L’America ha un problema con le sue infrastrutture. A tutti i livelli. Ed è un incredibile paradosso per un paese che sulle strade sterminate, sulle bellezze dei paesaggi intorno e sui lunghissimi e leggendari ponti che collegano città o Stati, ha saputo costruire un’immagine di sé poetica e sentimentale: una sempiterna metafora della vita con, sullo sfondo, il sogno da raggiungere chilometro dopo chilometro. Ma dove cinema e letteratura non arrivano più, adesso arrivano impietosi i numeri: negli Stati Uniti un ponte su tre – compreso il 30% di quelli presenti sull’Interstate – necessita di interventi. Secondo le stime dell’American Road & Transportation Builders Association, sono 43.578 i ponti statunitensi strutturalmente carenti o che versano in cattive condizioni. Questo non vuol dire che siano prossimi al crollo, ma in ogni caso evidenziano l’urgenza di manutenzione (i dati attuali, però, sono in lieve miglioramento rispetto alle cifre di una manciata di anni fa). Anche i sistemi idrici sono un’incognita in molte porzioni di America, come si è visto di recente a Jackson, capitale del Mississippi. Ai circa 150 mila abitanti – per oltre l’80% neri – è stato detto nelle scorse settimane di non bere acqua di rubinetto e di farla bollire per tutti gli altri usi, perché non sicura a seguito dei danni alle infrastrutture dovuti alle inondazioni di fine agosto. Tra il 2014 e il 2016 la città di Flint, Michigan, ha vissuto una delle crisi più devastanti di sempre. Con il passaggio temporaneo ad un diverso sistema di approvvigionamento idrico che raccoglieva le acque dall’omonimo fiume – per circa mezzo secolo una discarica a cielo aperto –, nelle case di Flint cominciò ad arrivare acqua putrida, contaminata dal piombo, con conseguenze anche gravi sulla salute dei cittadini, adulti e bambini. La situazione mise in ginocchio l’intera comunità, già provata dalle difficoltà dell’industria dell’auto degli anni precedenti e dai livelli occupazionali costantemente in bilico.
Don, don, don life, I do this for the crib, the D to Flint
Kids who get sick with lead, others get hit with the lead
From where they need a handout, but they tell you put hands up– Big Sean feat. Eminem, No Favors, 2017
L’argomento di questa puntata ha poco a che fare con le vicine elezioni midterm. Il problema delle infrastrutture negli Stati Uniti non rappresenta una priorità per gli elettori. In più, il pacchetto di interventi in materia voluto dal presidente Biden per complessivi 1,2 trilioni di dollari (dentro c’è molto, dall’ammodernamento di infrastrutture e sistemi idrici al miglioramento del trasporto pubblico, fino all’espansione della banda larga) venne firmato a novembre 2021, un’era giurassica fa per ritenerlo un fattore in grado, ora, di spostare voti. Eppure è un tema ricorrente perché in America il design urbano non è mai stato neutrale, bensì un atto con un preciso indirizzo politico. La realizzazione di determinate opere ha spesso definito i contorni dei successivi sviluppi delle comunità coinvolte, talvolta in un quadro di menefreghismo istituzionalizzato, talvolta per mera sciatteria. Non è casuale – ci torneremo a breve – che l’hip hop sia nato nel Bronx per effetto di una strada. Poi c’è tutto il resto e le vicende di Flint e Jackson sono lì a ricordarlo, o i ponti autostradali che avrebbero bisogno di una messa a punto e di una lustratina qua e là. Insomma, la faccenda non interesserà gli elettori adesso, ma in futuro potrebbe, e allora ecco che assumono un ruolo tutt’altro che indifferente le elezioni sul piano locale. Gira che ti rigira il tema della puntata c’entra con le midterm, invece.
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Quando tra il 1948 e il 1963, a New York, nel Bronx, venne costruita la Cross Bronx Expressway, il primo risultato fu lo svuotamento dei quartieri limitrofi, lasciando agonizzante una vasta area del distretto. Si trattava della prima autostrada in ambiente urbano, peraltro in una zona piuttosto affollata. Di fatto era una tagliola per gli abitanti del posto, per cui i bianchi della classe media – vedendo deprezzarsi le case nei dintorni della gigantesca e trafficatissima arteria – cominciarono via via a spostarsi e le attività a chiudere. Più la forbice della povertà si allargava, più prosperavano degrado e criminalità. Artefice dell’opera fu il potente architetto e urbanista, Robert Moses, il quale progettò anche la Sheridan Expressway – aperta al traffico nel ‘63, si congiunge a nord con la Cross Bronx e a sud con la Bruckner Expressway, ennesima sua realizzazione completata dieci anni più tardi –, alterando la conformazione del South Bronx. È in questo retroterra culturale che prenderà forma l’hip hop.
La Cross Bronx Expressway non è l’unico esempio possibile. A Philadelphia c’è la Vine Street Expressway, che ha imposto cambiamenti radicali ai cittadini. A New Orleans, il tratto sopraelevato dell’Interstate 10 che scorre sulla Claiborne Avenue ha lacerato un fiorente quartiere nero, inghiottendo abitazioni, esercizi commerciali e – raccontava il New York Times un anno fa – anche una splendida fila di querce. Tutto questo ha contribuito ad ampliare nelle medio-grandi città le aree considerate a rischio, aggravando le già controverse politiche residenziali del secolo scorso. È come se i ponti e le sopraelevate, a un certo punto, fossero divenuti a loro volta la rappresentazione materiale della cesura sociale in America, la linea di demarcazione di due entità distinte, una al di qua e l’altra al di là. Oppure motivo di attriti e rivalità accese.
Nota a margine, neanche troppo: diversi studi, negli anni, hanno dimostrato come l’inquinamento sia maggiore nei quartieri più svantaggiati e a maggioranza nera. Ancora oggi circa 220 mila residenti del Bronx, soprattutto neri, vivono lungo la Cross Bronx Expressway e respirano l’aria più inquinata della città.
All’ombra del Queensboro Bridge, New York, sorge uno dei più grandi complessi di edilizia residenziale pubblica degli Stati Uniti: il Queensbridge Houses, che prende il nome proprio dal ponte che collega il Queens a Manhattan. Il progetto abitativo, inaugurato nel 1939, comprende più di 20 edifici che possono ospitare all’incirca settemila persone: un piccolo borgo a basso reddito all’interno della metropoli. Nel pieno dell’epidemia di crack – e ancora nei ‘90 – il complesso rappresentava una delle più importanti piazze di spaccio, uno di quei luoghi che si vedono nei film dove la giornata è scadenzata con precisione chirurgica e ridotta ad una questione di «fai o muori».
Straight up, shit is real
And any day could be your last in the jungle
Get murdered on a humble, guns’ll blast, niggas tumble
The corners is the hot spot, full of mad criminals
Who don’t care, guzzling beers– Nas, Represent, 1994
La Juice Crew fondata da Marley Marl veniva da lì, dal Queensbridge. Una volta, quando uno dei rapper più talentuosi del collettivo, MC Shan, decise di omaggiare l’hip hop che si sviluppava, appunto, all’ombra del Queensboro, scoppiò una faida che segnò la storia del movimento di fine anni ‘80.
You love to hear the story again and again
Of how it all got started way back when
The monument is right in your face
Sit and listen for a while to the name of the placeThe Bridge, Queensbridge
The Bridge, Queensbridge
The Bridge, Queensbridge
The Bridge, Queensbridge– MC Shan, The Bridge, 1986
Nel Bronx, infatti, KRS-One e Scott La Rock della Boogie Down Productions non digerirono quanto avevano da dire nel Queensbridge e, fraintendendo alcuni versi, risposero al brano. L’accusa era che MC Shan collocasse l’origine dell’hip hop nel Queens, ma più verosimilmente alla base di tutto c’era una serie di screzi tra dj rivali, Marley Marl e Kool DJ Red Alert, i quali approfittarono delle circostanze per ingaggiare una “guerra” per procura. Le Bridge Wars furono un momento topico nell’epopea dell’hip hop newyorkese, ma rispondevano anche alle logiche di divisioni strutturali che suo malgrado la città alimentava.
Saying hip-hop started out in Queensbridge
Saying lies like that, man, you know dem can’t live
So I tell them again, me come to tell them again, gwan– Boogie Down Productions, The Bridge Is Over, 1987
Nel 2020, durante la pandemia, le persone nere hanno avuto maggiori probabilità di contrarre il virus e di ammalarsi, nonché una minore possibilità di accesso alle cure per via dei redditi mediamente bassi. Molte di queste persone, anche nei periodi di lockdown, hanno svolto le proprie mansioni fuori casa in quanto impiegati nelle attività essenziali, usufruendo principalmente del trasporto pubblico e facendo rientro alla fine dei turni lavorativi in quartieri densamente popolati. La verità è che la maggior parte delle città statunitensi non sono a misura di autobus. I percorsi di solito risultano troppo lunghi e ingarbugliati, così per andare da un luogo all’altro – ammesso che sia sufficiente viaggiare su un unico bus – ci vuole il doppio del tempo che si impiegherebbe con mezzi privati. Eppure, nonostante gli evidenti ritardi, gli investimenti nel trasporto pubblico sono sempre stati scarsi.
Bus Stop, Bus Stop
Are you ready to do the Bus Stop?
Bus Stop, Bus Stop
Form a line to the front
Form a line to the back
Are you ready to do the Bus Stop?– The Fatback Band, (Are You Ready) Do the Bus Stop, 1975
In un saggio dell’Iowa Law Review, che prende in esame il caso di Baltimora, si sottolinea come i limiti del trasporto pubblico in città siano riconducibili, da un punto di vista storico, a dinamiche già conosciute, in particolare il redlining e le relative storture del mercato immobiliare, con l’abbandono del centro della classe più agiata e il rischio di conflitti sociali dovuti all’avversione per la crescente presenza dei neri, percepita dai residenti bianchi meno ricchi quale minaccia al loro status. In generale, come ha scritto Emanuele Monaco su Jefferson, oggi «le città americane continuano ad essere pensate per l’auto. Le zoning laws limitano di molto la densità abitativa delle aree al di fuori del centro, facendo crescere i sobborghi e quindi la necessità di ulteriori autostrade sempre più larghe». Dunque «le città sono state progressivamente trasformate per servire l’auto (a cui si è aggiunto l’aereo), in un circolo vizioso che ha reso tremendamente costoso e inefficiente costruire e mantenere sistemi di trasporto pubblico urbano e interurbano». Per quanto simbolo della stagione del movimento dei diritti civili, in un processo evolutivo anche dei singoli segmenti demografici, l’autobus – o comunque il trasporto pubblico in senso lato – lascia ora il posto alla prospettiva di un altro simbolo, stavolta nella versione edulcorata del sogno americano, l’auto di proprietà, meglio se sportiva o di lusso, come notava A$AP Rocky. Ma questo non toglie che il problema resti e che coinvolga un numero elevato di persone, al netto dell’intraprendenza di A$AP e dei suoi amici.
Ever since this new star fame came about
Or ever since me and Drizzy started hangin’ out, huh
Young boy, let his gun bang, let his nuts hang
Transition to a Lamborghini from a Mustang
Drugs slang in the drug game with the hustling
(I know one thing) Anything is better than that 1 Train– A$AP Rocky feat. Kendrick Lamar, Joey Bada$$, Yelawolf, Danny Brown, Action Bronson, Big K.R.I.T., 1Train, 2013
L’ambizioso piano infrastrutturale voluto dal presidente americano Joe Biden prevede finanziamenti per correggere le discutibili scelte compiute ai danni dei quartieri più vulnerabili. Mira, in altre parole, a riconnettere le comunità: una specie di riparazione, se vogliamo. Ma le buone intenzioni potrebbero non bastare. Siamo di nuovo a New Orleans, Tremé, dove l’eventuale rimozione del pezzo di autostrada che passa sopra Claiborne Avenue – un’operazione né rapida, né economica – potrebbe addirittura complicare le cose. Alcuni residenti temono che togliere di mezzo il mostro, come lo chiamano da quelle parti, possa generare un’ondata di gentrificazione, il fenomeno che consiste, spiega la Treccani, nella «riqualificazione e rinnovamento di zone o quartieri cittadini, con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane». Così, gli stessi che hanno subito i mali causati dal mostro, tra non molto potrebbero essere costretti a dover chiudere tutto in valigia e ad andarsene dove la vita è meno cara. Un quadro che Skyzoo, quotato rapper underground di Bed-Stuy, Brooklyn, New York, conosce benissimo e che ha analizzato in diverse tracce dei suoi ultimi album, Retropolitan (in collaborazione con Pete Rock) e All The Brilliant Things.
To whom it may concern, don’t let this happen to you
True to what you heard, they want this back like a loop
They gave you a curb and kept you back on the stoop
And now what they prefer is to help you pack when you move
And an argument is made for calling out a blame
Visions of a doorstep and all that it became
And they ain’t have the heart to stand on it ‘til today
The smoke all clear and they just wanting the remains– Skyzoo, Bed-Stuy Is Burning, 2021
La vicinanza al cuore di Manhattan, dove i prezzi degli alloggi sono alle stelle, ha esposto Brooklyn alla gentrificazione più di altri distretti a NYC, ma il processo, lento e graduale, spesso promosso da provvedimenti poco lungimiranti delle stesse municipalità, sembra ormai riguardare un po’ tutte le realtà statunitensi. Tali trasformazioni hanno concentrato la povertà in aree “selezionate”, segregandole. Dal 1970, si legge su Next City, il numero di persone in gravi difficoltà economiche che vivono in zone di questo tipo è raddoppiato a quattro milioni, mentre il numero di quartieri poveri è quasi triplicato: ora se ne contano più di tremila.
Altre cose interessanti
Ci rileggeremo tra due settimane, come di consueto, a elezioni di metà mandato superate. I sondaggi continuano a non sorridere ai democratici, su T-Mag c’è una guida all’appuntamento dell’8 novembre (ma l’articolo è del 20 ottobre, i dati più aggiornati potete trovarli qui). Interessante sarà osservare i comportamenti di voto delle minoranze, che solitamente si muovono così (un tema che affronteremo presto). Tra le sfide da tenere d’occhio, secondo il vostro fedelissimo, quelle in Georgia, dove nel 2020 Biden vinse di misura su Donald Trump (fino a quel momento, più o meno da 30 anni, la Georgia era stata una roccaforte repubblicana). Tanto la corsa al Senato tra Raphael Warnock e Herschel Walker, di cui abbiamo scritto l’altra volta, quanto la corsa per l’incarico di governatore tra l’uscente Brian Kemp e Stacey Abrams meritano attenzione, soprattutto per ciò che la Georgia, da Atlanta in giù, ha saputo rappresentare negli ultimi anni in termini di cambiamenti, attivismo e scena culturale. Al momento anche qui le rilevazioni non premiano i candidati democratici. In queste ore l’ex presidente Barack Obama si trova nella capitale dello Stato per tentare di risollevare le sorti del partito.
Siano giunti ai saluti. Su Spotify è pronta la playlist ufficiale di Mookie, con dentro i nuovi brani. Un’avvertenza: non ho mai amato le playlist infinite, quindi ogni cinque puntate della newsletter, i pezzi della più vecchia in ordine cronologico verranno rimossi. Se la cosa non vi trova d’accordo, fatemelo sapere e prometto che rimedierò, ehm, all’errore. Per il resto: domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici!
Ci leggiamo tra due venerdì, a presto!