Partiamo dalle conclusioni: farsi fotografare al fianco di celebrità è utile per far parlare di sé, non necessariamente per vincere le elezioni. E questo, negli Stati Uniti, è ancora più vero.
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Era il settembre del 1972 e a Chicago si stava tenendo il festival voluto da Jesse Jackson per la sua sua Operation PUSH Black Expo. Si trattava di uno dei tanti progetti in qualche misura ereditati dalle iniziative di Martin Luther King, morto alcuni anni prima. Dell’evento esiste un film-documentario, Save The Children, uscito nel 1973. Al festival parteciparono nomi di assoluto spessore, quali Marvin Gaye, Roberta Flack, Nancy Wilson, Curtis Mayfield, Isaac Hayes, i Jackson 5… E poi Sammy Davis Jr., al quale il pubblico, numerosissimo, riservò una “particolare” accoglienza quando salì sul palco: proteste, contestazioni, fischi, mugugni…
Le persone arrabbiate sugli spalti rimproveravano a Davis un abbraccio con il presidente Nixon che era stato immortalato durante il Republican Youth Rally di Miami nel mese di agosto (il 1972 era anno di elezioni e a sfidare il presidente uscente c’era il democratico George McGovern). Quello in Florida non era il primo incontro tra i due, né sarebbe stato l’ultimo. Davis affrontò allora il pubblico e affermò di accettare le proteste, le contestazioni, i fischi e i mugugni per le sue convinzioni politiche, ma aggiunse anche che mai avrebbe permesso ad anima viva di negargli «il diritto di essere nero». Subito dopo intonò I Gotta Be Me e tornò la pace.
Non sono sicuro, ma temo che la puntata di oggi sia “offerta” dall’annunciato divorzio di Kim Kardashian e Kanye West. La notizia era nell’aria già da alcune settimane e, nonostante le voci in questo senso, magari la politica non c’entra, o almeno non nel modo pigro che potremmo considerare (tra moglie e marito non mettere il dito, no?). I Kimye, tuttavia, sono stati la coppia più glamour e più social degli ultimi anni e anche, in effetti, tra le più politicamente impegnate (in particolare contro l’incarcerazione di massa). Certo, il loro impegno politico è qualcosa da commisurare alla conseguente sovraesposizione mediatica, tuttavia il sostegno di Kanye a Donald Trump, poi maldestramente ritirato e forse mai condiviso da Kim, è una situazione che sembra avere diversi punti di contatto – capiamoci: in una specie di universo parallelo – con la parabola di Sammy Davis Jr. negli anni ‘70.
Sammy Davis Jr. continuò a frequentare la Casa Bianca e il presidente Nixon dopo la rielezione del novembre 1972. Alcuni mesi dopo scoppiò lo scandalo Watergate e il resto è storia. Leggenda vuole che in seguito Davis si sia pentito dell’infatuazione politica per Nixon a causa delle tante promesse disattese per migliorare le condizioni delle minoranze, i tagli ai programmi contro la povertà, la mancata istituzione di una giornata nazionale in onore di Martin Luther King (che sarebbe arrivata nel decennio successivo). Ma in principio Davis valutava quell’amicizia tanto importante (peraltro Nixon era abilissimo a coltivare le relazioni con le celebrità afroamericane) un contributo indiretto alla causa dei neri, sebbene le circostanze potessero apparire non chiare al suo pubblico.
Sammy Davis Jr. e Kanye West, in epoche diverse e in modi diametralmente opposti, hanno alimentato il dibattito sulla figura del black republican, una cosa che scrutata dall’altra parte dell’oceano, dove siamo abituati a pensare all’elettorato afroamericano come ad un blocco monolitico, suona quantomeno surreale. Ma il conservatorismo nero è da sempre una realtà negli Stati Uniti, da non confondere, perciò, con i comportamenti di voto. Se ancora all’inizio degli anni ‘60 il nero repubblicano non rappresentava un fatto del tutto insolito – lo abbiamo visto in una precedente puntata su Jackie Robinson e anche MLK, alla vigilia delle elezioni del 1960, sosteneva di non cogliere «molta differenza» tra Nixon e Kennedy –, dalla seconda metà, cioè dalle presidenziali Johnson-Goldwater del 1964, l’orientamento dell’elettorato afroamericano virò tutto, o quasi, in via definitiva, verso il Partito democratico. Nel mentre c’erano stati la marcia di Washington e il Civil Rights Act, su cui Barry Goldwater espresse al Senato parere contrario.
Ma come poteva Sammy Davis Jr., che aveva partecipato a numerose iniziative del movimento per i diritti civili, raccolto fondi per le difese legali di Angela Davis nel 1972 e che più tardi, nel 1973, avrebbe appoggiato la candidatura a sindaco di Oakland di Bobby Seale, fondatore con Huey P. Newton delle Pantere Nere, essere stato un sostenitore di Richard Nixon? A proposito di Angela Davis, prima di Chicago, aveva risposto così:
I share something more than her political beliefs. I share her blackness.
Al di là delle stramberie, che sono tante, Kanye West è un tipico rappresentante del conservatorismo nero: con Jesus Is King, il disco uscito a ottobre 2019, ha consolidato la svolta cristiana, è contrarissimo all’aborto (praticamente unico tema della sua sgangherata campagna elettorale nel 2020) e alla delocalizzazione delle attività produttive. Correndo alle ultime presidenziali, ha compiuto il gesto simbolico di togliersi il cappello MAGA – anche se si è speculato abbastanza sulle ragioni che lo hanno portato a questa decisione, addirittura c’è chi ha ipotizzato sia stata una mossa orchestrata dai repubblicani per togliere voti a Biden... –, ma ciò non toglie che le precedenti performance al fianco dell’ex inquilino della Casa Bianca hanno introdotto piuttosto una figura inedita, oltre la bolla del black republican, quella del sostenitore nero di Trump, il tipo di personaggio che Delroy Lindo interpreta in Da 5 Bloods di Spike Lee (occorre ricordare che Trump è riuscito a guadagnare consensi tra i neri, passando dall’8% del 2016 al 12% del 2020). Come Sammy Davis Jr. nel 1972, anche Kanye West – ma arrivati a questo punto dobbiamo poi fermarci con i paragoni tra i due – ha reclamato «il diritto di essere nero», non allineandosi ai consueti comportamenti elettorali e rifiutando quella che lui reputa una prigione mentale. Kanye West ha però votato per la prima volta nel 2020, oltretutto scrivendo il proprio nome sulla scheda, e questo fatto rende poco credibile la sua versione.
L’uomo che nel 2005, con New Orleans devastata da Katrina, accusò in tv l’allora presidente George W. Bush di fregarsene dei neri (tempo dopo chiese scusa), è lo stesso che nel 2018 se ne uscì con un’argomentazione del tipo «la schiavitù è stata una scelta», innescando una serie di reazioni che potete immaginare. La frase venne subito condannata e ritenuta delirante da molti, al punto che lo stesso Kanye West fece poco dopo una cosa non da Kanye West: provò su Twitter a correggere il tiro. Il suo fu un ultimo tentativo di dimostrare che non si trattava di un ragionamento banale, che voleva essere un richiamo alla prigione mentale di cui sopra, un concetto sviluppato già da diversi intellettuali (la cosiddetta “mentalità da schiavi” nell’America post-schiavile, ovvero il difficile adattamento psicologico nella formazione della nuova società nera derivato da due secoli di schiavitù) che Kanye West – e va detto: non solo Kanye West – percepisce come un problema ancora attuale. Un’operazione culturale che non gli riuscì granché.
Chi è oggi il black republican, dunque? Figure come Sammy Davis Jr. o Jackie Robinson sono difficili da individuare. Il rischio ricorrente è quello di imbattersi in soggetti ridotti a macchiette reazionarie e alle prese con il fanatismo religioso, forgiati inoltre dal trumpismo. Nell’hip hop, dove spesso si fa un uso smodato di tropi narrativi, il nero repubblicano può identificare qualcuno che è stato in grado di raggiungere un elevato status economico. Più o meno come affermano di sentirsi JAY-Z e Nas in una vecchia collaborazione del 2006 – Black Republican, giustappunto –, la prima dopo anni di screzi reciproci. Un’allusione cara soprattutto a JAY-Z, il quale ha tenuto sempre ad esaltare le sue capacità di uomo d’affari e manageriali («I'm not a businessman; I'm a business, maaan!»), senza però rinnegare le origini, la strada, il tempo in cui spacciava droga.
I feel like a Black Republican, money I got comin' in
Can't turn my back on the hood, I got love for them
Can't clean my act up for good, too much thug in him (nah)
Probably end up back in the hood, like, "Fuck it then"– Nas feat. JAY-Z (Black Republican, 2006)
Ma com’è che si dice? L’abito non fa il monaco: JAY-Z, insieme a Beyoncé, ha organizzato raccolte fondi per Obama in passato e sostenuto Hillary Clinton nel 2016.
A ridosso del voto di novembre, ci furono polemiche per presunti, o appena accennati coinvolgimenti nella campagna repubblicana di gente come Ice Cube e Lil Wayne, o ancora per gli endorsement che non lo erano di 50 Cent a Trump, in previsione di politiche fiscali che lo avrebbero svantaggiato in caso di vittoria di Biden (la sua posizione in materia era più ironica che preoccupata). L’emancipazione economica, ostacolata dalla segregazione dopo l’affrancamento degli schiavi, resta ancora ai giorni nostri quanto di più ambizioso cui aspirare – è la realizzazione della libertà, del sogno americano – e qualsiasi riflessione sul black republican si riduce solitamente a questo aspetto. Ma è allo stesso modo una questione complessa, che conferma la doppia morale dell’America – il Michael Jordan del 1990 è l’esempio più famoso – e che da sola non restituisce una risposta esaustiva alla domanda: è una mossa sempre corretta dare per scontato il voto dei neri?
Altre cose interessanti
JAY-Z ha ceduto il 50% dello champagne Armand de Brignac, di sua proprietà, a Lvmh, Louis Vuitton Moët Hennessy. È l’ennesima operazione finanziaria che lo riguarda, in pochi mesi. In un’intervista del 2005 a GQ, poco prima dell’uscita di Black Republican, al giornalista confidava: «Dovrei esserlo», un nero repubblicano, «sono in quella fascia di reddito». Come risponderebbe oggi?
Bobby Shmurda è stato rilasciato dopo aver scontato sei anni di prigione, era stato arrestato nel 2014.
Non prendete impegni per sabato notte. È arrivato finalmente il momento di D’Angelo verzuz Friends in diretta dall’Apollo Theater di Harlem, su Verzuztv e su Apple Music.
Anderson .Paak e Bruno Mars hanno annunciato l’uscita di un album insieme, con la partecipazione di Bootsy Collins. La prossima settimana è atteso il primo singolo. Riscaldate le cuffie: let’s funk!
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