Il 2024 verrà ricordato per un mucchio di cose. Per la vittoria di Donald Trump alle elezioni di novembre. Per il rocambolesco cambio della guardia dem, con Kamala Harris chiamata in fretta e furia a sostituire il suo capo, Joe Biden, nella (rin)corsa alla Casa Bianca. Per lo scandalo Diddy. E per un fatto in apparenza di poco conto, eppure molto importante per chi sa prestare attenzione alle dinamiche che ruotano attorno ai temi seguiti dalla vostra amichevole newsletter di quartiere: il ritorno, generoso, della scena West Coast, in una fase storica che – come da mesi raccontano gli americanisti più esperti – non vede la California brillare particolarmente. Questa sottolineatura West Coast è quanto di più anacronistico possa esistere, ma alcuni eventi rilevati durante l’anno sono la testimonianza diretta di un fenomeno glocal, come si era soliti dire qualche tempo fa. Il più abile a diffondere il messaggio, contestualmente calcando una distanza con i suoi interlocutori (o “avversari”) non solo fisica, ma soprattutto psicologica, sociale, simbolica e culturale, è stato Kendrick Lamar. Ci arriviamo tra poco.
Ho perso il conto degli album hip hop provenienti dalla costa ovest usciti quest’anno, tra cui l’atteso «Missionary» delle leggende Snoop Dogg e Dr. Dre. La puntata di Mookie, l’ultima del 2024, sarà allora un brevissimo tentativo di tirare le somme, tra musica e politica. L’episodio sarebbe dovuto uscire venerdì, ma si è preferito fare con comodo: Mookie a ridosso del Natale è una consuetudine, perciò eccoci qua.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera. Per contribuire al progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola, un caffè. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!
California Dream
La crisi della California è una crisi sistemica. Il Golden State vanta, si fa per dire, alcune delle città americane con il costo della vita più alto, Los Angeles e San Francisco su tutte. Gli affitti e i prezzi delle case sono alle stelle, aumentano le persone in condizioni di povertà e quelle senza fissa dimora. Le comunità nere e latine sono colpite in modo sproporzionato – e questo è uno degli aspetti in comune con le aree del paese che registrano difficoltà simili, nonostante il miglioramento complessivo che si è potuto osservare negli ultimi anni –, alimentando le disuguaglianze socioeconomiche.
L’immagine di ricchezza e innovazione della Silicon Valley si è spesso scontrata con gli squilibri, così molte aziende – e di conseguenza molti cittadini – stanno abbandonando la California per Stati dove la tassazione è più bassa e i costi abitativi un po’ meno astronomici, quali il Texas e in parte anche la Florida. In compenso alcuni centri nevralgici della lotta nera – tipo Oakland – sono oggi alle prese con una gentrificazione piuttosto invadente.
In più ci sono la crisi climatica, i periodi di siccità, gli incendi devastanti. E anche questi elementi concorrono alle decisioni delle persone di trasferirsi altrove.
Persino Hollywood, giurano, non è più quella di una volta.
Se c’è uno Stato multiculturale, quello è la California, ma le divisioni sono intrecciate nel tessuto quotidiano. La duratura assenza di una reale competizione politica – qualsiasi carica elettiva in palio in California, è quasi certo che saranno i democratici a vincerla – è il suo più grosso limite; tuttavia, alle elezioni di novembre, Trump è riuscito a guadagnare qualche punto percentuale sul risultato del 2020. Da qui, nel frattempo, Gavin Newsom si è messo alla testa del movimento dei governatori dem che intendono dare filo da torcere all’entrante amministrazione repubblicana sui temi dei diritti riproduttivi, dell’ambiente e dei flussi migratori. Se animato da sincera preoccupazione o già proiettato al 2028 (e una cosa non esclude l’altra), lo vedremo poi.
You’ll probably do better overseas
Instead of livin’ out that California dream– Ab Soul feat. Vince Staples & Kamm Carson, California Dream, 2024
California Love
Il disco di Tyler, The Creator uscito a fine ottobre, CHROMAKOPIA, non è la tipica espressione hip hop della soleggiata California che, come noto, ha invece una lunghissima tradizione in fatto di gangsta rap. Sound e contenuti sono abbastanza sofisticati da eludere qualsiasi tentativo di classificazione, ma lui ha tenuto comunque a precisare che l’album ha radici losangeline. Con le sue parole, Tyler, ci ricorda che il lento declino californiano – culturale, artistico, eccetera – è dovuto, sì, agli innumerevoli cambiamenti che permeano gli Stati Uniti, ma anche quando è sottinteso un intervallo più cosmopolita, poco incline alle scorribande o alle cazzate di strada, il talento locale rimane un tratto distintivo.
Quella creatività rap-misto-funk rintracciabile da fine anni ‘80 lungo il triangolo Long Beach-Compton-Inglewood, quest’anno è emersa in maniera dirompente, grazie ad alcune operazioni nostalgia (Snoop Dogg e Dr. Dre, ai quali si è aggiunto poco prima Ice Cube e poco dopo Daz Dillinger) e pubblicazioni di artisti e produttori già famosi (Vince Staples, Ab-Soul, ScHoolboy Q, Mustard, YG) o di altri meno noti alle nostre latitudini (Huey Briss, Thurz)1, senza dimenticare il jazz di Kamasi Washington.
Kickin’ all that gangster shit and checked in
Heavy in these streets, to me, it weighed thin
Got me a little money, now we best friends
If Kamala freed the homies we’d be all lit– ScHoolboy Q, Blueslides, 2024
La visione romantica dell’hip hop “rivoluzionario” ha lasciato il posto a una «dimensione più intima, quasi individualista, furba all’occorrenza» (autocit., anche se non è elegante) dell’artista, svalutando – magari non sempre, ma diciamo spesso – l’importanza della collocazione geografica che, alle origini del movimento e per molto tempo ancora, era al contrario un significante necessario. L’eterna rivalità tra le scene di Los Angeles e di New York – diretta emanazione di un antagonismo più ampio –, o le scaramucce tra i “rappresentanti” di diversi distretti nella stessa città, erano un modo per marcare il territorio e affermare con decisione l’esistenza di un sistema collaudato, ognuno ritenuto superiore all’altro. A pensarci bene, anzi, è la costruzione dell’altro attraverso un’idea sbrigativa e ridotta all’essenziale – il campo dove proliferano gli stereotipi –, per cui viene avviato l’intero processo comunicativo, ricco di simboli e di riferimenti culturali. Ed è in questo frangente che entra finalmente in gioco Kendrick Lamar.
squabble up
Quando verso la fine di novembre, Kendrick Lamar ha pubblicato a sorpresa GNX, gli strascichi della faida primaverile con Drake sono sembrati subito evidenti. L’album è un concentrato di esaltazione locale – la presenza della cantante mariachi Deyra Barrera è un’immediata conferma dell’omaggio rivolto alle varie componenti culturali di LA e della California –, infarcito di continui richiami alla black culture, un affresco che è riconoscibile nel video di squabble up, dove dentro c’è di tutto, dalla rappresentazione dell’eccellenza nera alla celebrazione della cultura cholo.
A proposito dell’importanza dei simboli, a giugno Lamar era riuscito a far salire sul medesimo palco esponenti dei Crips e dei Bloods, in una giornata densa di significato come Juneteenth: un tentativo di pacificazione interna che prendeva le distanze – di nuovo: fisiche e sociali – dall’altro, identificato stavolta con il rivale di turno Drake, il quale nelle settimane di diss incrociati era stato messo sul piano dei colonizzatori.
L’altro – poco importa che sia una persona o un gruppo di persone – è il referente di un’interazione e la sua individuazione determina la natura del messaggio. In questo senso, al di là dei colpi sotto la cintura, Not Like Us è un concetto potentissimo, in grado di raggiungere due obiettivi (sebbene sia difficile stabilire quanto voluti entrambi): rimettere la scena West Coast al centro della mappa in un anno in cui la scena West Coast, oltretutto, si è mostrata audace e ricettiva; raffigurare le enormi divisioni negli Stati Uniti. Ha forse spiegato più questo dell’America nel 2024 che qualsiasi accurata analisi post-voto.
🔎 Altre cose interessanti
Per quello che conta, sia messo agli atti che l’album dell’anno, secondo Mookie, è in realtà un mixtape (o almeno quella specie di album che gli artisti preferiscono definire mixtape): Alligator Bites Never Heal di Doechii, giovane rapper della Florida che però sta diventando una diva dell’hip hop in California, al seguito della TDE (imperdibile il recente Tiny Desk Concert). Comprensibile che nel mezzo di una conversazione pubblica – intanto Doechii ha ottenuto tre nomination ai Grammy Awards –, Killer Mike abbia voluto ricordare le sue origini South (che è un modo per dire che il territorio sta tornando ad essere preponderante nell’hip hop, a dispetto delle precedenti riflessioni al riguardo).
È un tema che abbiamo trattato alla vigilia delle elezioni: secondo i dati pubblicati qualche giorno fa, il numero degli studenti neri iscritti quest’anno alla Harvard Law School è diminuito per effetto della decisione della Corte Suprema di mettere uno stop all’affirmative action.
Grazie di aver letto fino in fondo. Questa, dunque, è l’ultima puntata del 2024 e come molte e molti di voi all’ascolto già sanno, l’appuntamento con la newsletter (in questa sua versione) rallenterà un pochino: a partire da gennaio, in maniera continuativa, ci leggeremo ogni tre venerdì.
È stato un anno davvero intenso ed è stato bello trascorrerlo insieme. Non mi resta che augurarvi buone feste e un felice 2025.
Prima di congedarci, le care, vecchie abitudini. La playlist della newsletter è pronta: non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, scrivermi su Instagram, su Threads o su Notes. Se Mookie vi piace, mandate il link ad amici e parenti!
Divertitevi, a presto!
Volendo ce ne sarebbero altri ancora, se non li citiamo tutti è per evitare elenchi troppo lunghi.