Louisville, Kentucky. È la notte del 13 marzo 2020. Tre agenti di polizia — Jonathan Mattingly, Brett Hankison e Myles Cosgrove — fanno irruzione in una casa, convinti di trovarci dentro uno spacciatore. In quella casa ci sono Kenneth Walker e la sua fidanzata, Breonna Taylor. Stanno dormendo, ma i rumori li svegliano di soprassalto. Walker — questa la sua versione dei fatti — teme si siano introdotti dei ladri, impugna una pistola e spara un colpo, sperando di metterli in fuga. In pochi istanti la situazione precipita. Nella sparatoria che segue l’incidente, i proiettili raggiungono Breonna Taylor e la uccidono. Difficile non potesse finire in tragedia: i proiettili sparati dalla polizia risulteranno essere 32 e alcuni di questi sono stati ritrovati negli appartamenti vicini. Della droga, invece, nessuna traccia.
Dei tre poliziotti coinvolti, solo Hankison viene licenziato a seguito dell’accaduto. Per un po’, tuttavia, di quanto avvenuto a Louisville, non si parla più. A partire da maggio, quando a Minneapolis muore George Floyd, soffocato durante un fermo di polizia, nelle città americane è un susseguirsi di proteste. Black Lives Matter torna ad occupare le prime pagine dei giornali, nonostante una pandemia che non dà tregua, mentre si torna a chiedere giustizia per Breonna Taylor. Al riguardo, prendono posizione star della musica, come Beyoncé, o dello sport, come LeBron James. Rapper e attori, attivisti e gente comune. Anche il campione di F1, Lewis Hamilton, farà sentire la sua vicinanza.
Louisville, Kentucky. È il 23 settembre e il gran giurì decide di non incriminare Jonathan Mattingly e Myles Cosgrove, che la fanno franca ancora una volta. Solo Hankison dovrà fare i conti con la giustizia, ma non per la morte di Breonna. Più semplicemente, per condotta pericolosa. Secondo Ben Crump, avvocato della famiglia Taylor, si tratta di un’offesa. Per i legali di uno degli agenti, la decisione è corretta, perché non corrisponde al vero che i tre non abbiano agito in modo professionale. A Louisville viene indetto il coprifuoco, ma quella che seguirà sarà comunque una notte di proteste e disordini. Cos’altro può mai andare storto?
Da quando è morto George Floyd le playlist hip hop a tema Black Lives Matter si sono sprecate. Il nome di Breonna Taylor non sempre viene citato, ma Tobe Nwigwe — rapper di Houston, Texas, figlio di immigrati nigeriani — dice chiaramente, in un brano non più lungo di 44 potentissimi secondi: «Arrestate i killer di Breonna Taylor».
Il pezzo è contenuto in THE PANDEMIC PROJECT, disco — il titolo spiega tutto — di sole sei tracce (di cui l’ultima, da oltre mezz’ora, è una specie di podcast familiare), uscito a inizio agosto. L’album è la quintessenza di ciò che finora ha sfornato Tobe (dal 2017 non si è mai fermato), uno dei tanti MC di ultima generazione (anche se non è più un ragazzino) che devono la loro fortuna a ciò che pubblicano online. Leggenda vuole che, mentre si stava facendo conoscere con la serie #getTWISTEDsundays su Instagram, a un certo punto sia entrato nelle grazie degli Obama. Di fatto la sua musica è una questione di famiglia, visto il coinvolgimento diretto della moglie Fat. E in definitiva potremmo anche azzardare che Tobe Nwigwe sia in realtà un gruppo, che vede alle produzioni la presenza fissa di LaNell Grant, più altri musicisti e compositori. Poteva essere un campione della NFL, invece si è dato alla musica e alla narrazione della blackness, che nel suo caso, per ovvie ragioni, presenta una prospettiva più ampia. Ne sentiremo parlare.
Il ritratto di Tobe Nwigwe sul New York Times
Tobe Nwigwe: NPR Music Tiny Desk Concert
Altre cose di cui si sta parlando
Dopo la fine dei rapporti contrattuali con Spotify, Joe Budden ha annunciato la nascita del Joe Budden Network, che diventerà presto la “casa” del suo show e produrrà, dal prossimo mese, anche il podcast See, The Thing Is… con Bridget Kelly, Mandi B e Olivia Dope.
Nel frattempo la Warner Music ha acquisito HipHopDX, uno dei più famosi siti americani dedicati al rap.
Venerdì, giornata di uscite discografiche e graditi ritorni: Public Enemy, Paris, Nappy Roots.
Non potevamo non parlare di Breonna Taylor in questa puntata. Sono aspetti fondamentali, uno spaccato della società statunitense che, pur nella loro drammaticità, vale la pena seguire se si vuole capire qualcosa in più dell’America (e dell’hip hop, anche, perché no). Noi ci si legge di nuovo la prossima settimana, a presto!