Era la fine del 1966 quando Langston Hughes consegnò una sua poesia a Nina Simone, Backlash Blues. Voleva trasformarla in una canzone, cosa che Simone farà subito dopo, rendendola uno dei successi più significativi della propria carriera. Parlava delle svantaggiose condizioni economiche dei neri, delle odiose politiche residenziali del redlining, del Vietnam. Era un testo di protesta, tra gli ultimi scritti da Hughes prima di morire. La canzone venne pubblicata nell’album Nina Simone Sings the Blues.
Mr. Backlash, Mr. Backlash
Just who do you think I am?
You raise my taxes, freeze my wages
And send my son to Vietnam
You give me second class houses
And second class schools
Do you think that all colored folks
Are just second class fools?– Nina Simone, Backlash Blues, 1967
Vent’anni più tardi, i Run DMC scrissero una specie di inno alle loro scarpe Adidas. Quasi in antitesi con Hard Times del 1983 (all’incirca una cover della precedente versione di Kurtis Blow), dove il problema dei portafogli vuoti quando i prezzi salgono era un assillo costante, con My Adidas la comunità hip hop saliva a suo modo sul treno dell’ottimismo reaganiano e uno specifico paio di scarpe diventava il primo esempio di conspicuous consumption che il movimento avesse mai prodotto. Promosso dal fiuto per gli affari di Russell Simmons, uno dei fondatori della Def Jam, il brano valse al gruppo un contratto di sponsorizzazione con la stessa Adidas, allargando l’orizzonte del potere (economico) nero, le cui regole erano state ampiamente riscritte da Michael Jordan nello storico accordo con la Nike del 1984.
My Adidas, standin’ on 2 Fifth street
Funky fresh and yes, cold on my feet
With no shoestring in ‘em, I did not win ‘em– Run DMC, My Adidas, 1986
Le circostanze sono in seguito migliorate per molti e l’hip hop è cresciuto in quanto industria che ha presto imparato a generare ricchezza. Nel 2013 JAY-Z ha alzato l’asticella dell’ambizione, ricorrendo in Picasso Baby all’arte contemporanea quale veicolo di sfoggio dell’abbondanza.
It ain’t hard to tell
I’m the new Jean Michel
Surrounded by Warhols
My whole team ball
Twin Bugattis outside the Art Basel
I just wanna live life colossal– JAY-Z, Picasso Baby, 2013
E giusto per rimanere nella stretta attualità, chiudiamo il cerchio con Kanye West.
Spendin’ all this money like it’s free to me
That shit fall off trees to me– Kanye West & Ty Dolla Sign, Do It, 2024
Questa linea temporale è però una minima parte della storia.
Di solito si dice che l’economia sia l’unica materia davvero in grado di determinare l’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Non è un modo affrettato di liquidare la questione. Eppure negli ultimi anni – per una coincidenza non del tutto casuale da quando Trump è protagonista delle vicende politiche americane – anche altri temi sono diventati prioritari. Del resto se gli Stati Uniti ci sembrano da questo lato dell’oceano un paese diviso su tutto, o quasi, è perché gli argomenti di discussione feroce non mancano. Siccome di molte cose abbiamo parlato nelle scorse puntate, stavolta ci fermiamo proprio sull’economia, che alla fine le tasche delle persone sono un coefficiente imprescindibile nelle scelte di voto.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera. Per contribuire al progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola, un caffè. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!
All’alba degli anni ‘70 il presidente Richard Nixon chiese a Johnny Cash, ospite alla Casa Bianca, di intonare Welfare Cadillac. Cash non lo fece ed esistono più versioni sul perché e percome del rifiuto. Il punto è che Nixon venne rimproverato per la richiesta1. Tanto per cominciare Welfare Cadillac non era una canzone di Cash, ma di Guy Drake. In secondo luogo il brano era una critica, forse con velleità ironiche, di sicuro impietosa, nei riguardi dei beneficiari degli aiuti governativi, descritti quali profittatori del sistema di assistenza sociale, gente in attesa dell’assegno il primo di ogni mese che – così diceva la canzone – non ha lavorato mai molto, la casa cade a pezzi, ma possiede una Cadillac. In un certo senso quello di Guy Drake suonava come un manifesto politico ostile alla great society, l’insieme dei programmi promossi dall’amministrazione di Lyndon B. Johnson allo scopo di contrastare la povertà e le disuguaglianze. Ma il problema era oltre: essendo i cittadini neri il gruppo demografico maggiormente dipendente dai sussidi pubblici, canzoni come Welfare Cadillac potevano talvolta alimentare i pregiudizi e gli stereotipi razziali (soprattutto tra le donne, anche qui), evitando di entrare nel merito delle situazioni ai margini e dei singoli contesti ambientali e culturali.
Brenda got herself a boyfriend
Her boyfriend was her cousin, now let’s watch the joy end
She tried to hide her pregnancy, from her family
Who didn’t really care to see, or give a damn if she
Went out and had a church of kids
As long as when the check came they got first dibs– Tupac, Brenda’s Got a Baby, 1991
Con il passare del tempo il quadro è cambiato. Le opportunità di sviluppo individuale e collettivo si sono estese alle fasce di popolazione altrimenti più penalizzate e il livello di istruzione tra i neri americani è aumentato. Oggi il rimbalzo post-pandemico sta permettendo agli Stati Uniti di registrare una crescita più sostenuta di quella delle altre economie avanzate, il mercato del lavoro va a gonfie vele, i divari occupazionali e salariali si riducono – seppure tra alti e bassi (neri e latini sono impiegati perlopiù nelle attività essenziali o svolgono lavori meno qualificati e percepiscono guadagni inferiori) –, mentre l’inflazione è tornata su valori più che accettabili. Tuttavia questo è ancora uno spicchio della storia.
Anti-political mythical in the picture
Your n**** just moved to Wicker
Your mammy stay on the south side
She paid to clean your house, power of Pinesol, baby
She the scrub tub lady
She that naked bitch in videos, that drunk club lady
Immortalized all ‘80s
And then she real, real nasty
You thought with all her purses she be real, real blacky– Noname, Blaxploitation, 2018
Nel 2022 si è osservato negli Stati Uniti un aggravamento dell’insicurezza alimentare, che interessa 44 milioni di persone. Sono quasi 38 milioni coloro che vivono in stato di povertà. Un numero elevato di americani non può permettersi l’affitto e molti di conseguenza subiscono lo sfratto (ma è il settore immobiliare, nel complesso, a imporre decisioni drastiche). Dal 2022 al 2023 anche il numero dei senzatetto è cresciuto, non di poco. A pagare di più il costo sociale di queste enormi lacune sono le minoranze (nativi, neri e latini). Sebbene rappresentino appena il 13% della popolazione totale degli Stati Uniti – scrive l’Amsterdam News –, gli individui che si identificano come neri costituiscono il 37% degli homeless.
His father works some days for fourteen hours
And you can bet, he barely makes a dollar
His mother goes to scrub the floors for many
And you’d best believe, she hardly gets a penny
Living just enough, just enough for the city– Stevie Wonder, Living For The City, 1973
L’America continua ad essere un concentrato di trionfo e tormento, opulenza e povertà, con un miliardo di sfumature nel mezzo. Le comunità più emarginate hanno adottato ognuna le sue strategie di sopravvivenza, non sempre ortodosse. È questo, o almeno lo è in parte, lo scenario in cui è nato l’hip hop 50 anni fa. Nella scorsa puntata di Mookie abbiamo accennato all’articolo di Andre Gee e Timmhotep Aku, ripreso nell’edizione italiana di Rolling Stone, in cui si chiedono se la stagione del rap politicizzato può dirsi conclusa. A un certo punto viene interpellato Dan Charnas, professore associato alla New York University e autore di Dilla Time, il quale ricorda come nell’ambiente non sia mai stata assente «un’anima ipercapitalista» che ha finito per prevalere sui messaggi di critica sociale. È un dibattito aperto e di non facile soluzione, tanto più adesso che si scorge una lieve fascinazione per il mondo conservatore – neppure troppo sorprendente, ci torneremo – di frammenti sparpagliati di hip hop.
È comunque vero che dopo l’anno di Breonna Taylor e George Floyd, la musica nera, specialmente l’hip hop, ha dato prova di un graduale appiattimento – escluse alcune eccezioni –, mostrando un maggiore disincanto in relazione alle grandi battaglie e rimettendo gli aspetti più frivoli al centro di tutto: i soldi, i beni materiali, gli stili di vita irraggiungibili. Non che sia per forza un male – questi elementi, abbiamo visto all’inizio con i Run DMC e JAY-Z, nascondono espedienti tropologici di riscatto –, ma la responsabilità personale del proprio status economico, alla base di rilevanti scuole di pensiero, ancora non è in grado di fare luce sull’intera faccenda. Quanti si dichiarano Black Republican – un tratto esiguo, nonostante le attenzioni mediatiche sui neri che voterebbero per Donald Trump – hanno la stessa possibilità dei Black Democrat di vivere in famiglie a reddito alto (12% e 10%, rispettivamente) o a reddito medio (37% e 40%), ma circa la metà di entrambi i gruppi vive in nuclei a basso reddito. In compenso – notava il Pew Research Center in un report diffuso alla vigilia delle elezioni di metà mandato del 2022 – i repubblicani neri hanno molte più probabilità dei repubblicani bianchi (50 a 18) di vivere in famiglie a basso reddito.
Wondering if it’s for the art or for the dough
Though I know to grow a n**** gotta learn to let go
Though I know the dough I got to bring back to the ghetto
Aeros or Tarot cards pointin’ to the grind
Po’ livin’ and mo’ prisons, pointin’ to my mind
Shine the light up!
Clench my fists tight, holdin’ it right up
Freedom fight in dark gear for the years to get brighter
Situations, the jaws get tighter
My man trying to get his way to higher– Common feat. Kanye West, The Food, 2004
I’m feelin’ like a million stacks, how the fuck you do?
Seein’ how you livin’, bet you probably feel a buck or two
Ho shit insured, sucker-proof, no deductible
Good neighbors with state pharmaceuticals by the bucketloads
That’s Big Green like Ferrigno, if you down like feather pillows– Quelle Chris, Obamacare, 2019
Altre cose interessanti
Per restare in tema. Il deputato democratico Jamaal Bowman ha lanciato una task force hip hop per una serie di iniziative a favore delle comunità nere.
La svolta country di Beyoncé le ha permesso di essere la prima donna nera nella storia ad occupare la posizione numero uno della classifica Hot Country Songs di Billboard. Nel frattempo, nei suoi riguardi, in Oklahoma era successo un piccolo casino. Avremo tempo e modo di analizzare di nuovo un fenomeno che i lettori di vecchia data di Mookie ricorderanno, ma per il momento consiglio l’ottimo articolo di Federico Pucci.
Dal 15 febbraio è disponibile su Netflix The Vince Staples Show, una serie ad ora di cinque episodi, peraltro molto corti, di e con Vince Staples ovviamente. La serie affronta da una prospettiva quasi comica alcuni luoghi comuni, di tanto in tanto con scene surreali in stile Atlanta. Non la cosa più bella che vedrete quest’anno, ma una sbirciata la merita, eccome.
Allacciate le cinture: sta tornando Fabio Negri, stavolta con Unsupervised, un viaggio in formato podcast nel significato più profondo della black music.
Domani (sabato 24 febbraio) si vota per le primarie repubblicane nel South Carolina. Per quanto sia data già per sconfitta (larghissima la distanza da Trump, secondo i sondaggi), Nikki Haley ha promesso che proseguirà la campagna elettorale.
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Ci leggiamo tra due settimane, ciao!
Nixon e Cash manterranno un rapporto cordiale anche in seguito. Nel 1972 i due si incontrarono allo Studio Ovale per discutere di riforma carceraria. In generale a Nixon non dispiaceva farsi vedere in giro con gente famosa, tipo Sammy Davis Jr., tra gli altri.