Puntata doppia questa settimana, si comincia con Tyler, The Creator e si finisce con New York. Così avrete a maggior ragione il tempo di leggerla con calma nel weekend, in attesa della finale di Euro 2020.
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Pt. 1. MANIFESTO
Si notava, la scorsa settimana, come questo inizio estate sia meno intenso negli Stati Uniti rispetto ad un anno fa. E per fortuna, verrebbe quasi da dire, sebbene non siano mancati nelle ultime settimane spunti di riflessione legati ad alcune pratiche – ad esempio l’applicazione di restrizioni al voto – che l’America proprio non riesce ad archiviare, anzi, che di tanto in tanto rinvigorisce e che, guarda caso, penalizzano soprattutto le minoranze.
Anche musicalmente parlando, non stiamo assistendo in questa fase ad una produzione massiva di brani che creino scalpore e mormorii. O se ci sono, di recente uscita, sono più nascosti. Niente di strano: al momento manca uno stimolo simbolico – non che la condanna a Derek Chauvin non rappresenti qualcosa di nuovo per la storia statunitense, ma la scia emotiva che seguì la morte di George Floyd è oggi meno evidente (per capirci: sforziamoci di ricordare le proteste e l’attivismo di personaggi noti che contribuirono ad alimentare il dibattito sul razzismo sistemico non solo al di là dell’Oceano, ma nel mondo) –, in più non c’è in ballo una campagna elettorale su scala nazionale che polarizzi le posizioni di intere comunità, come giustappunto abbiamo potuto osservare nel 2020.
Qualche strascico, però, c’è. E la prova è MANIFESTO, brano di Tyler, The Creator, contenuto in Call Me If You Get Lost, suo ultimo disco pubblicato il 25 giugno che abbraccia il rap più tradizionale e richiama alla memoria i vecchi mixtape di DJ Drama, il quale infatti lo accompagna per tutta la durata dell’album.
Oltre al curioso titolo scelto – curioso per le iniziative che hanno anticipato l’uscita del disco e che conferma in qualche misura una specie di ossessione già emersa in Flower Boy –, Tyler è uno di quegli artisti, al pari di Kanye West, il cui pretesto per parlare di lui si trova sempre. Ed è un po’ attorno a questo aspetto che ruota il tema di MANIFESTO. Dentro c’è di tutto: se la prende con chi un anno fa lo criticò per non aver fatto sentire la propria voce durante le manifestazioni di Black Lives Matter – accusa ricorrente, che ha riguardato altri pezzi grossi del rap come Kendrick Lamar e J. Cole, ma in buona parte infondata poiché la mancanza di un “comunicato” non è coincisa ogni volta con la reale assenza sulle scene della protesta –; ricorda di essere stato “cancellato” in passato per averne dette di tutti i colori, quando sproloquiare di cancel culture non era ancora di moda; chiede scusa a Selena Gomez che nel 2010-2011, appena diciottenne e all’epoca in coppia con Justin Bieber, era stata oggetto di attenzioni particolarmente spinte su Twitter.
I came a long way from my past, nigga, it's obvious
V12 engine, I'm fishtailin’ on some sloppy shit (Skrrt)
Internet bringin' old lyrics up, like I hide the shit
What's your address, I could probably send you a copy, bitch
I was canceled before canceled was with Twitter fingers (Haha)
Protestin' outside my shows, I gave them the middle finger (Fuck 'em)
I was a teener, tweetin’ Selena crazy shit
Didn't wanna offend her, apologize when I seen her
Back when I was tryna fuck Bieber, Just-in
I say with my chest out, you say with your chest in, nigga (Say it with your chest, nigga)
Black bodies hanging from trees, I cannot make sense of this (Uh)
Hit some protest up, retweeted positive messages (Uh)
Donated some funds then I went and copped me a necklace
I'm probably a coon, and your standard’s based on this evidence
Am I doin’ enough or not doin’ enough?
I'm tryna run with the baton, but see, my shoe’s in the mud
I feel like anything I say, dawg, I'm screwin' shit up (Sorry)
So I just tell these black babies, they should do what they want– Tyler, The Creator, MANIFESTO, 2021
Già nell’intro di MANIFESTO (Lil’ white bitch gon’ say / “You need to say something about that” / “You need to say somethin bout black”), Tyler mette al centro uno dei più grossi interrogativi di sempre, negli ultimi tempi esasperato all’ennesima potenza: una celebrità ha il dovere morale di prendere posizione rispetto ad un problema che può riguardare la sua platea di riferimento, la sua comunità, la sua gente, o può deliberatamente scegliere di non esprimersi?
Michael Jordan, in questo senso, fece scuola, ma è un dibattito ciclico, che le circostanze mettono in mostra senza soluzione di continuità. E che prima di Tyler, The Creator era stato affrontato da J. Cole in Snow On Tha Bluff (2020), una sorta di The Revolution Will Not Be Televised dei nostri giorni, solo con i social media al posto della televisione (paragone forte, vero). Quando il pezzo uscì, a metà giugno dello scorso anno, molti ritennero J. Cole in antitesi con la poetessa e rapper di Chicago, Noname, la quale da un po’ stava pungolando gli artisti hip hop impegnati che però, nonostante il momento drammatico dettato dalle vicende di George Floyd, Ahmaud Arbery e Breonna Taylor, non stavano esprimendo (a parole) vicinanza a BLM o un’opinione netta. J. Cole chiarì la sua posizione subito dopo la pubblicazione di Snow On Tha Bluff (o almeno tentò di evitare fraintendimenti nei confronti di Noname), ma altrettanto chiaro era il suo pensiero.
A perspective and awareness of the system and unfairness that afflicts ‘em
And the clearest understandin’ of what we gotta do to get free
And the frustration that fills her words seems to come from the fact that most people don’t see
Just ‘cause you woke and I’m not, that shit ain't no reason to talk like you better than me
How you gon’ lead, when you attackin’ the very same niggas that really do need the shit that you sayin’?
Instead of conveyin’ you holier, come help us get up to speed
Shit, it’s a reason it took like two hundred years for our ancestors just to get freed– J. Cole, Snow On Tha Bluff, 2020
La risposta di Noname arrivò lo stesso e J. Cole la condivise su Twitter in segno di rispetto.
But niggas in the back quiet as a church mouse
Basement studio when duty calls to get the verse out
I guess the ego hurt now
It’s time to go to work, wow, look at him go
He really ‘bout to write about me when the world is in smokes?
When it’s people in trees?
When George was beggin’ for his mother, saying he couldn’t breathe
You thought to write about me?– Noname, Song 33, 2020
In passato ci sono stati momenti – risalenti al periodo delle proteste di Ferguson, dopo l’uccisione di Michael Brown – in cui artisti rap hanno pagato il prezzo della polemica per avere espresso un’opinione anziché un’altra. Poi tutto si è ridotto ad una crociata contro il politicamente corretto e abbiamo accresciuto la confusione. Senza trovare una risposta ad un’annosa questione che ora coinvolge persino Tyler, The Creator, uno che non si era mai posto il problema di apparire carino e simpatico ad ogni occasione.
Pt. 2. Bed-Stuy Is Burning
Quasi certamente il prossimo sindaco di New York, colui che succederà a Bill de Blasio, sarà Eric Adams, ex poliziotto afroamericano di 60 anni. Adams è il fresco vincitore delle primarie democratiche, anche se non è stato un successo clamoroso (erano tanti i candidati, ma nessuno era davvero favorito alla vigilia). Ora le elezioni di novembre dovrebbero essere una formalità.
Adams sarà il secondo sindaco nero di New York dopo la parentesi di David Dinkins a inizio anni ‘90. Dinkins, che è morto qualche mese fa, venne a lungo considerato per la città una figura di compromesso, un personaggio di altro tenore rispetto al vulcanico Ed Koch. Venne eletto a seguito del controverso caso dei Central Park Five – il rivale repubblicano era Rudy Giuliani –, promettendo una pacificazione razziale (definì la diversità demografica di New York «uno splendido mosaico»), ma perse la rielezione perché la sua gestione dei disordini di Crown Heights del 1991 fu ritenuta troppo debole e nella “rivincita”, stavolta, Giuliani ebbe la meglio. Ma tutto questo non deve ora indurre a conclusioni affrettate: Eric Adams è molto distante dalla figura di Dinkins.
Tanto per cominciare, Adams ha cambiato casacca più volte. Sostenne Dinkins a New York, poi nel 1997 passò al Partito repubblicano per fare ritorno tra i Democratici nel 2001. Ex senatore dello Stato di New York, ha incentrato la sua campagna elettorale sul tema della sicurezza, secondo molti ricordando i toni della “tolleranza zero” dei tempi di Giuliani. Quello che è sicuro è che a New York è tornata a crescere la criminalità nell’anno della pandemia (soprattutto non si è osservata una significativa diminuzione mano a mano che la crisi sanitaria rallentava). Il governatore dello Stato, Andrew Cuomo, ha dichiarato l’emergenza per la violenza (impegnando 139 milioni di dollari per invertire la rotta): diverse sparatorie, anche fatali, si sono registrate ancora nel weekend del 4 luglio. Stando ai dati più recenti, nel mese di giugno il numero di omicidi e sparatorie a New York è comunque calato rispetto a giugno 2020. Nello specifico, gli omicidi sono diminuiti del 23,3% (33 vs. 43), mentre le sparatorie del 19,5% (165 vs. 205). Il dipartimento di polizia ha effettuato a giugno 361 arresti per reati con arma da fuoco, in aumento del 99,4% nel confronto con lo stesso periodo dello scorso anno. In ogni caso, l’indice di criminalità è aumentato nel complesso del 3,1% rispetto a giugno 2020.
Parlare di New York è sempre interessante, sebbene, da sola, poco rappresentativa degli Stati Uniti. Tuttavia resta la culla dell’hip hop, forse non più la capitale, ma è ancora oggi un luogo di cultura e passione in questo senso. I problemi che il futuro sindaco dovrà affrontare sono molti, non solo la sicurezza, per quanto quest’ultima sia spesso riferibile ai tanti cambiamenti che il tessuto urbano sta subendo, da Manhattan al Bronx, passando naturalmente per Brooklyn, il borough da cui peraltro viene Adams (è di Brownsville). New York ha appena cominciato a rialzare la testa dalle difficoltà dovute alla pandemia, edifici e attività storiche costrette alla chiusura, altre che hanno potuto riaprire da poco. Ce la fa sempre, New York, ma alcuni di questi problemi stanno diventando strutturali e il periodo non aiuta. Come la gentrificazione di cui racconta Skyzoo in Bed-Stuy Is Burning (con doveroso tributo iniziale a Notorious B.I.G.: Where Brooklyn at? Where Brooklyn at?), dall’ultimo disco All The Brilliant Things, che per lunghi tratti è un po’ una colonna sonora per la città che non dorme mai. E che rende New York un riferimento per le altre metropoli.
I mean, for real though, there’s a fire sale in the Stuy
Thirty floors up, burnt the vibe clear out the sky
I had a view worth a mill’ but views get for real and
Usually get killed when you ain’t here to buy (Remember we)
Said there’s a fire sale in the Stuy
Thirty floors up, burnt the vibe clear out the sky
I had a view worth a mill’ but views get for real and
Usually get killed when you ain't here to buy (Remember we)
Please, Philly, don’t let this happen to you
Please, Atlanta, don’t let this happen to you
Please, DMV, don’t let this happen to you
Please, LA, don’t let this happen to you
Please, Detroit, don’t let this happen to you
Please, Chicago, don’t let this happen to you
Please, Texas, don’t let this happen to you
Please, New Orleans, don’t let this happen to you (Yo)– Skyzoo, Bed-Stuy Is Burning, 2021
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