Immaginate un tipo dall’aspetto impeccabile che a un tratto si mette a rappare con Diddy, mentre quest’ultimo sta facendo vedere al mondo che lui è ancora un bad boy. Nemmeno Wale durante la cerimonia alla Casa Bianca per l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama era tanto elegante. Il tipo, quello dall’aspetto impeccabile, è negli Stati Uniti da alcuni giorni, ma ormai qui fa tappa quando può e se gli è concesso. Eppure in America ci ha vissuto a lungo, è cresciuto a Brooklyn. Poco prima di assaporare il suo personalissimo sogno, venne condannato per una serie di reati. Scontò otto anni di prigione, poi il ritorno forzato a casa. Quella a Belize City, non a Brooklyn.
Il tipo dall’aspetto impeccabile che rappa con Diddy si chiama Moses Michael Levi Barrow ed è il leader di opposizione alla Camera dei rappresentanti del Belize.
Quando era agli inizi, di Shyne si diceva un gran bene. Passava il tempo rappando in un barbershop di Church Avenue ed è lì che è stato scoperto da gente che contava nel giro della musica, fino a firmare per la Bad Boy di Sean Combs un contratto da un milione di dollari (più altri benefit tipo belle auto di sua scelta e un paio di posti in cui stare), un affare che avrebbe dovuto includere la pubblicazione di cinque album. Il timbro di voce ricordava vagamente (bene sottolinearlo: vagamente) quello di Notorious B.I.G., che era stato ucciso qualche tempo prima, lasciando a New York un vuoto incolmabile. Come Biggie, anche Shyne aveva conosciuto la vita di strada, che di alternative ne dà sempre poche: o finire con la testa sull’asfalto, o dietro le sbarre. E siccome le aveva sfiorate entrambe, dopo essersi dato una ripulita e cominciato a lavorare sul serio, si avvicinò all’hip hop.
Dubito sia la migliore delle storie di Natale, ma mi ero ripromesso di raccontare l’epopea di Shyne. Perché dietro l’ascesa e la caduta rovinosa dell’uomo – e di nuovo la risalita – si nasconde il significato profondo del sogno americano, che sa essere tanto generoso quanto crudele. Un sogno, quello che avrebbe potuto avvolgere Shyne, non convenzionale, ma per l’appunto tanto, tanto americano.
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Domanda: ce lo vedete uno che da molto giovane, come ricorda Rolling Stone, è entrato nei Decepticon – o quel che rimaneva della gang operativa perlopiù a Brooklyn negli anni ‘80 e nei primi ‘90, il cui nome derivava dai cattivi dei Transformers – diventare un politico nel suo paese di origine e occupare un importante tassello istituzionale? Mettiamola così: l’associazione non sarebbe del tutto spontanea, maledetti pregiudizi. Ma se il cognome del tizio è Barrow e considerato che il paese in questione, abbiamo visto, è il Belize, forse qualcosa nella mente potrebbe cominciare a frullare.
Dean Barrow è stato ministro degli Esteri e dello Sviluppo economico – dal 1984 al 1989 –, vicepremier e di nuovo ministro degli Esteri – dal 1993 al 1998 –, leader di opposizione dello United Democratic Party per una decina di anni, infine primo ministro per tre mandati consecutivi, dal 2008 al 2020. Jamal Michael Barrow – Moses Michael Levi lo diventerà in età adulta – nacque nel 1978, quando il Belize era sotto il completo controllo del Regno Unito: l’indipendenza nell’ambito del Commonwealth giungerà soltanto nel 1981. Uniti i puntini, Shyne è il figlio dell’ex primo ministro Dean Barrow, ma il destino ancora non spiega granché.
A sette anni Jamal lasciò Mesop e si trasferì con la madre a Crown Heights, Brooklyn. A dirla tutta la donna, Frances Myvett, sorella di uno dei più stretti collaboratori di Dean, era negli Stati Uniti da un po’, ma si vide costretta a portare via il figlio perché il padre, impegnato in un’altra relazione, lo aveva abbandonato. Perciò Jamal fece il suo ingresso in America con lo stereotipo del figlio di “padre assente” già cucito addosso. E siccome a New York le opportunità erano direttamente proporzionali alle possibilità economiche, la strada fu un richiamo a suo modo affascinante. Divenne Shyne con le prime scorribande, ma se ne allontanò a causa di uno screzio con un ragazzo che sarebbe potuto costargli caro.
Il 26 giugno di quest’anno Shyne si è esibito una manciata di minuti sul palco dei BET Awards al fianco di Sean “Diddy” Combs, in occasione del tributo al fondatore della Bad Boy Records. Lo ha fatto, però, da politico che tiene un comizio in versi rap, alterando il testo della sua maggiore hit, Bad Boyz del 2000, in una dichiarazione d’intenti che più chiara non sarebbe potuta essere:
Mandela, Barack, shook the feds
Prime Minister the next stop
What your point is? My point is revolutionary, for your minds
Pointed, I’m anointed
Four-point-six
Need I say more? Or do you get the point BET! Belize!
Una mossa che in casa è piaciuta ad alcuni, ha innescato malumori in altri, ma che di sicuro è servita a mettere il Belize sulla mappa (nel 2016, in occasione del tour della Bad Boy, ci fu un’iniziativa analoga, seppure a distanza). Combs ha sostenuto la carriera politica di Shyne fin dagli esordi, quando quest’ultimo veniva osteggiato perché ex detenuto all’estero. Ha finanziato la recente campagna elettorale, ha contribuito alla creazione di una borsa di studio per giovani del Belize che vogliono laurearsi in America e dare una mano allo sviluppo del paese, ma soprattutto ha aiutato il “suo” vecchio artista a ottenere nel 2021 un visto per fare ritorno negli Stati Uniti, missione che ha permesso a Shyne di incontrare senatori, autorità locali e stringere legami politici. Ogni cosa porta a pensare ad un idillio privo di macchie, la verità è che i due, Diddy e Shyne, le ruggini se le sono lasciate alle spalle. Il primo, forse, motivato da un intimo senso di riparazione, il secondo, forse, anche per convenienza. In qualche misura Combs c’entra, eccome, con l’incarcerazione di Barrow nel 2001, ma adesso è acqua passata e le loro strade, l’una imprenditoriale e l’altra politica, si sono incrociate di nuovo. Quanto al rapporto con il padre, negli anni c’è stato un riavvicinamento – da primo ministro, nel 2010, Barrow sr. nominò suo figlio “ambasciatore della musica del Belize”, un incarico che non filò via liscissimo –, ma di tanto in tanto le circostanze lo spingono a ribadire che «Shyne Barrow è Shyne Barrow» e «Dean Barrow è Dean Barrow».
Per qualcuno, in America, il sogno ha una duplice prospettiva. Agognato e raggiunto, lascia comunque le cicatrici di una guerra ingaggiata contro un sistema che a parole incoraggia chiunque, ma che nella pratica può decidere di ostacolare il successo, piccolo o grande che sia. È la premessa che dà forma e sostanza ad un insieme di valori alternativi a quelli tradizionali della società statunitense, un abito mentale che coinvolge le comunità ai margini e le minoranze. Nel 1999 Shyne stava vivendo il suo battesimo di fuoco con il sogno. Un contratto milionario, un disco prossimo alla pubblicazione, belle auto, belle donne, bello tutto. Una notte di fine anno, Barrow si trovava in un noto locale di Manhattan. Con lui, tra gli altri, c’erano il capo della Bad Boy Records, Puff Daddy – così Combs si faceva chiamare all’epoca: di nomi, dopo, ne avrebbe cambiati almeno un paio –, e l’allora compagna di Puffy, Jennifer Lopez. Un alterco con gente poco raccomandabile divenne il pretesto per tirare fuori le pistole e sparare colpi a caso all’interno del club. Lo fece Combs, secondo alcune testimonianze; lo fece soprattutto Shyne, sempre secondo testimoni; tre persone rimasero ferite. Combs venne fermato dalla polizia più tardi, in fuga con la fidanzata e una guardia del corpo (avevano bruciato un semaforo rosso e nell’auto trovarono una pistola); il giovane Barrow fu beccato appena fuori dal locale. La presenza di Jennifer Lopez, che stava diventando una star planetaria ed era conosciuta alle nostre latitudini per il film del 1998, Out of Sight (con George Clooney), e per il debutto discografico, On the 6, avvenuto mesi prima la sparatoria di New York, fu la cornice al racconto dell’ennesima storia tutta “rap e pistole” che suscitò clamore anche in Italia.
Alla fine Shyne fu il solo a pagare. Nel 2001 venne condannato a dieci anni per aggressione, possesso di armi e messa in pericolo; Combs venne assolto in un processo separato. La vicenda giudiziaria risultò complessa e lasciò strascichi pesanti. Mentre si prendeva tutte le colpe, Shyne si sentì abbandonato dagli amici e allora lui abbandonò la Bad Boy, siglando in seguito un contratto da tre milioni di dollari con la Def Jam, la “Motown” dell’hip hop. L’appeal del rapper in carcere, dopotutto, contagia(va) l’immaginario gangsta da sempre.
Ora, Shyne, l’omonimo album uscito per la Bad Boy, disco di platino, è un concentrato di cliché criminali con riferimenti a Bumpy Johnson, Frank Lucas e Nicky Barnes, che si fatica a capire quando la realtà cede il passo alla fantasia. Non è un capolavoro, ma in una prospettiva di lungo periodo è anche un disco sottovalutato, che qua e là mette in luce spunti interessanti, già in grado di imprimere – facile constatarlo oggi – una visione politica e sociale, sebbene acerba e legata alle inevitabili rimostranze da strada.
And all we got is sports, entertainment or the streets
I’m in deep, think of Citibank when I sleep
Ching, ching like I was from Shaolin
Brooklyn n**** what you say, keep stylin
My air force ones you couldn’t walk a mile in
I love politics, narcotics, and violins
Bad Boy forever, we move in silence– Shyne, Bang, 2000
C’era stato un precedente significativo in termini di intersezione politica/hustler. Nel 1996, in Reasonable Doubt, JAY-Z aveva alzato l’asticella del conflitto interiore che deriva tanto dal rimorso per le azioni compiute, quanto dal mix di superbia e percezione di presunta intoccabilità per lo status ottenuto proprio grazie a quelle azioni: nell’ottica dello spacciatore si tratta di un meccanismo (politico) ben definito.
My life is based on sacrifices, jewels like ices
And fools that think I slip, you fuck around
You get your guys hit, they built me to be filthy
On some I-do-or-die shit, for real
The price of leather’s got me, deeper than ever and
Just think, with this here, I’m tryin’ to feel made n****– JAY-Z, Politics As Usual, 1996
Shyne si colloca sulla stessa lunghezza d’onda, convinto – in un insieme di valori alternativi, appunto – che tale divario sia il risultato di decisioni (politiche) calate dall’alto. È nella traccia introduttiva dell’album che mostra il doppio stato d’animo di chi conduce un’esistenza “sopra le righe”, ritenendola, in larga parte, un prodotto strutturale dell’America.
Dear america, I’m only what you made me
Young, black, and fuckin’ crazy
Please save meI’m dyin’ inside
Can’t you see it in my eyes?
I’m hopeless, fearless on the outside
Gun on my side, shitMaybe if y’all n***** build schools instead of prison
I’ll stop livin’ the way in livin’
Probably not
I’m so used to servin’ rocks and burnin’ blocks
I ain’t never gonna’ stop
Been doin’ this shit all my life
I’m a lost cause
And what ‘bout the rest?
Don’t them suckers deserve a chance?Somethin’ better than a shoot-outs, liquor stores and food stamps
Maybe if y’all teach them n***** a craft an’ a trade
They wouldn’t have to play that corner
Y’know what I mean, servin’ that yayAmerica, you got a fuckin’ problem
And I ain’t never goin away
There’s bout 20 million other muthafuckers just like me
Preparations is through, y’all goin’ pay– Shyne, Dear America, 2000
Gli Stati Uniti descritti da JAY-Z e Shyne diversi anni prima avevano dichiarato guerra alla droga, ma sul fronte interno l’adozione di norme particolarmente restrittive ha alimentato uno squilibrio notevole, sia nel perseguimento dei reati non violenti, sia nella distribuzione della popolazione carceraria, favorendo peraltro il business delle prigioni private, sorte un po’ ovunque in quegli anni. Viceversa i quartieri più vulnerabili – con le scuole fatiscenti e spesso addirittura privi dei servizi essenziali – continuavano a mettere in luce uno scollamento dal resto del paese.
Quello che seguirà dopo sarà strettamente riconducibile alla sua detenzione. Nel 2004 uscì il secondo disco di Shyne, Godfather Buried Alive. Le tracce furono incise prima dell’ingresso in prigione, tranne una: For The Record, un diss rivolto a 50 Cent – che lo aveva tirato in ballo in un freestyle a HOT 97 – e registrato al telefono dalla prigione. Farà scuola. Nel 2020 Drakeo the Ruler registrò un intero album dal carcere dove era rinchiuso, Thank You for Using GTL. Anche Gucci Mane, da dietro le sbarre, non si è fermato un attimo. Ma a parte il momento Def Jam, la carriera musicale di Shyne a quel punto era già interrotta.
Nel 2009 venne rilasciato sulla parola e rinnovò il suo accordo con la Def Jam, ma era privo di documenti e l’ICE (U.S. Immigration and Customs Enforcement), senza troppi complimenti, lo rimandò in Belize con l’aggravante, in quanto condannato, di non poter rimettere piede negli Stati Uniti. Quando fu nominato “ambasciatore della musica” da suo padre, passò gran parte del tempo in Israele perché negli anni in carcere aveva abbracciato l’ebraismo ortodosso, cambiando il suo nome in Moses Michael Levi. Fece musica anche lì, niente però che abbia avuto un seguito duraturo. Un ulteriore cambiamento arrivò nel 2012, quando si trasferì a Parigi – sempre a Rolling Stone ha raccontato di aver dovuto affrontare molti pregiudizi nella sua esperienza in Israele – e da indipendente pubblicò il mixtape Gangland, distribuito tramite DatPiff (oggi è presente nelle principali piattaforme di streaming), esperimento vetero-gangsta, benché non più credibile come ai fasti della Bad Boy, infarcito di diss vari e riflessioni su temi religiosi e politici. Insomma, Shyne dal sogno era passato al paradosso: di lui non si era mai smesso di parlare, neppure quando era stato in carcere, con il viavai di giornalisti e telecamere che volevano intervistarlo. Tuttavia la musica sembrava ormai un ricordo, o meglio: le vette toccate con Bad Boyz erano davvero lontane. Ogni tanto litigava con un collega, per non perdere il vizio. Se la prese persino con Obama, accusato di non aver fatto abbastanza per evitare la sua espulsione e si schierò pubblicamente dalla parte di Mitt Romney in vista delle presidenziali americane.
Il 2012 è stato anche l’anno della riconciliazione con Combs. I due si incontrarono alla settimana della moda di Parigi e si fecero fotografare insieme. C’era pure Kanye West. Nel 2013 il ritorno, definitivo, in Belize. Si è sposato nel 2017 e l’anno dopo è nata sua figlia. Il rientro a casa è giustappunto l’ultimo capitolo, quello della rinascita.
Da un pezzo Shyne non nasconde l’ambizione di voler diventare primo ministro e succedere a Johnny Briceño nel 2025. Qualcuno sussurra che usi la sua posizione per mantenere rapporti privilegiati con gli Stati Uniti. In più il Belize è un piccolo paese con problemi sparsi e di non facile soluzione, ma il percorso, dal proprio punto di vista, è segnato: «Prime Minister the next stop». Di recente è stato a parlare alla NYU Steinhardt. Inutile sottolineare l’argomento dell’incontro: Dalla Bad Boy al Parlamento del Belize. Una conversazione con Moses “Shyne” Barrow. A un certo punto, dal dibattito è emerso il sentimento più stereotipato possibile dell’America, quel senso innato di ottimismo – annebbiato quanto volete dagli ultimi anni di crisi ed estreme difficoltà, ma non ancora dissolto – per cui chiunque, a tutti i livelli (familiari, sociali, educativi, eccetera), può farcela e vivere il proprio sogno. A Shyne, del resto, sarebbe potuta andare peggio: «A nessuno importava del mio background a Brooklyn, ero solo un povero ragazzo immigrato. Ma avevo, e tutti qui hanno, la capacità di lavorare sodo e di sviluppare le basi per diventare qualsiasi cosa vogliano essere».
Altre cose interessanti
In tutto ciò: Diddy ha annunciato alcuni giorni fa la nascita della settima figlia, Love Sean Combs. C’era stato mistero attorno al nome della madre, ma lo scoop di TMZ dovrebbe aver chiarito tutto.
Breve ripasso dalle puntate precedenti: Raphael Warnock ha vinto il ballottaggio in Georgia, ma nel frattempo la senatrice Kyrsten Sinema ha lasciato i democratici e si è registrata come indipendente, quindi la maggioranza dem è ferma a 50 seggi (il nuovo scenario non dovrebbe comunque stravolgere i rapporti di forza al Senato). Hakeem Jeffries è il nuovo leader democratico alla Camera.
Tira una brutta aria, attorno a Twitter (non che non l’avessimo previsto, va detto).
Ora una piccola comunicazione di servizio. La prossima settimana Mookie uscirà, come di consueto prima di Natale, con una puntata speciale che sarà l’ultima dell’anno, dopodiché ci si fermerà per un po’. Tornerò a intasare la vostra casella di posta elettronica a 2023 bello che iniziato, anche questo come di consueto, ma è probabile che stavolta l’attesa sarà più lunga del solito. Il tempo non è mai troppo e questa newsletter, nel suo piccolo, ne porta via parecchio e nei prossimi giorni lavorerò ad un progetto parallelo. Ho attivato la chat della newsletter, in compenso: ci si potrà confrontare di là, oltre che su Instagram. La chat funziona più o meno come un canale Telegram, ma è necessario scaricare l’app di Substack per accedere.
Puntata lunga, eccezionalmente inviata con una settimana di ritardo. Però la playlist è pronta, e a voi non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram, su Twitter o su Mastodon. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici: più siamo, meglio è!
Ci leggiamo venerdì prossimo, a presto!