metà Run The Jewels con Killer Mike).
Tempo dopo Kanye West cambierà prospettiva sulla vicenda.
Davvero interessante grazie!