La pandemia è qualcosa che ci ha segnato nel profondo, in un modo che forse non abbiamo ancora compreso del tutto. Ha investito diversi aspetti della nostra quotidianità, spingendoci a cambiare abitudini e stili di vita. Ha riformulato la nostra scala di priorità, ma ha anche contribuito a creare (o rafforzare) “conflitti”, tanto più se emergono punti di vista inconciliabili su determinate questioni. E a volte i problemi arrivano da lontano.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che «la salute prima di tutto». E no, questa non è un’esercitazione: se arriva così tardi è per cause di forza maggiore.
Chris Brown ha definito Kyrie Irving un “vero eroe” per la sua scelta di non vaccinarsi. E forse, quest’ultimo, ha ricevuto sostegno anche da Chance The Rapper, pizzicato tra i commenti durante una diretta Instagram.
Riavvolgiamo allora il nastro.
Irving è un fortissimo cestista NBA che milita nei Brooklyn Nets – la franchigia di cui JAY-Z è stato comproprietario (una storia che aiuta a conoscere meglio l’imprenditore Shawn Carter) –, di recente messo fuori squadra perché rifiuta il vaccino anti-Covid. I giocatori NBA non devono rispettare uno specifico obbligo vaccinale, ma poiché in alcuni Stati americani o città come New York lo status di «vaccinato» è indispensabile per accedere nei palazzetti in cui si disputano le partite, i Nets hanno deciso di tagliarlo, almeno per il momento, così da permettere agli allenatori di prestare la dovuta attenzione ai compagni che prenderanno pienamente parte alla stagione.
Qualche giorno fa, in occasione dell’esordio casalingo dei Brooklyn Nets, alcuni sostenitori no vax hanno fatto un po’ di casino fuori dal Barclays Center, incitando Irving. C’è chi sostiene che la controversa mossa del campione NBA vada oltre l’universo anti-vaccinista, che la sua – a prendere per buone le informazioni delle persone che gli sono accanto – sia piuttosto una battaglia ideologica, a favore cioè di quanti hanno perso il lavoro sottraendosi alle imposizioni. In effetti, per quanto deboluccia possa apparire la motivazione in un quadro che è tanto più complesso, lui stesso ha fatto cenno a qualcosa del genere nella famosa diretta Instagram seguita pure da Chance The Rapper.
Juicy J, ormai qualche mese fa, venne beccato su Twitter a dispensare consigli del tipo «fossi in te non mi vaccinerei, indosserei una mascherina e prenderei vitamine». In molti gli fecero notare che in passato, in alcuni brani suoi o con i Three 6 Mafia, aveva dato suggerimenti di tutt’altro tenore, come ad esempio sorseggiare un sizzurp, non il migliore dei modelli da seguire. Una rapida ricerca su Google restituisce innumerevoli risultati sugli artisti musicali – non solo in ambito hip hop – che hanno mostrato atteggiamenti reticenti nei confronti dei vaccini anti-Covid. Offset dei Migos è tra i contrari della prima ora. In compenso Lupe Fiasco ha fatto richiesta esplicita ai fan di essere vaccinati per andare ai suoi concerti. E potremmo proseguire su questa linea ancora a lungo. Di sicuro il caso più noto delle ultime settimane, arrivato persino a scomodare il ministro della Salute di Trinidad e Tobago, è quello che ha avuto per protagonista Nicki Minaj. Non starò qui a fare il resoconto dell’accaduto, perché do abbastanza per scontato che ne abbiate letto ovunque e in tutte le salse. Mi limito perciò a segnalare la reazione di Azealia Banks, per gli appassionati di scaramucce tra rapper.
Pop out (Skrrt-skrrt), what’s up? (What’s up?)
We makin’ money in quarantine (Quarantine)
Dirty my stick and my whip clean (Whip clean)
It’s the blue Benjamin’s, vaccine (Vaccine)
Need the bounce back, now I’m taxin’ (Taxin’)
Fuck up the trap, we go tag team (Tag team)
Talk on FaceTime, it’s no textin’ (Textin’)
Holdin’ the fire, who gon’ press me? (Offset, press me)– Migos, Vaccine, 2021
Al di là dei dubbi, dei timori e talvolta delle convinzioni antiscientifiche, la diffidenza nei riguardi dei vaccini è soprattutto una diffidenza verso il sistema sanitario, un abito mentale che negli Stati Uniti si tramanda di generazione in generazione tra i neri. Non è una regola ferrea, ovviamente, ma il ricordo di 40 anni di studi sulla sifilide condotti dallo U.S. Public Health Service ai danni di centinaia di neri, usati a partire dagli anni ‘30 a Tuskegee, in Alabama, come cavie umane – a molte persone, ingannate e dunque ignare delle reali intenzioni, furono interrotti i trattamenti con conseguenze nefaste –, è un’eredità culturale che ancora oggi fatica ad essere sradicata. Del resto l’esperimento venne concluso nel 1972 e soltanto nel 1997 arrivarono pubbliche scuse, dall’allora presidente Bill Clinton.
Way back when I was puttin’ on my football hat
This institution came recruitin’ little Route for the stats
They sat me in a room with my dad
And it was cool but when they left I was glad
And my pops was too, he said that’s good-ass parenting
Reminding me ‘bout that place that did them nigga experiments
On them black people, sharecroppers, down in Alabama, damn
It’s not that far from Atlanta, it was the 1930s
They did them black folks dirty because a tan
A man was not a man, nigga, your granny wasn’t grand
A scam into the plan to go recruit a group of stupid niggas
And shoot them up with syphilis instead of shoot-to-kill ‘em– JID, Skeege, 2021
A dicembre 2020 il 42% dei neri pensava di farsi vaccinare contro il 61% dei bianchi, secondo un sondaggio del Pew Research Center. Ma a settembre 2021, complici una campagna più efficace, alcune imposizioni previste nei luoghi di lavoro e il ruolo importantissimo delle chiese protestanti nere (circa otto frequentatori assidui su dieci avevano ricevuto almeno una dose di vaccino, spesso perché incoraggiati dai loro pastori), si è osservata una distribuzione simile tra i segmenti di popolazione bianchi, neri e ispanici.
Eppure – sarebbe lecito pensare – un atteggiamento circospetto, se non proprio avverso, lo abbiamo osservato più o meno in tutto il mondo. Storici ed esperti negli Stati Uniti, tuttavia, hanno spesso ritenuto che i dubbi e le domande di molti siano da inserire in un contesto più ampio di disuguaglianze nell’assistenza sanitaria e di vecchie politiche penalizzanti, qualcosa che va oltre il mero complottismo (che certamente esiste ad ogni livello) i cui effetti si ripercuotono nelle diverse aree urbane. La pandemia – non ancora debellata – ha colpito in modo selettivo dove le condizioni di vita non sono le migliori possibili. I neri hanno avuto maggiori probabilità di contrarre il virus e di ammalarsi, un minore accesso alle cure per via dei redditi mediamente bassi, quindi un rischio di morte più elevato. Questo è avvenuto perché molti di loro, anche nei periodi di lockdown quando i vaccini non c’erano e non avevamo una piena consapevolezza dei giusti comportamenti da tenere, hanno lavorato fuori casa in quanto impiegati nelle attività essenziali, usufruendo perlopiù del trasporto pubblico e facendo poi rientro in quartieri densamente popolati o in zone inquinate nei pressi di stabilimenti industriali. Oppure dove c’è carenza di cibo salutare, con i fast food e i distributori automatici a pochi passi dalle abitazioni e i negozi di alimentari che distano chilometri. Elementi che sono eredità del redlining e su cui indaga il premio Pulitzer Lawrence Wright nel suo ultimo libro, L’anno della peste, pubblicato in Italia da NR Edizioni.
La pandemia, un’esperienza totalizzante come lo era stata l’11 settembre, ha avuto un notevole impatto sulla produzione di contenuti culturali. Alcuni rinviati, altri riscritti daccapo per raccontare il disagio provocato dai lockdown. Eventi annullati o al massimo in streaming, anche la musica ha avuto perciò la sua parte. La narrazione di una fase incerta, negli Stati Uniti resa ancora più grave dalle tensioni sociali e politiche, ha condizionato non poco il linguaggio, i suoni e le immagini. C’è DaBaby che porta una mascherina nella cover di BLAME IT ON BABY del 2020, mentre in Extinction Level Event 2: The Wrath of God di Busta Rhymes, un album piuttosto fatalista con spunti di teorie cospirazioniste qua e là come nelle migliori tradizioni della sua discografia, è uno scheletro a indossarla. Uno sforzo rappresentativo che è in primo luogo testimonianza.
Proprio Busta Rhymes, di recente, ha criticato duramente le misure restrittive adottate in America per contenere la diffusione del virus, in particolare se l’è presa con l’uso della mascherina. Ma tornando ai vaccini, i rapper difficilmente hanno avuto parole rassicuranti, a conferma di un rapporto conflittuale non nuovo verso medici e scienza. Uno schema che da un lato va inserito nel solito «contesto di disuguaglianze», ma che dall’altro rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio, date le circostanze.
A-yo, it’s poison
Ecstasy, coke, you say it’s love, it is poison
Schools where I learned, they should be burned, it is poison
Physicians prescriptin’ us medicine which is poison
Doctors injectin’ our infants with the poison
Religion misoverstood is poison
Niggas up in my hood be gettin’ shot, given poison– Nas, What Goes Around, 2001
From day one at the hospital they target our children
Say they gonna immunize ‘em they somehow get autism
Incriminate myself on records speakin’ on my life
Expect to receive blessings out here cheatin’ on my wife– Royce da 5'9", Tricked, 2020
Ad ogni modo vanno prese in considerazione anche le posizioni di segno opposto. Di Lupe Fiasco abbiamo già detto, ma anche Skyzoo, Paul Wall e Jeezy rientrano tra i vaccinisti. DMC ha collaborato con l’organizzazione fondata dal neurologo Olajide Williams e Doug E. Fresh, Hip Hop Public Health, per delle campagne informative; Juvenile ha rilasciato insieme a Mannie Fresh e Mia X una versione alternativa di Back That Azz Up, suo successo del 1998 – Vax That Thang Up –, allo scopo di incentivare le persone a vaccinarsi (una cosa a tratti comica, ma con un fine nobile).
C’è poi chi ha sfruttato l’idea del vaccino in modo creativo, come una deviazione di significato: Logic. In Vaccine non si parla di vaccini e pandemie, ma, appunto, del suo ritorno in scena dopo che nel 2020 aveva annunciato il ritiro.
Le esperienze negative tramandate non spiegano però tutto, perché in generale l’hip hop ha avuto spesso una relazione complicata con l’idea stessa di malattia. In un articolo di luglio, NBC News ha passato in rassegna alcuni degli artisti che hanno condiviso pubblicamente i propri problemi di salute – Freeway e Rick Ross, tra gli altri –, sfatando il mito dei rapper invincibili, una raffigurazione “sacra” che risale in particolare all’immaginario anni ‘90. Nella storia del rap è capitato anche che la malattia fosse il pretesto per irridere l’avversario di turno impegnato in qualche beef.
In questi quasi due anni di emergenza sanitaria c’è comunque chi ha preso seriamente la pandemia di coronavirus. Parlando sempre dei cavoli suoi, si intende, ma meglio di niente.
They say these bars are like COVID (Bars are like COVID; what?)
You get 'em right off the bat (You get ‘em right off the bat; yeah)
Infected with SARS and Corona (Infected with SARS and Corona)
Like you took a bite off of that (You took a bite off of that; damn)
And it goes from martian to human (From martian to human; yeah)
That’s how the virus attacks (That’s how the virus attacks)
They come at me with machine guns (At me with machine guns)
Like trying to fight off a gnat– Eminem, Gnat, 2020
Altre cose interessanti
Alcune informazioni, visto che di queste cose abbiamo scritto nelle scorse puntate. Tra pochi giorni, il 2 novembre, si voterà in diverse parti degli Stati Uniti. A New York il prossimo sindaco sarà con ogni probabilità Eric Adams, ex poliziotto afroamericano di 61 anni. In estate ha vinto le affollatissime primarie democratiche, ma piace anche a tanti conservatori per la sua linea «law and order». Ruolo che tuttavia il candidato repubblicano, Curtis Sliwa, rivendica per sé. In caso di vittoria, Adams sarà il secondo sindaco nero di New York dopo la parentesi di David Dinkins.
Gli occhi saranno puntati maggiormente sul New Jersey e sulla Virginia, dove si vota per i governatori. Se il New Jersey non preoccupa troppo i democratici, altrettanto non si può dire della Virginia: qui Terry McAuliffe è dato dai sondaggi poco sopra Glenn Youngkin, il candidato del GOP. Un anno fa, in Virginia, Biden vinse con un margine di dieci punti su Trump. Perderla, insomma, sarebbe un duro colpo, motivo per cui nelle ultime settimane hanno sfilato da queste parti i pezzi grossi, da Obama allo stesso presidente in carica, da Kamala Harris a Stacey Abrams.
Si terranno inoltre le elezioni per il sindaco di Minneapolis, città ancora segnata dalle proteste per l’uccisione di George Floyd, avvenuta a maggio dello scorso anno faccia a terra, sotto il ginocchio dell’ex agente di polizia, Derek Chauvin. Il sindaco uscente, il democratico Jacob Frey, mira a ottenere un nuovo mandato, ma l’esito del voto potrebbe essere legato a un referendum cittadino il cui quesito più importante è sulla soppressione della polizia, altrimenti sostituita con un più esteso dipartimento di pubblica sicurezza. L’ipotesi è stata largamente dibattuta dopo le tragiche vicende del 2020, ma in realtà ha trovato poche sponde fin qui. Frey – criticato anche a sinistra per non aver fatto abbastanza per riformare la polizia di Minneapolis – è contrario alla misura. Sarà un test interessante, con possibili ripercussioni sul piano nazionale.
E siamo così giunti ai saluti. È il momento dei rituali: domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, iscrivetevi e fate iscrivere le amiche e gli amici alla newsletter!
Ci leggiamo tra due venerdì (e scusate per il ritardo…). Ciao!