Più ci avviciniamo all’appuntamento elettorale del 2024 – ok, ok: manca ancora un sacco di tempo, ma è importante portarsi avanti con il lavoro –, più diventa stringente osservare gli sviluppi (politici, economici, sociologici…) che ci accompagneranno fino al giorno del voto negli Stati Uniti. Dal nostro angolo, che usiamo vicende e storie di musica come pretesto, già si possono raccogliere delle idee. La scorsa settimana, ad esempio, è uscito il remix di America Has a Problem di Beyoncé con Kendrick Lamar, in cui Kendrick Lamar – indovinate un po’ – fa Kendrick Lamar: giochi di parole sull’attualità, mettendo dentro di tutto in circa un minuto di strofa:
My momma told me that the money outgrew you
My horoscope said I’m really out my noodle
I’m troublin’, I’m puzzlin’, it’s sudoku
Say, B, yes, America got a problem
Geeked up, choosin’ love, or they chose violence
Universal, please don’t play possum
I’m a business man doin’ as follows [...]I’m an honorary Beyhive
Let’s see why them diamonds don’t be fly, they all CGI
You better get it off your chest like breast reduction
If she stressed over you, she stressed for nothin’
Hol’ up, wait a minute
Even AI gotta practice clonin’ Kendrick
The double entendre, the encore remnants
I bop like tin men, the opps need ten men– Beyoncé feat. Kendrick Lamar, America Has a Problem(Remix), 2023
Quando di mezzo ci sono Beyoncé e Kendrick Lamar è sempre un gran vociare. Anche se non vengono toccati argomenti chissà quanto sconvolgenti, i loro brani sono spesso uno spunto di riflessione interessante. Intelligenza artificiale, consapevolezza di sé, soldi, violenza: in definitiva gli ingredienti per una sorta di recap generale su come si presenta l’America nera alla vigilia delle elezioni sembrano esserci tutti. Poi, certo, essendo Beyoncé e Kendrick Lamar star planetarie, il dibattito è sempre più esteso di quanto non sembri in un primo momento. Ma questa non è una puntata su Beyoncé e Kendrick Lamar, è bene sottolineare.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che tratta di America in relazione al rap e alla musica nera. Per contribuire a questo umile progetto basta poco: un like, una condivisione, il passaparola. Ogni vostro piccolo gesto può essere incredibilmente utile: grazie!
È uscito pochi giorni fa An Amerikan Family, libro di Santi Elijah Holley che ripercorre la parabola della famiglia Shakur – oltre i nomi noti di Assata e di Tupac – e l’immagine dell’America durante gli anni del Black Panther Party (sezione di Harlem, nel nostro caso), una promessa di «liberazione dei neri» che è rimasta perlopiù disattesa, almeno per come poteva essere ancora concepita negli anni ‘60-’70. Ne ha scritto sul New York Times Michael P. Jeffries, professore di Studi americani al Wellesley College, ricordando alcuni pilastri della lotta, come la connessione tra capitalismo e razzismo e la dichiarazione di «guerra ai ricchi che prosperano sulla nostra povertà», per citare appunto Assata Shakur. Questo preambolo desta oggi curiosità al cospetto dell’importanza che il capitalismo nel frattempo si è dato per migliorare le cose, al netto dei ribaltamenti (anche) per interesse o delle iniziative più o meno paracule che possiamo scorgere di tanto in tanto. E messa a confronto con la visione rivoluzionaria di qualche decennio fa, è una circostanza che desta curiosità a maggior ragione adesso che tra le file repubblicane ha da poco formalizzato la sua candidatura a presidente il senatore della South Carolina, Tim Scott, un politico a prima vista molto più credibile di analoghi, recenti tentativi nel GOP.
Come viene spiegato nella newsletter Elezioni USA 2024, Scott è tra «i migliori candidati in grado di raccogliere fondi al Senato». Va anche detto che le sue chance di ottenere la nomination e sfidare Joe Biden a novembre 2024 appaiono, al momento, davvero scarse. Scott è l’antitesi dell’Amerikan Family descritta da Holley, un repubblicano distante dall’ala trumpiana, ma che in ambito economico e valoriale/religioso (si pensi alle posizioni in materia di aborto) può comunque raccogliere ampi consensi nel mondo conservatore. La figura del black republican – abbiamo già visto – non è poi così insolita e negli ultimi tempi sembra essere tornata di moda. La versione di Scott, il quale viene da una famiglia povera che è stata capace di passare «dal cotone al Congresso», è che il cosiddetto razzismo sistemico sia piuttosto un’ossessione dei democratici e della sinistra in generale, e che lui sia la testimonianza di come gli Stati Uniti rappresentino oggi «una terra di opportunità, non di oppressione». In compenso si è detto favorevole ad una riforma della polizia, anche se con un approccio moderato rispetto alle proposte più radicali sopraggiunte dopo la morte di George Floyd. Inoltre, ricorda il New York Times, nel 2022 Scott ha svolto un ruolo determinante nell’approvazione del disegno di legge che a tutti gli effetti ha reso il linciaggio un crimine d’odio a livello federale.
Hang on to the world as it spins around
Just don’t let the spin get you down, no
Things are moving fast
Hold on tight and you will last
Keep your self-respect, your manly pride
Get yourself in gear, keep your stride
Never mind your fears
Brighter days will soon be here
Take it from me, someday we’ll all be free– Durand Jones, Someday We’ll All Be Free, 2023
Negli Stati Uniti la maggior parte dei neri – il 63% secondo una rilevazione del Pew Research Center – ritiene il voto lo strumento più utile per ambire all’uguaglianza, segue il sostegno alle imprese (58%), mentre le proteste sono meno gettonate (42%). I dati suggeriscono che se da un lato le prospettive sono cambiate proprio grazie alle proteste, alle marce e alle rivoluzioni del passato, dall’altro il diritto al voto continua a non essere dato per scontato. Si è potuto vedere in alcuni Stati a guida repubblicana, dove sono stati adottati provvedimenti volti a limitarne l’accesso, in particolare ai danni delle minoranze. Quando l’anno scorso il Congresso discuteva del progetto di legge sul diritto di voto sponsorizzato dal presidente Biden, a un certo punto si registrò un acceso dibattito sulla “riedizione di Jim Crow” tra i soli tre esponenti neri al Senato: Cory Booker (New Jersey), Raphael Warnock (Georgia) – entrambi dem – e ovviamente Tim Scott, quest’ultimo strenuo sostenitore del sogno americano ormai alla portata di chiunque, come dimostrerebbero le loro elezioni in luoghi storicamente sfavorevoli (soprattutto lui e Warnock).
We seek truth and understanding
While the world is so demanding
Cause the preacher needs a preacher
And the doctor needs some healing
And the teacher needs a lesson
So the children get the message
Are we searching for a reason
We need something to believe in
Love has the power to heal the whole wide world– Baby Rose, Power, 2023
Al di là del pensiero di Scott, è piuttosto evidente che gli Stati Uniti presentino notevoli ritardi. Economia e razzismo hanno una profonda relazione in termini di mancata ricchezza generata. E non è un caso, allora, se gli intervistati dal Pew Research Center – stavolta senza scomodare per forza Assata Shakur, o Tupac (They got money for wars, but can’t feed the poor) – abbiano indicato anche il sostegno alle imprese nere quale elemento per superare le disuguaglianze razziali. Il tema è tornato in voga negli ultimi anni (Entrepreneur, Pharrell Williams e JAY-Z), così come la discussione sullo scarso numero di CEO neri nelle aziende (27 Summers, Nas). Di contro, siccome persistono le disparità di trattamento all’interno del sistema di giustizia penale, quasi nove adulti neri su dieci affermano che polizia (87%), tribunali (86%) e carceri (86%) necessiterebbero di grandi cambiamenti.
Made it out the city with my head on straight
N***** keep shootin’ up the lead out
Young Jordan Peele, gotta get out
But the shit that I spit out
Is a cheat code like I’m facin’ a RICO
And how a n**** put a hit out– Lil Durk feat. J. Cole, All My Life, 2023
Altre cose interessanti
Anche Ron DeSantis, alla fine, si è candidato alla presidenza e sfiderà il favorito alla nomination repubblicana, Donald Trump. L’intervento su Twitter Spaces con Elon Musk per il lancio della campagna, benché non spettacolare, segna una novità per la politica statunitense e colloca la piattaforma fuori dalla proclamata neutralità. Di DeSantis abbiamo parlato diffusamente, non mancheranno occasioni per tornarci.
Notizie giustappunto dalla Florida: la lettura della poesia The Hill We Climb di Amanda Gorman, recitata all’inaugurazione presidenziale di Biden, verrà limitata dopo la denuncia presentata da un genitore in una scuola della contea di Miami-Dade perché l’opera conterrebbe «messaggi indiretti di incitamento all’odio».
I tanti volti di Compton non riescono a modificare il tipo di narrazione che ruota attorno alla città, perlopiù percepita da sempre come una black city e dipinta – talvolta in maniera sbrigativa – come la culla del gangsta rap. Peccato che Compton non sia più una città in prevalenza nera, ma latina. Il trend, osservato già a partire dagli anni ‘90, si è consolidato di recente, mentre il potere politico è nelle mani di una radicata leadership nera. Quanto sta avvenendo da quelle parti non è però un caso isolato e si ritiene che presto lo scenario riguarderà altre comunità nel paese, stravolgendo la geografia e le dinamiche del tessuto sociale statunitense. Compton è al centro di una vecchia puntata di Mookie, ma nel complesso l’argomento merita nuove attenzioni in vista del voto in programma l’anno prossimo.
Tempo di celebrazioni a New York.
Tina Turner è stata un’icona come poche altre nella storia.
E siamo così giunti ai saluti. Nonostante l’introduzione alla newsletter di questa settimana, prometto che le prossime puntate non saranno sulle elezioni e basta. Intanto la playlist di Mookie è pronta: a voi non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram, su Twitter o su Notes. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici!
Ci leggiamo tra due venerdì, a presto!