È arrivato il momento dell’anno in cui ci salutiamo per uno stop e ci godiamo il meritato riposo. Con la richiesta di arrivare fino in fondo: I got somethin’ to say.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che «Summer, summer, summertime / Time to sit back and unwind».
Non saprei spiegarlo, ma ho la percezione che gli ultimi mesi siano trascorsi troppo velocemente. Questa stagione di Mookie, che si avvia alla conclusione, per quanto incostante di tanto in tanto (è un dato di fatto che non posso negare, né trascurare: ne parleremo tra poco in un certo senso), è volata via senza nemmeno il tempo di accorgermi se i buoni propositi di settembre 2021 siano stati portati a compimento. Vi svelo un dietro le quinte della newsletter: ho da parte un elenco di tutti gli argomenti statunitensi che a mio avviso meritano di essere trattati in relazione alla musica nera e la risposta è che no, molti sono ancora lì, in attesa di sviluppo. Proprio gli eventi di queste settimane hanno condizionato le scelte dei temi, in particolare il ribaltamento della Roe v. Wade e le recenti stragi con armi da fuoco, ma in generale mi sono accorto che la stretta attualità delle cose registrate oltreoceano ha avuto il sopravvento, quest’anno più che in altri momenti. Forse è il segno di qualcosa che sta evolvendo, nel bene e nel male, chissà.
Comunque è estate, Mookie si ferma per un po’, perciò beccatevi la solita lista di consigli non richiesti, tra dischi, serie tv, documentari, libri e podcast.
Cominciamo dai dischi, ma lasciamo stare gli elenchi infiniti. Di album eccellenti ne sono usciti diversi dall’inizio dell’anno, escludendo per ovvie ragioni – praticamente fuori concorso – Mr. Morale & The Big Steppers di Kendrick Lamar. Vince Staples, EARTHGANG, Pusha T, Denzel Curry e Conway The Machine, o Lucky Daye, SYD, Steve Lacy, Blxst e Brent Faiyaz in ambito R&B (aspettando Beyoncé…), tra i molti che si possono citare, ma in realtà voglio soffermarmi su tre titoli, non necessariamente riconducibili alla sfera hip hop: The Gift - Around The Way Queen di Jimetta Rose, Holy Body Roll di A. Billi Free con il producer The Lasso e Candid di Ivy Sole, quest’ultimo invece decisamente hip hop. I primi due perché sono delle perle rare di questi tempi, album che conciliano l’ascoltatore con l’universo della musica black in tutte le sue sfaccettature – credetemi: non si tratta della più classica delle frasi di circostanza –, con le interpreti a rappresentare esperienze tipiche dei luoghi di provenienza (di Los Angeles Jimetta Rose, peraltro ora impegnata in nuovi progetti; del New Mexico A. Billi Free, il cui stile si mescola con sonorità che vanno da Chicago a Detroit – e viceversa – grazie a The Lasso), autentici viaggi all’interno di quelle porzioni di America che restano spesso inesplorate, non per forza da un punto di vista geografico.
Il terzo album, Candid di Ivy Sole appunto, perché è la dimostrazione di cosa significhi interiorizzare l’hip hop, senza però rinunciare a connettersi con un pubblico che sia il più ampio possibile.
Bonus tracks: THANK YOU 4 THE TRAGEDY di Cantrell (abbastanza fresco di uscita, piacevole scoperta) e Remember Your North Star di Yaya Bey (da queste parti una conferma).
Momento serie tv. Nel corso dell’anno ho rilevato un lieve appiattimento nella narrazione destinata all’intrattenimento televisivo. Tante cose piacevoli e godibili, ma niente di incredibilmente esaltante. Magari sono io, vai a sapere. L’eccezione è però rappresentata dalla terza stagione di Atlanta, finalmente disponibile in Italia da alcune settimane su Disney+.
Ho apprezzato molto anche Winning Time che, oltre a raccontare l’ascesa della dinastia dei Lakers (come appunto suggerisce il titolo), introduce un argomento fondamentale, l’accesso degli atleti neri – in particolare con Magic Johnson – ad un potere di natura economica che prima non era loro concesso allo stesso modo e che troverà una massima espressione, quasi definitiva, in Michael Jordan alcuni anni dopo. Insomma, al di là del resoconto più o meno veritiero dell’inizio del periodo d’oro in NBA dei Lakers, non mancano gli spunti in altre direzioni all’interno della serie (le atmosfere e l’audacia dei protagonisti di quel periodo, le relazioni tra le due Americhe al cospetto di un obiettivo comune, eccetera eccetera…). Di nuovo su Disney+, a circa tre anni dall’uscita statunitense, è disponibile Wu-Tang: An American Saga, produzione che ripercorre le origini di uno dei collettivi più importanti di sempre nella storia dell’hip hop. Bel-Air, benché aggiunga poco al “già noto” in termini di scrittura e criticità affrontate (ma anche alle peripezie di Willy, quello originale), credo meriti almeno una sbirciata. Infine l’universo Power, le serie prodotte da 50 Cent (a cui possiamo aggiungere BMF), su STARZPLAY, se vi piacciono le cose gangsta.
Quanto ai documentari, il primo suggerimento di Mookie per l’estate è quello di recuperare – se nel frattempo è sfuggito ai vostri radar – Summer Of Soul di Questlove, già vincitore agli Oscar 2022. Il lavoro ripercorre i momenti salienti dell’Harlem Cultural Festival del 1969, evento che durò sei settimane d’estate. Ma a differenza di Woodstock dello stesso anno, poco e niente del festival di Harlem era arrivato ai giorni nostri, incluse le riprese – uno spaccato di vita nera in quegli anni – che sono rimaste perlopiù inedite fino alla realizzazione del documentario, distribuito poi tra il 2021 e il 2022.
Docuserie imperdibile quest’anno è jeen-yuhs: A Kanye Trilogy di Coodie e Chike, di cui abbiamo scritto abbondantemente nell’unica puntata della newsletter dedicata interamente a Kanye West.
JANET JACKSON., in onda in quattro episodi su Sky Documentaries, è il classico documentario in formato “seduta dallo psicologo”, ma siccome c’è tanto della famiglia Jackson ed è una storia di emancipazione – quella di Janet, chiaramente, artista incredibile – la visione è consigliata.
Allora, le cose stanno così. Tra i libri, lo scorso anno consigliai un titolo sulla fiducia, senza in realtà averlo letto. Corso ai ripari a inizio 2022 (nel frattempo il testo è divenuto un punto di riferimento in alcune delle ultime puntate di Mookie), reitero l’invito a leggere Finché non ci ammazzano di Hanif Abdurraqib. La struttura può ricordare Otto anni al potere di Ta-Nehisi Coates, ma l’approccio è più intimo. Sul fronte rap, politica e aspetti tecnici legati all’hip hop, il titolo che merita di essere “rispolverato” è Prophets of the Hood di Imani Perry, professoressa di Studi afroamericani alla Princeton University. Negli ultimi mesi, per chi preferisce questo tipo di letture, sono uscite biografie a tema rapper: in Italia The butterfly effect. La storia di Kendrick Lamar e dell'America nera di Marcus J. Moore, negli Stati Uniti It Was All a Dream: Biggie and the World That Made Him di Justin Tinsley e Dilla Time: The Life and Afterlife of J Dilla, the Hip-Hop Producer Who Reinvented Rhythm di Dan Charnas.
Chiudiamo la rassegna dei soliti consigli non richiesti per l’estate con i podcast. Still Processing, anche in questa stagione, è un ottimo punto di partenza. Molto interessante, inoltre, il podcast investigativo del Washington Post, Broken Doors, che indaga sui metodi di irruzione – senza preavviso – della polizia nelle case, i no-knock warrant. Si tratta di casi eccezionali, talvolta purtroppo con effetti devastanti, come fu nella vicenda di Breonna Taylor, a Louisville. Su Spotify è invece disponibile la seconda stagione del podcast del giornalista Alex Pappademas, Big Hit Show, dedicata al disco di Kendrick Lamar del 2015, To Pimp A Butterfly, un classic album che ha segnato gli anni di Black Lives Matter. Il podcast contiene interviste ovviamente a Lamar e ad artisti del calibro di George Clinton, Flying Lotus, Thundercat e Rapsody.
Ok, giunti fin qui ritengo doverose due o tre considerazioni prima dei saluti. Forse vi sarà capitato di leggere questo articolo del Post sulla fatica di spedire con regolarità una newsletter e delle ragioni per cui tanti, anche tra i più famosi, stanno rinunciando a farlo o, almeno, stanno alleggerendo di molto il proprio lavoro. Devo ammettere che, nel nostro perimetro, la progettualità di Mookie è una delle cose che più mi sta dando da pensare. Non sto annunciando alcunché, torneremo a leggerci a settembre. Solo che questa newsletter, per come la conosciamo oggi, non potrà proseguire alle medesime condizioni. Ora non è mia intenzione tediarvi sul grado di impegno che una tale mole di lavoro aggiuntivo comporta, ma è evidente che in una prospettiva di lungo periodo qualcosa dovrà cambiare, se non altro per dare senso e continuità a tutto ciò. Raccontare un pezzo di America, mettendola in relazione alla musica nera, è un lavoro che mi appassiona e davvero appagante, mi ha dato la possibilità di conoscere gente nuova e confrontarmi con tante e tanti di voi su argomenti che nel mio ho sempre trattato, ma mai con la stessa dedizione. Come e perché abbia avvertito la necessità è storia vecchia, ma adesso è anche opportuno capire che tipo di indirizzo dare a Mookie. Non è detto che alla ripresa di settembre abbia immediatamente proclami o avvisi da comunicare (intanto: qualsiasi vostro consiglio è ben accetto), ma conto di trovare nell’arco di qualche mese una soluzione a questa rinnovata esigenza, così da garantire ancora, si spera, lunga vita a Mookie.
Era quanto dovevo prima di augurarvi una buona estate e ringraziarvi per il sostegno e la compagnia. Ma non lasceremo nulla di intentato. Se non lo fa JAY-Z, perché noi dovremmo?
Ne approfitto, a maggior ragione dopo il pistolotto, per salutare e ringraziare della fiducia le nuove iscritte e i nuovi iscritti alla newsletter. Per il resto non lasciamo decadere le sane, vecchie abitudini: domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici!
Appuntamento a settembre, dunque. Passate un’ottima estate. Per qualsiasi comunicazione c’è il profilo Instagram, per quanto Instagram stia diventando odioso (non trovate anche voi?).
A presto e state bene!