Un disco si giudica dalla copertina? Tecnicamente no. La storia della musica è piena di album incredibili, eppure con illustrazioni tremende. Però, di tanto in tanto, capita che di un disco si parli soprattutto per via della sua copertina. Dunque, un disco si giudica dalla copertina? Tecnicamente no, eccetera eccetera…
Bentrovati su Mookie, la newsletter che non sempre ha una risposta per tutto.
La cover di Expensive Pain, nuovo disco di Meek Mill uscito oggi, venerdì 1 ottobre, è opera dell’artista Nina Chanel Abney, il cui tratto distintivo comprende corpi geometrici, spigolosi e figure rappresentative di cliché tradizionalmente black. Abney – originaria di Chicago, ma vive e lavora a New York – compare tra gli artisti selezionati per 30 Americans, una mostra itinerante avviata ormai diversi anni fa, che include una selezione di opere di 30 artisti afroamericani. L’iniziativa ha reso celebre Class Of 2007, un dipinto che Abney realizzò per la mostra di tesi alla Parsons School Of Design di New York. Nell’opera l’artista raffigura se stessa in veste di guardia, bianca (e bionda) per di più, mentre i suoi compagni indossano l’arancione tipico delle divise carcerarie. È una narrazione che si rinnova di volta in volta, incentrata su temi quali politica, razza, brutalità poliziesca, incarcerazione di massa, sessualità. A maggio di quest’anno, Abney ha firmato anche la copertina del New Yorker.
Per pura coincidenza, restiamo a Philadelphia, la città di Meek Mill. Philadelphia ha una lunghissima tradizione musicale e, non a caso, è dove si sono formati i Roots, tra i primi a suonare – letteralmente – l’hip hop. Questlove, batterista e leader del gruppo, è un profondo conoscitore dell’arte. Il suo profilo Instagram è una sorta di museo della musica, ha prodotto lunghe riflessioni sull’hip hop e sulla black culture per il New York Magazine e altre importanti pubblicazioni, ha scritto un libro sulla legacy di Soul Train e un altro è prossimo all’uscita (già il titolo ci piace: Music Is History), in più ha curato la playlist The Michelle Obama Musiaqualogy, ha preso parte a miliardi di iniziative, tipo l’album con Elvis Costello del 2013 (secondo il vostro fedelissimo un piccolo capolavoro rimasto sottotraccia) e tiene un podcast settimanale molto seguito. Black Thought è un rapper di grande spessore, così come Malik B, morto lo scorso anno, che è uscito dal gruppo e riapparso in varie occasioni, mentre abili musicisti completano il quadro. I Roots sono conosciuti per essere la resident band del Tonight Show di Jimmy Fallon, ma da quest’altro lato dell’oceano li abbiamo scoperti soprattutto per The Seed (2.0), brano che nel 2002 ebbe un discreto successo anche grazie alla voce di Cody Chesnutt.
Nel 1999 i Roots – che esistono dalla fine degli ‘80 – uscirono per la prima volta dalla sfera talvolta protettiva dell’underground, distaccandosi lievemente dalle produzioni precedenti, molto vicine al jazz e ad un riconoscibile sound di New York e di alcuni ambienti della East Coast, che in quegli anni aveva nei Digable Planets e negli esperimenti jazzistici di Guru dei Gang Starr le massime espressioni. I Roots non diventarono “pop” – all’epoca, in questo senso, c’era ancora un muro ideologico –, ma cominciarono a muoversi in una direzione alla portata dell’ampio segmento di pubblico che di certo non si sarebbe definito “purista del rap”. Tutto ciò, ad ogni modo, avvenne senza che il gruppo smarrisse lo spirito guida che fin lì l’aveva contraddistinto. Resta il fatto, tuttavia, che il terzo album pubblicato, Things Fall Apart, può essere considerato il primo, vero successo dei Roots (e trampolino di lancio per i molti che vi presero parte), giunto peraltro in un momento che o andava bene – stavolta sul serio –, o il futuro avrebbe potuto riservare loro destini diversi.
Un aspetto interessante è il cambio di rotta che con Things Fall Apart i Roots diedero inoltre alle illustrazioni, a cominciare dalle copertine del disco. Sì, al plurale, perché di versioni all’inizio ne uscirono cinque, anche se quella più conosciuta – che trovate su Spotify, per capirci – è una fotografia scattata negli anni ‘60 a New York nel mezzo di disordini scoppiati nel quartiere Bedford-Stuyvesant di Brooklyn, dove si vedono due giovani donne nere che scappano dalla polizia.
La cover dell’album venne realizzata da Kenny Gravillis, il quale in seguito collaborerà ancora con i Roots (ci arriviamo, ma qui potete farvi un’idea dei suoi lavori) e proporrà uno schema simile nel 2000 con Like Water For Chocolate di Common. Qualche tempo fa Gravillis ha spiegato a Complex il perché della scelta poi definitiva tra le cinque possibili: aveva a che fare con il maggiore coinvolgimento emotivo che l’immagine avrebbe suscitato nelle comunità urbane.
Archiviate le foto in posa (Do You Want More?!!!??! del 1995 e Illadelph Halflife dell’anno successivo), molto frequenti nell’hip hop anni ‘80 e ‘90, con Things Fall Apart i Roots resero per davvero le cover un tutt’uno con l’album (una rarità nel rap), elemento imprescindibile e meritevole di attenzione e analisi in una fase storica evidentemente distratta da altro.
Prendiamo la copertina di Phrenology del 2002, il disco dove c’è The Seed (2.0), una creazione dell’artista Tom Huck. La frenologia – da Treccani – è una «dottrina medica elaborata e divulgata da F.J. Gall, secondo la quale tutte le funzioni psichiche avrebbero una ben definita localizzazione cerebrale, cui corrisponderebbero dei rilievi sulla teca cranica, che consentirebbero la determinazione della loro esistenza, del loro sviluppo, e conseguentemente dei caratteri psichici dell’individuo». La frenologia è ormai screditata e accantonata del tutto, ma è stata una delle tante teorie che hanno contribuito allo sviluppo del razzismo scientifico, nell’800 strumento utile agli schiavisti che potevano così rafforzare le loro convinzioni sull’inferiorità dei neri.
Dopodiché i Roots iniziarono, a maggior ragione, ad adottare titoli e copertine dai messaggi velati, quasi fossero intrecci di romanzi, in un viaggio tematico che accompagna l’ascoltatore per l’intera durata dell’album. The Tipping Point del 2004 è ispirato, nel titolo, ad un saggio di alcuni anni prima del sociologo Malcolm Gladwell, mentre la copertina – curata di nuovo da Gravillis – è la rielaborazione di una vecchia foto segnaletica di Malcolm Little, cioè Malcolm X quando non era ancora Malcolm X, dunque prima della conversione all’Islam avvenuta in prigione, il “suo” punto di non ritorno.
In Game Theory (2006) e Rising Down (2008, Gravillis) tornano alcuni dei principi visti in Phrenology. La cover di Game Theory rievoca in qualche misura lo strange fruit cantato da Billie Holiday, un concept che quest’anno Adrian Younge ha esasperato in The American Negro con un’immagine – nel frattempo sostituita nelle varie piattaforme streaming – che più cruda non si può e che riporta alla memoria l’orrore delle “cartoline ricordo” dei linciaggi.
Quella di Rising Down, invece, rappresenta una specie di diavolo alato in versione blackface, rimarcando perciò la più classica delle stereotipizzazioni del nero americano, mentre consuma la sua vendetta su (presumibili) proprietari di schiavi (non a caso Questlove definì questo uno degli album più cupi e politici dei Roots).
Ora per convenienza – probabilmente la newsletter vi arriverà tagliata su Gmail (scusate…) – compiamo un salto temporale al 2011. Con Undun, i Roots – al loro fianco il solito Kenny Gravillis – tornarono all’uso della fotografia, come già fu per Fall Things Apart. Questa volta lo scatto è di Jamel Shabazz – Flying High, 1981 – e ritrae un ragazzino di Brooklyn mentre fa una capriola a mezz’aria sopra una pila di materassi malconci e buttati in strada.
Notevole, infine, è la scelta fatta per il loro ultimo album, uscito nel 2014, …and then you shoot your cousin (una citazione di KRS-One). Si tratta di un’opera dell’artista Romare Bearden, Pittsburgh Memory (1964). Erano gli anni ‘60 e ispirato dalle proteste e dalle marce di quel periodo, nel pieno della stagione del movimento per i diritti civili, Bearden realizzò una serie di collage quasi interamente con ritagli di riviste e giornali. Per quello che conta, la cover di …and then you shoot your cousin è la preferita di Mookie.
Per la copertina del suo più recente progetto solista, Streams of Thought, Vol. 3: Cane & Able, Black Thought si è invece rivolto a Khari Turner, artista che vale la pena seguire a proposito di coscienza nera nell’America di oggi.
Altre cose interessanti
Perché abbiamo parlato di “punti di non ritorno”. Ma prima una breve digressione personale. Tra i suoni e le circostanze che mi hanno avvicinato alla musica nera, sicuramente ci sono anche i dischi di R. Kelly. Ricordo quando il dj metteva Home Alone, tutti impazzivano e il club veniva giù. Conclusa la digressione personale, la notizia che avrete letto ovunque in questi giorni: R. Kelly è stato giudicato colpevole di crimini e abusi sessuali, per anni ha gestito una rete volta allo sfruttamento e una giuria lo ha ritenuto colpevole di tutti e nove i capi d’accusa. Non c’è molto da aggiungere, se non le emozioni delle vittime che troppo a lungo sono rimaste inascoltate. Questa vicenda nasconde altre insidie, che si spera siano ora superate: le difficoltà, soprattutto per le donne nere, di essere prese sul serio dinanzi a casi di violenze o condotte sgradevoli da parte di uomini potenti. Una differenza che – al netto degli enormi ostacoli che nel mondo incontrano moltissime donne – coinvolge anche il movimento #MeToo, lanciato dieci anni prima del caso Weinstein del 2017, ma senza la medesima cassa di risonanza.
Quanto alla musica di R. Kelly, da qualche tempo viene promossa la campagna #MuteRKelly allo scopo di boicottare l’artista e spingere le piattaforme come Spotify e Apple Music a ritirare dai propri cataloghi la sua discografia, così da non permettergli di trarre vantaggio, anche economico, dagli ascolti degli utenti abbonati. In fondo potremmo definirlo un tentativo di cancel culture, per gli appassionati dell’argomento. Nel 2019, dopo la messa in onda della docuserie Surviving R. Kelly, si registrò negli Stati Uniti un’impennata degli streaming della sua musica e la cosa suscitò non poche polemiche. Spotify, a un certo punto, decise di rimuovere le canzoni dell’artista di Chicago dalle playlist più seguite, non rinunciando però alla discografia, che infatti è ancora al suo posto.
Credo sia un dibattito interessante e mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Che tipo di atteggiamento pensate di poter assumere nei confronti della musica di R. Kelly?
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Dr. Dre, Eminem, Snoop Dogg, Mary J. Blige e Kendrick Lamar si esibiranno, sullo stesso palco, durante l’intervallo della 56esima edizione del Super Bowl, che si terrà il 13 febbraio 2022 al SoFi Stadium di Inglewood, California. Ok, sarà l’halftime show più bello di sempre!
(e c’è già chi scommette sull’uscita del disco di Dr. Dre, di cui si parla da mesi, proprio in quei giorni e magari, perché no, su un tour mondiale con i suoi compagni di avventura)
Intanto Yo Gotti è ufficialmente comproprietario del D.C. United, una delle squadre più prestigiose della MLS. Seppur lentamente, l’hip hop continua ad avvicinarsi anche al mondo del calcio.
Siamo così giunti alla fine di questa puntata, diversa dal solito, vero, ma focalizzata su uno dei gruppi più influenti e rivoluzionari degli ultimi anni (un’idea che mi frullava in testa da un po’). Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, iscrivetevi e fate iscrivere le amiche e gli amici alla newsletter!
Ci “leggiamo” tra due venerdì, a presto!