I criteri utilizzati per scegliere gli argomenti di una puntata di Mookie possono variare di volta in volta. Può capitare che si decida di raccontare qualcosa tornata alla mente, oppure che un fatto, un’analisi o un rapporto siano meritevoli di particolare attenzione. Certamente l’attualità conta: in alcuni casi è funzionale alla realizzazione di una storia che abbia un senso narrativo nel tempo e nello spazio; in altri, invece, è il motivo scatenante. Proprio come in questo weekend di maggio.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che vi svela il dietro le quinte.
JAY-Z quale “prodotto” della black culture, cioè «nostro». «Hip hop», laddove hip hop, naturalmente, era un modo per sottolineare l’esclusività. Quando Dave Chappelle, alla cerimonia della Rock and Roll Hall of Fame di fine ottobre 2021, ha introdotto il suo amico di lunga data JAY-Z – il cui ingresso è stato omaggiato in video anche dall’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama –, c’è stato chi ha sollevato dubbi sulla bontà della posizione, una sorta di ostracismo fuori dal tempo che non teneva conto del contributo, fondamentale, delle tante frazioni di pubblico che hanno permesso all’hip hop di scalare le classifiche e diventare il genere musicale più influente degli ultimi anni. Chappelle, in questi giorni al centro delle cronache per un’aggressione ricevuta sul palco a Los Angeles, si stava chiaramente rivolgendo ad una platea il cui contesto di riferimento era bianco per tradizione, il medesimo che in termini economici – non solo in America – permette da sempre a tanti artisti neri di guadagnare un mucchio di soldi. Ma la cultura, l’essenza del messaggio, è un’altra cosa: «Il modo in cui una persona bianca potrebbe ascoltare la sua musica non è lo stesso di qualcuno che viene dai Marcy Projects».
È un tema ampiamente dibattuto e controverso che nell’hip hop, quasi per inevitabile conseguenza, ha spesso coinvolto i rapper bianchi, trovando nel caso Macklemore-Kendrick Lamar ai Grammy del 2014 uno dei momenti più significativi dell’intera faccenda. Per dirla altrimenti, per quanto il discorso di Chappelle, specialmente alle nostre latitudini, possa in apparenza stridere con le situazioni di vita che diamo per scontate nel 2022, nel lacunoso ideale di società post-razziale, in realtà è il risultato di un sentimento diffuso, che pianta radici profonde.
Come osserva il Pew Research Center, «non importa da dove vengono, chi sono, la situazione economica o il background educativo», la maggioranza dei neri americani (76%) afferma che la razza è fondamentale per l’identità e per la conoscenza di se stessi. Non solo: una porzione importante degli intervistati sostiene che quando accade qualcosa alle persone nere nelle comunità locali, in tutta la nazione o nel mondo, questo ha un impatto su ciò che accade nelle loro vite, evidenziando perciò un notevole senso di connessione.
Non mancano le sfumature. Ad esempio si rilevano differenze di opinione tra i neri che si dichiarano democratici e quelli che si dichiarano repubblicani – la figura del Black Republican è stata costantemente oggetto di studio nel quadro delle trasformazioni politiche di cui l’America nera è testimone –; oppure tra i cittadini statunitensi (la stragrande maggioranza) e quelli nati altrove; tra i più giovani, in realtà poco inclini a conoscere la storia degli antenati, dell’epoca schiavile e delle origini della propria famiglia.
Resta però un aspetto interessante, che è quello della connessione tra individui, riscontrabile su più livelli narrativi, tipo il concetto di black love che è un concentrato di esperienze, eredità culturali e orgoglio collettivo. O, allargando l’obiettivo, quello della genitorialità nera, perché il mondo è percepito come qualcosa di troppo duro da affrontare. Ha scritto Ta-Nehisi Coates: «L’amore che i neri provano per i propri figli è quasi un’ossessione. Voi siete tutto ciò che abbiamo e arrivate a noi già in stato di minaccia. Credo che preferiremmo uccidervi con le nostre mani piuttosto che vedervi ammazzati da quelle strade che l’America ha costruito». E ancora il cibo, la moda, le acconciature, al cospetto di un’identità che viene messa alla prova ogni giorno: una questione di «non farlo», «non dire questo» e «non dire quello», per riprendere di nuovo Chappelle.
Don’t touch my hair
When it’s the feelings I wear
Don’t touch my soul
When it’s the rhythm I know
Don’t touch my crown
They say the vision I’ve found
Don’t touch what’s there
When it’s the feelings I wear– Solange, Don’t Touch My Hair, 2016
Visto da qui, potremmo avere legittimamente dubbi sulla teoria di Chappelle riguardo il perché JAY-Z appartenga ad un gruppo più di quanto possa appartenere ad altri, ma di spunti del genere è piena la letteratura. Ricordando alcuni dei messaggi già veicolati da Adrian Younge sull’importanza della musica in quanto «portatrice della memoria collettiva», nel primo episodio della nuova stagione di Still Processing, il podcast di Wesley Morris e Jenna Wortham per il New York Times, la professoressa di studi afroamericani alla Yale University, Daphne A. Brooks, a un certo punto della conversazione osserva come raccontare determinate storie, complicate, struggenti, riferimenti culturali dalla schiavitù ai giorni nostri, sia un compito arduo che richiede un insieme di pratiche espressive e modi diversi di comunicare. Un aiuto in questo senso arriva dalla tecnologia, grazie alla quale, osserva, Lemonade di Beyoncé si appresta a diventare uno degli album più recensiti di tutti i tempi. Brooks cita dunque Greg Tate, scrittore e critico culturale, già collaboratore del Village Voice, morto a dicembre dello scorso anno, il quale «ci ha sempre ricordato che abbiamo un posto nel mondo e che il modo in cui lo abbiamo annunciato aveva a che fare con l’arte che abbiamo realizzato». Così – è la conclusione per alcuni versi amara – «abbiamo trasmesso il significato di quell’arte come strumento di sopravvivenza».
Freedom! Freedom! I can’t move
Freedom, cut me loose! Yeah
Freedom! Freedom! Where are you?
‘Cause I need freedom, too!
I break chains all by myself
Won’t let my freedom rot in hell
Hey! I'ma keep running
‘Cause a winner don’t quit on themselves– Beyoncé, Freedom, 2016
Roe v. Wade
Le anticipazioni di Politico sulla bozza di parere della maggioranza redatta dal giudice Samuel Alito secondo cui la Corte Suprema statunitense sarebbe orientata a ribaltare la sentenza Roe v. Wade del 1973, che riconosce il diritto costituzionale all’aborto nel paese, ha contribuito ad alimentare polemiche in realtà già avviate dalle decisioni di alcuni Stati a guida conservatrice, sebbene il parere conclusivo sul caso non sia stato ancora pronunciato ed è atteso non prima di giugno. La Corte Suprema ha nel frattempo precisato che la bozza della decisione sulla sentenza riportata nei giorni scorsi dai media è autentica, pur non rappresentando la posizione definitiva dei nove giudici. Il presidente John Roberts ha annunciato indagini sulla fuga di notizie, mentre il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha invitato da un lato i membri della Corte a sostenere la sentenza (dunque a non dare seguito ai contenuti della bozza) e dall’altro, proprio in previsione di quanto invece potrebbe accadere, gli elettori a «scegliere funzionari pro-choice a novembre», innescando perciò un nuovo capitolo nella campagna per le elezioni di metà mandato.
Negli Stati Uniti non esiste una legge univoca, ma a livello federale l’aborto è garantito, appunto, dalla sentenza Roe v. Wade che di fatto sancisce come le decisioni sulla gravidanza spettino alla donna, ragione per cui il tema è rimasto da allora al centro del dibattito politico e sociale. In materia i singoli Stati sono andati sempre in ordine sparso e di recente c’è chi ha applicato regole che disattendono il principio della Roe v. Wade. La Corte Suprema sta valutando una legge del Mississippi che nei fatti è un superamento della sentenza del ‘73 – al momento è in atto uno “scontro” tra gli Stati che intendono rendere illegale l’aborto e quelli che proveranno a rafforzare diritti e tutele – e ora che siedono sei giudici conservatori – costituendo un’ampia maggioranza – e solo tre liberali, tale possibilità è più vicina a divenire realtà. I tre giudici scelti dall’ex presidente Donald Trump (Neil M. Gorsuch, Brett M. Kavanaugh e Amy Coney Barrett), insieme a Samuel Alito e Clarence Thomas, sarebbero infatti propensi a revocare il diritto all’aborto. Questo spiega l’appello di Biden in vista del prossimo appuntamento elettorale per il rinnovo del Congresso, che tuttavia non renderebbe la questione di facile soluzione anche se a vincere – ipotesi da molti ritenuta improbabile – dovessero essere i democratici.
Detto che è l’economia la priorità dei cittadini americani (ma il 54% confida in un passo indietro della Corte), i dati suggeriscono che il ribaltamento della Roe v. Wade potrebbe colpire soprattutto le donne che vivono in condizioni di fragilità. Secondo un rapporto del 2018 dei Centers for Disease Control and Prevention, le donne nere sono il segmento demografico che presenta il tasso di aborto più alto nel paese, ma sono anche quelle che incontrano più ostacoli nell’assistenza alla maternità e nell’accesso a servizi di salute riproduttiva, lasciando dietro di sé una lunga scia di stereotipi e cliché che perdura dalla notte dei tempi.
I Digable Planets sono – erano – la dimostrazione di come a volte ci si adagi eccessivamente sugli allori quando c’è da descrivere un fenomeno. Questo, forse, è un pezzo di spiegazione del perché il rap sia stato, troppo a lungo, percepito nella maniera sbagliata. Il gruppo di New York, già tra la fine degli anni ‘80 e i primi ‘90, mentre si assisteva ad una scena che era o gangsta o rivoluzionaria – spaccati che, beninteso, erano motivati dalle istanze del periodo – proponeva un hip hop alternativo, pieno di riferimenti jazzistici e contenuti di spessore, mantenendo un occhio vigile sull’attualità ed esprimendo una capacità di scrittura fuori dal comune. Nel 1993 pubblicavano La Femme Fetal, brano che esplora le vicende attorno alla Roe v. Wade, dai giudizi dell’America più bigotta alle possibilità di scelta. È incredibile riascoltarlo oggi, constatandone la ciclicità degli eventi.
“You remember my boyfriend Sid, that fly kid who I love?
Well, our love was often a verb and spontaneity has brought a third
But due to our youth and economic state, we wish to terminate
About this we don’t feel great, but baby, that’s how it is
But the feds have dissed me
They ignored and dismissed me
The pro-lifers harass me outside the clinic
And call me a murderer, now that’s hate
So needless to say, we’re in a mental state of debate”
“Hey, beautiful bird”, I said, digging her somber mood
“The fascists are some heavy dudes
They don’t really give a damn about life
They just don’t want a woman to control her body
Or have the right to choose
But baby that ain’t nothin’
They just want a male finger on the button
Because if you say war, they will send them to die by the score
Aborting mission should be your volition
But if Souter and Thomas have their way
You’ll be standing in line unable to get Welfare while they’ll be out
Hunting and fishing
It has always been around, it will always have a niche
But they’ll make it a privilege, not a right
Accessible only to the rich
Hey, pro-lifers need to dig themselves
Because life doesn’t stop after birth
And for a child born to the unprepared
It might even just get worse
The situation would surely change, if they were to find themselves in it
Supporters of the H-Bomb, and fire-bombing clinics
What type of shit is that? Orwellian, in fact
If Roe v. Wade was overturned, would not the desire remain intact
Leaving young girls to risk their healths
And doctors to botch, and watch as they kill themselves
Now, I hate to sound macabre
But hey, isn’t it my job
To lay it on the masses and get them off their asses
To fight against these fascists
So, whatever you decide, make that move with pride
Sid will be there and so will I
An insect ‘til I die [...]Land of the free
But not me, not me
Not me, not me, not me, not me, not me, not me, not me, not me– Digable Planets, La Femme Fetal, 1993
Siamo così giunti al termine di questa puntata della newsletter. Dai, che abbiamo ripreso il ritmo! Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici: più siamo, meglio è. Vero?
Al solito, ci rileggiamo tra due venerdì. A presto!