Dai, questa era facile. Indovinare il tema della puntata, dico. Devo però ammettere che non era troppo sicuro, non a caso stavo vagliando diversi piani “b”. Molto sarebbe dipeso dallo show. E poiché le aspettative sono state rispettate, così come il conseguente brusio, eccoci qua.
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Partiamo dalla fine. In settimana si è dibattuto abbastanza di Eminem che a un certo punto dell’esibizione all’Halftime Show del Super Bowl di domenica 13 febbraio si è inginocchiato, rievocando la protesta di Colin Kaepernick che tanto scalpore fece negli anni scorsi: un grattacapo niente male per la NFL che se da un lato, di fatto, è costato la carriera al quarterback, dall’altro ha spinto i vertici della lega a cambiare molte cose e a ricostruirsi un’immagine in senso più inclusivo. Il gesto di Eminem è stato ricco di significati, perché compiuto da uno dei rapper più famosi al mondo, in qualche misura – e spesso suo malgrado – simbolo di quel segmento di società (bianca) abbandonata alla periferia del sogno americano e talvolta distante dalle istanze dell’America nera.
FULL Pepsi Super Bowl LVI Halftime Show
Ma a parte questo – per un po’ si è mormorato che la NFL avesse dato delle indicazioni sui comportamenti da tenere durante il live, poi disattese da Dr. Dre e soci (anche se la circostanza è stata prontamente smentita, per cui il New York Times si è chiesto a proposito di Eminem: è ancora protesta se firmata e approvata?) –, l’Halftime Show 2022 è già un pezzo di storia della musica e dell’hip hop. Il Dottore, Snoop Dogg (sempre a suo agio e con un abbigliamento fortemente evocativo), Eminem, Mary J. Blige (divina) e Kendrick Lamar (al solito ispiratissimo), ai quali si sono aggiunti 50 Cent e Anderson .Paak, hanno dato vita ad uno spettacolo che ha celebrato la cultura e, certamente, lo stile losangelino. Anche l’omaggio a Tupac, con Dre che al piano ha suonato le note iniziali di I Ain’t Mad At Cha, è stato un momento che se il termine non fosso tanto abusato non faticheremmo a definire iconico.
Da quando lo show viene prodotto dalla Roc Nation, a JAY-Z non sono state risparmiate critiche per avere organizzato spettacoli “poco hip hop”, al di là del successo dei singoli eventi. La sua collaborazione con la NFL è una delle conseguenze della protesta di Kaepernick (che lo stesso JAY-Z ha sostenuto), oltre che motivo di discordia negli ambienti più “duri e puri”. Quanto all’hip hop, evidentemente fin qui non era stato il momento giusto. Quello di domenica scorsa, il primo Super Bowl disputato a Los Angeles in questo secolo, è stato, al contrario, l’occasione per onorare una parte fondamentale di cultura, lascito per le future generazioni. Anche stavolta, JAY-Z ha avuto ragione.
Superata la sbornia, rimane il dubbio: perché adesso? Tra le righe la stessa domanda è stata posta da Dr. Dre in conferenza stampa, nei giorni che hanno preceduto la performance artistica. È come se l’hip hop – pure a fronte dei riconoscimenti che ancora di recente gli sono stati attribuiti e alla vigilia dei 50 anni di esistenza – solo ora avesse ricevuto il pieno apprezzamento di massa che un palcoscenico come quello del Super Bowl sa garantire. Ed è paradossale perché l’hip hop, nelle sue innumerevoli declinazioni, comanda le classifiche mondiali ormai da tempo.


Non c’è una ragione specifica, né può continuare a reggere la scusa che siccome l’hip hop delle origini era una cultura elitaria ce ne è voluto prima che emergesse su scala globale: sono passate ere giurassiche, intanto. Ed è sorprendente che la ribalta sia arrivata per mano di artisti ampiamente attivi, ma alcuni con oltre 50 primavere alle spalle o giù di lì. Il più giovane a esibirsi, Kendrick Lamar, ha 34 anni ed è l’anello di congiunzione – in un modo non scontato – tra le diverse schiere anagrafiche di fan. Cosa ci suggerisce, allora, l’Halftime Show 2022? E soprattutto, per dirla con Federico Sardo su Rivista Studio, davvero «la celebrazione dell’altra sera da un lato ci rallegra, ma dall’altro rischia di avere il retrogusto di una cerimonia post-mortem»?
Fateci caso. Succede una cosa, esaltazione collettiva. Poi cominciano a levarsi alcune voci discordanti. Non è una questione di torti o ragioni, che possono manifestarsi in egual misura, ma è una specie di rituale. Prima, però, vale la pena ricordare due o tre aspetti fondamentali. Tanto per cominciare, le motivazioni, la storia e le spinte finanche emotive di un movimento nel frattempo divenuto universale, sono tuttavia da ricercarsi in una vicenda che è dapprima un’espressione genuinamente statunitense, il risultato di un contesto politico e sociale che ha visto contrapposte – in passato e in definitiva ancora oggi – le due Americhe.
Altro spunto interessante è la collocazione geografica dell’evento, e qui sta innanzitutto la formula vincente degli organizzatori. Dr. Dre è cresciuto a una manciata di chilometri dalla sede che ha ospitato il Super Bowl, il SoFi Stadium di Inglewood. Avrete letto ovunque che l’allestimento dello spettacolo mirava ad una ricostruzione minimalista di Compton – città di origine di Dr. Dre, appunto (e di Kendrick Lamar), famosa per due cose essenzialmente: la criminalità e il gangsta rap –, che includeva luoghi rappresentativi quali Tam’s Burgers, Dale’s Donuts e il nightclub Eve After Dark, dove negli anni ‘80 un giovanissimo Andre Young si esibiva con il suo primo gruppo, i World Class Wreckin’ Cru (peraltro con dei costumi osceni che per Eazy-E divennero motivo di scherno quando Dre abbandonò gli N.W.A. e la Ruthless Records per fondare con Suge Knight, più altri tizi poco raccomandabili, la Death Row Records). Dai bassifondi al tetto del mondo: Dr. Dre è maestro dell’autocelebrazione. Un assaggio lo aveva già dato nel 2015 con Straight Outta Compton – in soldoni la sua agiografia – e il disco ispirato proprio al film, Compton.
My whole life, all I ever thought about is grindin’
Even though my surroundings only showed me crime and violence
That was back when a rapper needed guns way more than a stylist
And that was back when I felt like
Rappers was true mothafuckin’ riders
Or even back in the day when I was a fuckin’ youngster, man
Shit, I was still sayin’, “Fuck the police”
(Man, fuck the police)– Dr. Dre feat. Anderson .Paak & Marsha Ambrosius, All In A Day’s Work, 2015
Geografia e diverse latitudini: gli artisti che domenica si sono esibiti insieme a Dre sono o sue scoperte o gente le cui carriere lui ha contribuito a rilanciare. In particolare la presenza di Eminem, Mary J. Blige e 50 Cent è l’ulteriore conferma dell’impero musicale che ha realizzato. Il primo viene da una decadente Detroit, gli altri – elemento non trascurabile – da New York. Dr. Dre, infatti, è stato tra i primi a collaborare con rapper della East Coast in un periodo non facile, producendo Nas (Nas Is Coming, 1996) e sfidando la pigra narrazione di una “guerra” tra gli artisti delle due coste. Nel 1997 ha promosso con la sua Aftermath – l’etichetta creata dopo l’esperienza alla Death Row – il supergruppo The Firm (Nas, Foxy Brown, AZ e Nature, quest’ultimo in sostituzione di Cormega), tutte circostanze di cui si è fatto incessantemente vanto, nonostante le alterne fortune discografiche di quegli anni.
Check this out, it’s Nasty Nas and Dr. Dre
East meets West
That’s how we making it happen– Nas feat. Dr. Dre, Nas Is Coming, 1996
Aggiungiamo, infine, i successi in campo economico e finanziario raggiunti con il socio di sempre, Jimmy Iovine: l’acquisizione nel 2014 di Beats da parte di Apple resta a tutt’oggi il suo capolavoro più grande. In questo senso, il messaggio del Dre Day non poteva che apparire immediato: «Guardate dove sono arrivato e dove ho fatto arrivare quelli che sono qui con me». Sia beninteso: non è la prima volta che Dr. Dre grida qualcosa di simile. Ma vuoi mettere farlo a un passo da casa, su uno dei palchi più popolari e velatamente conservatori d’America, con tutti i risvolti politologici del caso? Anche questo è hip hop, o almeno una sua evoluzione già bella che avviata nei “ruggenti anni ‘90”. E la contrapposizione tra due entità raramente inclini al dialogo c’entra tantissimo.
Sicuramente ha ragione chi afferma che la NFL aveva bisogno della linfa vitale dell’hip hop per completare il nuovo corso e c’è del condivisibile anche in quanto scrive Damir Ivic su Soundwall: «La verità è che dobbiamo iniziare a renderci conto che il rap, un certo tipo di rap, quello che in molti considerano il “vero rap”, sta iniziando troppo spesso a diventare niente più che il feticcio della gioventù perduta per un sacco di persone che col rap, l’hip hop, i suoi valori e la sua carica controculturale non hanno più troppo da spartire nella vita reale». È pacifico, del resto, che il linguaggio dell’hip hop sia cambiato in profondità da quando Dre e Snoop si facevano vedere in giro su macchine decappottabili ed equipaggiate con sospensioni idrauliche. Eppure va detto anche che il ritorno mainstream del rap di protesta, osservato negli ultimi anni per i tristi avvenimenti di cui purtroppo conserviamo memoria, ha permesso ai più giovani di riscoprire classici o addirittura artisti altrimenti finiti nell’oblio.
E forse questo spiega inoltre il perché di un altro ritorno, quello prepotente dei ‘90 – ricordi che riaffiorano a maggior ragione con Dre e Snoop – nella cultura pop. Dal remake in chiave drama di una serie cult come Willy, il principe di Bel-Air, passando per Queens – ex star dell’hip hop che dopo 20 anni si riuniscono per riconquistare la fama e lo status di leggende (serie disponibile sul canale Star di Disney+) – è emblematico di un’esigenza narrativa al momento piuttosto richiesta. Anche la musica sembra andare in quella direzione: date un ascolto a MAGIC di Vince Staples e Mustard, così non ci allontaniamo da Compton. Senza dimenticare Snoop Dogg che acquista la Death Row Records dal MNRK Music Group – notizia giunta pochi giorni prima del Super Bowl e che ha anticipato l’uscita dell’ennesimo album –, con l’obiettivo dichiarato di riportare l’etichetta ad essere un player di assoluto valore nell’industria musicale dopo i guai patiti negli anni duemila.
A New York il neosindaco Eric Adams ha incontrato un gruppo di rapper, tra i quali Fivio Foreign e Maino, a seguito delle sue dichiarazioni preoccupate per la violenza armata in città e nella comunità hip hop. Il politico di turno che attribuisce una qualche responsabilità di ciò che accade nelle strade alla musica esplicita, sia drill o il rap fatto alla vecchia maniera – una materia non banale –, è o non è una scena un sacco anni ‘90? Insomma, la solita ruota che gira.
Altre cose interessanti
Oggi, venerdì 18 febbraio 2022, Dr. Dre compie 57 anni. Buon compleanno Mr. Young.
Comunque a Snoop Dogg non dategli del nonno, al massimo dello zio. Qualche giorno fa ha dichiarato che «la Death Row sarà un’etichetta NFT».
Su Spotify è da poco uscito il primo episodio della seconda stagione del podcast del giornalista Alex Pappademas, Big Hit Show, stavolta dedicato all’album di Kendrick Lamar, già classico, To Pimp A Butterfly (2015). Il podcast contiene interviste ovviamente a Lamar e ad artisti del calibro di George Clinton, Flying Lotus, Thundercat e Rapsody. Kendrick Lamar sarà in concerto a Milano il 23 giugno all’Ippodromo Snai.
Dopo la sua apparizione all’Halftime Show, 50 Cent è stato preso di mira perché sembrato fuori forma. Ma lui – c’era da scommetterci – ci ha scherzato su. Che gran personaggio.
Ok, ok. The next thing di cui parleremo per settimane è il documentario su Kanye West, jeen-yuhs: A Kanye Trilogy. Il 16 febbraio è uscito su Netflix il primo episodio (consigliatissimo, parola di Mookie). Intanto Ye nelle scorse ore ha reso noto che il secondo volume di Donda, atteso il 22 febbraio, sarà in esclusiva sulla sua piattaforma Stem Player.
L’evento dell’anno è andato, io credo di avere ascoltato The Chronic e Doggystyle una decina di volte solo in questi giorni. Poi passa: presto o tardi saremo fuori dalla bolla. Unico rammarico? L’assenza di The Game. Lui e 50 Cent sullo stesso palco sarebbe stato incredibile. Grazie per aver resistito, spero sia emersa una riflessione stimolante, oltre la semplice (seppur sacrosanta) “euforia da millennial”. Fatemi sapere la vostra!
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Ci leggiamo tra due venerdì, state bene! (Bacc On Death Row: zio Snoop, ti saremo per sempre grati!)