So why did I weep when Trayvon Martin was in the street
When gang-banging make me kill a nigga blacker than me?
Hypocrite!Kendrick Lamar, The Blacker The Berry, 2015
In quei giorni di febbraio eravamo in piena sbornia da Dre Day al Super Bowl: è una scorciatoia per provare a giustificare quella che è stata una dimenticanza bell’e buona, di cui – inutile girarci intorno – mi assumo la responsabilità. Per quanto mi riguarda, il Dre Day resta l’evento dell’anno in materia di hip hop, ma in un modo incredibilmente fatalista la morte di Trayvon Martin rappresentò, dieci anni fa, uno spartiacque nella storia recente degli Stati Uniti. La tragedia avvenne il 26 febbraio 2012, a Sanford, Florida, verso le sette di sera, quando un sedicente vigilante di quartiere, George Zimmerman, ritenne opportuno pedinare con la macchina – dopo averlo segnalato alla polizia – un ragazzino di 17 anni alla sua vista “sospetto”, finendo poi per litigarci e sparargli un colpo di pistola. L’assoluzione al processo l’anno successivo, sulla base della legge Stand Your Ground del 2005, determinò reazioni a tratti fragorose e proteste sparse, ma soprattutto la nascita di Black Lives Matter.
Si mobilitò anche l’hip hop. Vennero distribuiti online mixtape e brani tributo quali It’s A Cold World di Jeezy, Justice - If You’re 17 di Wyclef Jean e Made You Die dei Dead Prez con Yasiin Bey (Mos Def), sul beat di Made You Look di Nas, prodotto da Salaam Remi.
They shootin’, made you die
They act as if the murder in a sense is not crime
Killers on the run, watchmen your times up, Mr. Murder where you hidin’ at, they shootin’, made you die
They act as if the murder in a sense is not crime
Killers on the run, watchmen your times up, I hope hear this
Right where you’re hidin’ atDead Prez feat. Mike Flo & Yasiin Bey, Made You Die, 2012
Da allora si può dire che esista un’America pre e post Trayvon Martin. Certo che casi simili si erano tristemente potuti osservare anche in precedenza, ma la sua uccisione – e la vicenda giudiziaria che ne derivò – ha come scoperchiato il vaso di Pandora. Quest’idea di un prima e un dopo è filo conduttore di tanti autori (Ta-Nehisi Coates, Hanif Abdurraqib e Marcus J. Moore tra gli altri) e addirittura, a un certo punto, segnò la presidenza Obama.
Eccoci, dunque. Inauguriamo la terza stagione di Mookie con una puntata che vuole introdurre, pur tornando indietro al 2012 – un’era giurassica fa –, alcuni dei temi che potrebbero interessare nelle settimane che anticiperanno le elezioni di metà mandato in programma a novembre. Un saluto affettuoso alle nuove iscritte e ai nuovi iscritti, qui è dove parliamo di musica nera e di America, ma suppongo lo sappiate già. Per qualsiasi suggerimento o critica, potete rispondere alla mail. Un like è sempre ben accetto, ma lo sono a maggior ragione una condivisione di qua o di là e il passaparola: più siamo, meglio è.
Dove eravamo rimasti? Ok, riprendiamo.
Quanto seguì la morte di Trayvon Martin, da Eric Garner e Michael Brown fino a Breonna Taylor e George Floyd, I can’t breathe, le lacrime, le proteste, Black Lives Matter v. All Lives Matter, gli alti e bassi di BLM con le sue divisioni interne e più di qualche caso controverso, The Birth Of A Nation e il suprematismo bianco di ritorno, le marce di milioni di persone, le culture wars e gli annosi dibattiti sull’eccesso di politicamente corretto, il movimento Me Too, di nuovo il free speech e l’ideologia woke, un po’ di cancel culture e le avvertenze ai film del ‘39, qanonisti e complottisti di vario tipo, tutto questo, insomma, è frutto di una crescente polarizzazione che non dipenderà esclusivamente da quel singolo evento, ma che da lì ha cominciato a prestare il fianco, con rinnovato vigore, ai non pochi tentativi di screditare i segmenti sociali più vulnerabili, ma al tempo stesso ora più consapevoli. È in questo decennio che si è consolidata l’idea di razzismo sistemico, un concetto che, beninteso, esisteva già, ma che è diventato predominante nelle discussioni alla luce dei ritardi strutturali e delle lacune storiche che hanno continuato ad accrescere la divisione tra le due Americhe, quest’ultima solo in apparenza sanata dal successo di sportivi/e, attori/attrici, cantanti, rapper e talvolta di alcune figure politiche.
La vicenda di Trayvon Martin non venne subito a galla. Passò qualche settimana prima di diventare di dominio pubblico, ma la svolta, si fa per dire, arrivò quando il presidente Obama fece un commento più emotivo che politico: «Se avessi un figlio, sarebbe come Trayvon». Queste parole si trasformarono nel pretesto per attaccare l’allora inquilino della Casa Bianca, con Newt Gingrich in testa che contestava a Obama l’aver messo in risalto il colore della pelle della vittima, mentre qualunque giovane – era più o meno la posizione espressa all’epoca – necessita di protezione, quale che sia la sua origine. Messo da parte l’ovvio, l’accusa era che per il presidente un ragazzo bianco ucciso «sarebbe stato meno grave». Tornare sulle polemiche di dieci anni fa in questa newsletter è esercizio (forse) inutile, ma il breve ripasso può comunque aiutare a comprendere il contrasto di fondo che aleggia negli Stati Uniti, un assaggio – presente nelle sacche più radicali – di ciò che in fasi più recenti è stato sintetizzato con lo slogan tutte le vite contano.
Crawling through a systematic maze
And it pains to demise
Pain in our eyes
Strain of drownin’, wading into your lies
Degradation so loud that you can’t hear the sound of our cries (doo, doo)
All the dreamers have gone to the side of the road which we will lay on
Inundated by media, virtual mind fucks in streamsD’Angelo, The Charade, 2014
Nei dieci anni, oltre a (ri)galvanizzare il rap di protesta, si sono accesi i riflettori su diversi temi, escludendo per un momento la brutalità della polizia e gli episodi violenti motivati dal razzismo. Ad esempio il tema delle riparazioni per i torti subiti dalla popolazione nera nell’epoca schiavile e durante Jim Crow, questione divenuta nel frattempo mainstream – in particolare grazie a Coates –, ma che era in voga già negli anni ‘60-‘70 tra le organizzazioni che si occupavano di diritti civili. O l’adozione di leggi, qua e là, volte a limitare l’accesso al voto, con il malcelato obiettivo di svantaggiare soprattutto l’elettorato nero. O gli effetti devastanti sui singoli individui, dovuti, ancora oggi, alle politiche residenziali del secolo scorso (argomento anch’esso strettamente legato a quello delle riparazioni). Serve una prova istantanea di cosa è stato il razzismo sistemico? Sarebbe sufficiente recarsi a Jackson, capitale del Mississippi alle prese con una grave crisi idrica. Il mix di inondazioni e infrastrutture carenti – un problema enorme e diffuso negli Stati Uniti – ha messo ko l’intero sistema e una quota piuttosto elevata dei circa 150 mila abitanti, per oltre l’80% neri, non può bere l’acqua che arriva nelle case ed è costretta a farla bollire per tutti gli altri usi. Una situazione per cui Biden ha dichiarato lo stato d’emergenza federale e che ricorda in linea di principio Flint, Michigan, qualche anno fa, anche se a Jackson la crisi si spiega una volta di più con il redlining e con la decadenza generale derivata dalla fuga dei residenti bianchi più ricchi negli anni ‘70-‘80 a causa di iniziative quali il desegregation busing.
But that’s just the trouble (do it slow)
Washing the windows (Too slow)
Picking the cotton (Too slow)
You’re just plain rotten (Too slow)
You’re too damn lazy (Too slow)
The thinking’s crazy (Too slow)
Where am I going, what am I doing
I don’t know, I don’t know
Just try to do your very best
Stand up, be counted with all the rest
For everybody knows about Mississippi, goddamn
(I bet you thought I was kidding, didn’t you)Nina Simone, Mississippi Goddam, 1964
Da Trayvon Martin a George Floyd, la sensazione di molti è che gli Stati Uniti non siano riusciti a compiere passi in avanti significativi. Secondo un sondaggio del Pew Research Center condotto a ottobre 2021, il 65% dei neri americani ritiene che la maggiore attenzione sulle diseguaglianze razziali non abbia prodotto cambiamenti in grado di migliorare le loro vite. Circa otto neri su dieci in America affermano di aver subito personalmente discriminazioni. Tra le misure considerate fondamentali per arrivare ad un trattamento equo, vengono menzionate le riforme al sistema di giustizia penale, la garanzia di poter esercitare il proprio impegno politico attraverso il voto, il sostegno economico alle imprese nere per contribuire all’avanzamento delle comunità, l’assistenza educativa e la tutela della proprietà (qui il rapporto completo, interessante il passaggio sulle sfumature tra gli intervistati che si dichiarano repubblicani o democratici).
In vista delle elezioni midterm, la principale preoccupazione è però l’economia. E un’altra questione di strettissima attualità, come il diritto all’aborto dopo il ribaltamento della Roe v. Wade, occupa uno spazio ampio pur nelle possibili differenze di giudizio che risiedono nel conservatorismo nero. Ma di tutto questo parleremo ancora nelle prossime settimane.
I am Sugar Ray Robinson, Booker T. Washington
W. E. B. Du Bois, I’m the modern one
Yelling at Senators, Presidents, Congressmen
We got a problem that needs some acknowledgement
I am no prison commodity, not just a body you throw in a cell
For any reason, just to bother me
Just for your quota, so it’s rest in peace to Sean Bell
Sleep in peace Eric Garner (Sandra)Usher feat. Nas & Bibi Bourelly, Chains, 2015
Altre cose interessanti
Proseguono i gravissimi guai giudiziari di R. Kelly.
È stato ucciso PnB Rock a Los Angeles in una tentata rapina, e forse c’entra un post su Instagram.
È sempre bello tornare, mi era mancato Mookie, spero anche a voi. Questa breve puntata è dedicata ad una persona cara che non c’è più: grazie di cuore. Adesso è il momento delle sane, vecchie abitudini: domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici!
Ah, è tornato inoltre Soul (R)Evolution di Fabio Negri (con Simone Cazzaniga, Luca Damiani, Michele Albano e Badge and Talkalot), ma è una cosa tutta nuova che potete ascoltare in un doppio appuntamento, il martedì e il sabato, su MixCloud o su Spotify. E sì, dentro c’è anche un po’ di Mookie ;) Poi, il giovedì, nello stesso luogo, trovate anche Back To Black di Lucia Schillaci.
Noi invece ci leggiamo tra due venerdì, a presto!