Eravamo stretti tra i Grammy Awards e Sanremo quando, anche in Italia, si è cominciato a parlare sul serio di Lil Yachty e del suo ultimo disco: Let’s Start Here, uscito il 27 gennaio.
Che Let’s Start Here avrebbe potuto suscitare un certo mormorio era prevedibile fin dal primo ascolto, perché è il più classico dei progetti che non ti aspetti da uno che fino all’altro ieri se ne usciva con quella lagna di mumble rap. Perciò ti chiedi: come è stato possibile che proprio Lil Yachty pubblicasse un album psichedelico e sperimentale – definizioni spesso date a caso, ma che a lui potrebbero comunque non dispiacere –, con dentro un po’ di tutto, quasi fosse un omaggio risolutivo alla storia più recente della musica? La risposta l’ha data il diretto interessato ad un evento per l’uscita del disco: l’ambizione di realizzare qualcosa di nuovo – da qui, volendo, l’idea di the BLACK seminole. – e far vedere al mondo che a 25 anni è più dell’etichetta “rapper della generazione SoundCloud”. Come è normale che sia, però, Let’s Start Here non è piaciuto a tutti. Il giudizio di Pitchfork, ad esempio, è stato tiepido: un 6.0 stiracchiato. C’è da dire che Yachty non l’ha presa benissimo, ma polemiche e dibattiti possiamo chiuderli all’istante, fare finta non siano mai esistiti, roba da addetti ai lavori al massimo. Interessante, invece, è il video di sAy sOMETHINg in cui Yachty, nel bel mezzo di un affresco alla Jordan Peele, in pochi minuti passa dal sognare ad occhi aperti la storia d’amore perfetta con la ragazza che sta frequentando da due settimane (ma che non nutre un sentimento uguale al suo), alla follia provocata dal rifiuto, passando prima per immagini concilianti e del tutto conformiste: appuntamenti, un matrimonio, un figlio. Pensieri che, anche stavolta, non ti aspetti da uno che fino all’altro ieri se ne usciva con quella lagna di mumble rap.
Se non avete sbuffato leggendo «quella lagna di mumble rap», le cose sono due: o siete grandi abbastanza da essere poco inclini alle ultime evoluzioni dell’universo hip hop, oppure ascoltate altro e i vari Lil Yachty, snobbati, difficilmente passano in rotazione sui vostri Spotify. Definire il mumble rap una «lagna» è stata una provocazione voluta per mettere in risalto il conflitto generazionale che ci riguarda sempre tutti, ma che soprattutto di questi tempi osserviamo diffusamente.
Ciao! Questa è Mookie, una newsletter che tratta di America in relazione al rap e alla musica nera e che ogni tanto, come in questa puntata, si prende libertà oltre il dovuto. Se tutto ciò vi piace, potete contribuire con un like, le condivisioni e il passaparola: più siamo, più ci divertiamo!
Dopo i Grammy, che si sono tenuti il 5 febbraio a Los Angeles, Whitney Alford, compagna di Kendrick Lamar, ha pubblicato online un tenero video dei loro figli che guardano il padre alla tv per la premiazione del miglior album rap dell’anno, Mr. Morale & The Big Steppers. L’importanza dei figli nel processo di crescita, umana e artistica, è un aspetto che Lamar aveva sottolineato mesi prima in un’intervista a W Magazine, quindi la scena è una specie di chiusura del cerchio. Ma l’accomodante quadretto familiare non spiega le insidie di una materia in realtà ancora oggi ostica. Esclusa qualche commedia, poche volte la narrazione ha contemplato famiglie nere felici – o almeno: felici, per davvero o per convenienza, in una sorta di “accezione bianca” –, piuttosto ha rimarcato, in letteratura come nel cinema, tutte le criticità di una struttura fragile e vincolata alle storture della società statunitense. In Mr. Morale & The Big Steppers, dove Kendrick Lamar riflette sul proprio vissuto, emerge un doppio confronto che si mescola con la figura paterna che il rapper auspica possa rivelarsi – conscio dei trascorsi al fianco di un uomo che gli ha insegnato a fare a pugni con la vita – e quella traviata di chi un padre di fatto non lo ha avuto e sta chiudendo soltanto adesso i conti con tale assenza prolungata e traumatica.
What’s the difference when your heart is made of stone
And your mind is made of gold
And your tongue is made of sword, but it may weaken your soul?
My niggas ain’t got no daddy, grow up overcompensatin’
Learn shit ‘bout bein’ a man and disguise it as bein’ gangsta
I love my father for tellin’ me to take off the gloves
‘Cause everything he didn’t want was everything I was
And to my partners that figured it out without a father
I salute you, may your blessings be neutral to your toddlers
It’s crucial, they can’t stop us if we see the mistakes
‘Til then, let's give the women a break, grown men with daddy issues– Kendrick Lamar, Father Time, 2022
Lo stereotipo del padre assente (o presente in un ambiente negativo, situazioni descritte in alcune sue canzoni da Diana Ross: erano gli anni ‘60-‘70) continua ad avvolgere la comunità nera statunitense, malgrado i dati reali siano inversamente proporzionali alle percezioni. Ciò che comprende modelli comportamentali interiorizzati o legati allo spazio familiare, che a cascata generano tanti più stereotipi attorno alle donne, è un argomento che abbiamo già trattato. Non stupisce, allora, la diversa rappresentazione della genitorialità. I neri e gli ispanici – afferma il Pew Research Center in un recente rapporto – sono propensi più dei bianchi e degli asiatici a considerare l’essere genitore l’aspetto più qualificante di sé come individui. I genitori neri hanno anche maggiori probabilità di darsi voti alti per il “lavoro” svolto in questa veste, ma si definiscono, nel 55% dei casi, iperprotettivi. Al di là delle conclusioni di autori come Ta-Nehisi Coates, forme talvolta eccessive di controllo sui figli possono avere a che fare con gli eventi di enorme impatto emotivo che in maniera ineluttabile, negli anni, hanno plasmato il giudizio morale sulle istituzioni. Il 23% dei genitori neri e il 27% di quelli ispanici temono i guai con la polizia, quando appena il 7% dei genitori bianchi e l’11% di quelli asiatici esprimono la medesima apprensione. Infine ispanici (42%) e neri (32%), più di asiatici (23%) e bianchi (12%), affermano di essere preoccupati che i loro figli vengano uccisi.
Nell’ambito della black music il tema della genitorialità ha trovato uno sbocco più che naturale, in quanto la relazione genitori/figli assume un valore profondo, portatore di eredità culturali e orgoglio collettivo. Può essere, dunque, una manifestazione di gioia per una nascita o l’esposizione di un’esistenza travagliata, tra incomprensioni, fughe, dentro e fuori di prigione, discriminazioni. Si passa da Stevie Wonder ad Alicia Keys, da Beyoncé a Nas, dai timori di Childish Gambino ai ricordi di Skyzoo – uno dei pochi ragazzi del suo quartiere con un padre in casa –, fino ai drammi narrati dai De La Soul.
Born alone die alone’s what the motto is
Lived up to every word, overly proud of it
But knowing there’s tag teams when you get to the heart of it
For all of us lucky enough to know where our fathers is
Our father who art in the living room, cracking a brew
Know where I'm attached even when I'm attached to the stoop
Thinking I’m doing more than I am ‘til you hand me the news
Like I know everything you that you on, I’m actually you– Skyzoo, Memory Serves Me, 2020
Anche le differenze generazionali possono manifestarsi in svariati modi. Di nuovo, oggi, c’è che l’ascensore sociale appare guasto (non solo in Europa, anche negli Stati Uniti), ma le mutate condizioni storiche determinano l’ennesima cesura. Cosa è accaduto nel frattempo? I neri – complice la posizione di partenza – sono tra coloro che hanno registrato alcuni dei miglioramenti più significativi, ma, insieme agli ispanici, restano il segmento demografico con maggiori probabilità di risiedere nelle fasce di reddito basse. Le differenze generazionali sono pertanto una testimonianza dei progressi raggiunti: i millennial neri ritengono, più dei loro genitori, di poter accedere alle stesse opportunità dei bianchi – figurarsi le classi di età successive –, mentre nel campo dell’attivismo si osservano approcci diversi e visioni più ottimistiche, orientate al superamento del trauma intergenerazionale che si trascina dai tempi della schiavitù e dell’era delle leggi Jim Crow.
L’hip hop nacque, convenzionalmente 50 anni fa, dall’esigenza di fare musica con i pochi mezzi che si avevano a disposizione. È lo spirito che a lungo ha animato un numero consistente di famiglie nere, con i figli cresciuti ascoltando canzoni che descrivevano esattamente quel tipo di esperienza. Ma il percorso non è stato sempre così lineare. È accaduto che la colonna sonora di vita necessitasse di una qualche forma di decodifica, utile, secondo i genitori, a scansare i poco gratificanti luoghi comuni (un esempio) che non hanno mai smesso di correre loro dietro e che i pregiudizi sul rap hanno continuato ad alimentare (un altro esempio). Eppure tutto questo contribuì a fare rete, alla creazione di una comunità, ragione per cui, di tanto in tanto, qualcuno della vecchia scuola – diciamo pure della vecchia, nuova scuola – si alza in piedi e critica i giovani artisti per la mancanza di contenuti di spessore artistico e sociale, o perché troppo dediti alle cazzate (non che le cazzate siano appannaggio esclusivo di questa epoca, oltretutto).
In conclusione, anche per gli adulti di oggi, alla stregua di quelli di ieri, compiere lo sforzo di provare a capire la musica che esalta le nuove generazioni dovrebbe tradursi in un cambio di prospettiva. Come è stato per Shannon McCollum, il padre di Lil Yatchy, noto fotografo musicale di Atlanta che ha documentato momenti salienti dell’hip hop. Intervistato nel 2016 sulla musica del figlio, ammise candidamente che sì, d’accordo, questo mumble rap non lo capiamo, non ci piace, ma sapete com’è, in compenso piace ai giovani. È per loro, non per noi. Funziona così: lasciamo che si divertano.
Cuore di papà? Può darsi, ma almeno è finita che nel 2023 Yatchy sia riuscito a pubblicare un disco buono anche per le masse di ascoltatori ultratrentenni.
Altre cose interessanti
Non credo rientri a pieno titolo nell’ambito di un conflitto generazionale, o forse sì. Del resto Melle Mel, intervistato sulla recente lista di Billboard dei 50 migliori rapper di tutti i tempi, ha avuto da ridire anche su Kendrick Lamar (#2), Lil Wayne (#7), Nicki Minaj (#10), persino JAY-Z (#1) nonostante l’amichevole chiacchierata poche settimane fa durante la cerimonia dei Grammy Awards. Ma al momento di parlare di Eminem (#5) è emersa la solita questione razziale. Una storia lunga quanto la sua carriera: lo stesso Eminem è abituato e ha messo in chiaro in diverse occasioni di avere al riguardo un’opinione consapevole. Le dichiarazioni tranchant di Melle Mel (#48 secondo Billboard, a proposito) non sono campate in aria – nel senso che più di qualcuno, là fuori, le condivide anche –, ma rimangono un fatto degno di nota i ragionamenti che accompagnano le polemiche di questo tipo. E se nel 2023 la questione razziale può essere ancora uno snodo dialettico di un certo spessore nella comunità hip hop, diventa più facile capire il frastuono di culture wars o situazioni analoghe quando di mezzo ci sono i diritti delle persone. Sulla vicenda Melle Mel-Eminem, due consigli di lettura: Mosi Reeves su Okayplayer e Stereo Williams su Rock The Bells.
La scorsa settimana Snoop Dogg ha annunciato il ritorno del catalogo della Death Row sulle piattaforme di streaming, dopo la decisione, un anno fa, di rimuovere gli storici album della label che lui aveva rilevato in precedenza. La scelta era stata in parte motivata dall’obiettivo di rendere la nuova Death Row «un’etichetta NFT». Ora è presto per trarre conclusioni in merito, ma il dietrofront suggerisce qualcosa in più sull’importanza delle piattaforme nell’attuale fruizione della musica e su come quest’ultima sia cambiata a livello di industria. Suggerisce qualcosa anche riguardo il peso culturale che lo streaming ha avuto sulla musica nera, ma di questo, semmai, parleremo in futuro.
Per alcuni giorni tanti utenti affezionati hanno temuto la chiusura (poi smentita) di DatPiff, storica piattaforma di mixtape: un ulteriore spunto a tema streaming.
La notizia non è fresca, ma vale la pena proporla. Eddie Murphy ha detto di possedere il dipinto The Sugar Shack, quello vero.
Bobby Caldwell lascia un’impronta tutt’altro che trascurabile nella musica hip hop.
Vale la regola della scorsa puntata per Kendrick Lamar all’Arena di Verona, cioè immagino lo abbiate già saputo, ma io sono qui apposta per i ritardatari: Nas sarà headliner il 16 giugno al festival La Prima Estate di Lido di Camaiore (Lucca).
Allora: quella di oggi è la newsletter rimasta in sospeso all’incirca un mese fa e un minimo riadattata per l’occasione. In pratica era una scusa come un’altra per parlare dell’album di Lil Yachty, ma questo era chiaro fin dall'inizio. La playlist di Mookie è pronta e ricca anche questa settimana: a voi non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram, su Twitter o su Mastodon. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici!
Ci leggiamo tra due venerdì, a presto!