La carriera da procuratrice di Kamala Harris è stata oltreoceano uno degli spunti più dibattuti nei primi giorni da candidata dem designata, dopo il ritiro di Biden. Harris si è spesso descritta come una progressista e una riformatrice durante i suoi mandati in California: è un aspetto che tiene a sottolineare anche nell’autobiografia Le nostre verità, libro che anticipò di poco l’annuncio della candidatura in vista delle presidenziali 2020. Non le si può dare torto, ripensando al programma di reinserimento Back on Track che lanciò nel 2005 da procuratrice distrettuale di San Francisco. Solo che non tutti la vedono allo stesso modo. C’è chi ritiene la sua condotta contro il crimine particolarmente dura, l’immagine da poliziotta cattiva emersa nel “salto” a procuratrice generale della California, lo Stato della three-strikes law (la «legge dei tre colpi» del 1994, poi “ammorbidita” per via referendaria nel 2012). Alla fine sono in molti a considerare la parabola di Harris un mix di queste cose, complicando il quadro. Non che lei abbia mai negato le diverse sfaccettature, per inciso. Nelle ultime settimane la vicepresidente ha mostrato entrambe le facce: quella più severa se c’era da stare a rimarcare le grane giudiziarie di Donald Trump; quella più conciliante se c’era da stare a discutere con completezza di ragionamento. Quando si affrontano temi legati alla giustizia penale negli Stati Uniti è un attimo sfociare in argomentazioni di tipo razziale. E questo Harris lo sa bene.
Kickin’ all that gangster shit and checked in
Heavy in these streets, to me, it weighed thin
Got me a little money, now we best friends
If Kamala freed the homies we’d be all lit– ScHoolboy Q, Blueslides, 2024
Senza girarci intorno, la folle storia dei migranti che mangiano gli animali domestici, a Springfield o altrove, è l’ennesima prova di demonizzazione degli “altri”, in un paese che ha fatto delle questioni razziali la propria cifra esistenziale (intendiamoci: va così ovunque e anche noi europei ce la stiamo mettendo tutta per non essere da meno). Il giudizio può apparire troppo severo e fuorviante – lo è, troppo severo e fuorviante –, ma è l’unico modo possibile, arrivati a questo punto, per porre l’accento su un problema documentato degli Stati Uniti, il luogo più accogliente del mondo, capace talvolta di innalzare barriere e discriminare come pochi. Prima lo faceva al suo interno, ora la minaccia è percepita per lo più come proveniente da fuori (una volta sono i messicani, poi gli haitiani o i venezuelani, domani chissà). Fatto sta che l’America prossima al voto è per larghissimi tratti incazzata e rancorosa. Niente che non sapevamo già, ma di tanto in tanto tocca farci i conti.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera. Per contribuire al progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola, un caffè. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!
Le dinamiche sono note: gli Stati Uniti vantano, si fa per dire, tra le più ampie popolazioni carcerarie del pianeta. Come ci si è arrivati è un processo lunghissimo, caratterizzato da numerose tappe, il cui apice – nel senso che da lì in avanti andrà addirittura peggio, almeno per un po’ – è stato raggiunto negli anni ‘90. C’entra l’amministrazione Clinton e in parte c’entra persino l’allora senatore Joe Biden, il quale decenni più tardi, da candidato a presidente, sosterrà riforme volte ad una drastica riduzione dei detenuti: vanno in questa direzione, ad esempio, i recenti annunci di allentamenti alle restrizioni federali sulla marijuana. Quello che serve ora sapere è che dietro le sbarre ci si può finire anche per piccoli reati e per tutte quelle situazioni che coinvolgono in maniera sproporzionata chi vive nelle aree più povere. Che tradotto in termini pratici il più delle volte chiama in causa le minoranze. I neri in prigione, per essere ancora più precisi, sono sovra-rappresentati. Seguono i latini, eccetera. Una delle ultime mosse di Trump alla Casa Bianca fu concedere la grazia a Kodak Black e Lil Wayne, mentre alcune settimane fa, intervistato dallo streamer Adin Ross, ha parlato di Young Thug, argomento che gli ha fornito l’assist per attaccare Fani Willis, procuratrice distrettuale della contea di Fulton, che lo ha incriminato con l’accusa di aver tentato di ribaltare il risultato elettorale in Georgia nel 2020 (nel frattempo è finita lei stessa al centro di una controversa vicenda sentimentale in qualche modo legata al caso).
Fat Joe ci informa che lui e i suoi “fratelli” haitiani non mangiano gatti e cani, ma bistecche e aragoste
Il passato da procuratrice di Kamala Harris e i dubbi – pretestuosi – espressi da Trump alla convention della National Association of Black Journalists sulla sua identità razziale (un tema che mostra ancora segnali di profonda attualità), sono elementi che possono agire su più livelli. Harris, fin qui, è riuscita a recuperare abbastanza bene il lieve calo di consensi tra gli elettori neri che invece stava interessando Biden nei mesi scorsi, ma secondo un sondaggio della NAACP il 26% degli uomini sotto i 50 anni si dichiara a favore dell’ex presidente. C’è un’altra cosa, infatti, di cui Harris ha piena coscienza: il voto nero non è scontato.
Non è scontato perché da sempre esiste un conservatorismo nero che soprattutto oggi avverte una scarsa rappresentanza e percepisce diffusamente un minor grado di benessere (l’inflazione e l’economia sono tra le principali preoccupazioni). E ancora meno scontato è il voto latino, o quello asiatico, gruppi se possibile più eterogenei (ma sgombriamo il campo dagli equivoci: i neri non sono un blocco monolitico anche da un punto di vista demografico ormai, viste le enormi trasformazioni che la popolazione statunitense sta registrando nel suo insieme). Ogni componente matura le proprie esigenze – quella latina, al cui interno è presente un atavico dibattito sulla migliore denominazione da adottare, è la porzione più ampia e comprende storie e radici diversissime per cui è impossibile rintracciare un unico indirizzo, compresi i comportamenti di voto; quella asiatica nel 2020 era stata individuata quale segmento di elettori in più rapida crescita negli Stati Uniti –, rivendicando il proprio ruolo nella società. Lo abbiamo visto nel 2023, per restare al nostro ambito preferito, quando in occasione dei 50 anni dell’hip hop è stato reclamato il contributo che i giovani di origini latine hanno saputo offrire alla cultura fin dai primi block party nel Bronx.
Sondaggi alla mano sappiamo che, considerate le minoranze, Trump è piuttosto efficace tra gli elettori latini. Ricordate i Trump Latinos e il MAGA rap? Non a caso, dopo il recupero di Kamala Harris (che a dire il vero si osserva anche qui, nonostante le ultime oscillazioni a confronto), l’ex presidente sembra puntare ora su generi musicali più affini al bacino elettorale ispanico, chiamando al suo fianco personaggi come Anua AA e Nicky Jam (sebbene forse risentito per l’immancabile gaffe).
Nel 2004 Kamala Harris iniziò il suo mandato da procuratrice distrettuale di San Francisco, teorizzando quello che diventerà presto il programma Back on Track. Dall’altro lato del paese, ad Atlanta, Georgia, T.I. raccontava l’ennesima tempesta umana, tra sensi di colpa e denuncia sociale. Il pentimento per un passato che rende schiavi e la consapevolezza di un sistema giudiziario che non aiuta gli individui a superare le avversità, a trovare redenzione, o semplicemente un’alternativa. Un circolo vizioso, conosciuto a molti.
I ask how can a man that’s done so much
Be treated so unjust
Cause I’m tryin’ to inspire da folks
Wanna condemn, ‘cause they sell dope
Well man show ‘em the ropes
Be a father or a football coach, a role model or a symbol of hope
Take another approach, instead of testifyin’ against ‘em in court
Handcuffin’ ‘em and closin’ the door, so they can be worse than before– T.I., Prayin For Help, 2004
Altre cose interessanti
Le rivelazioni della CNN su Mark Robinson, candidato a governatore della North Carolina (a proposito di conservatorismo nero), sono quasi da romanzo di Paul Beatty. Anzi no, siamo oltre.
Di Sean Combs, Diddy, dovreste aver letto parecchio in giro negli ultimi giorni. Il New York Times ha descritto le pessime condizioni del Metropolitan Detention Center, la prigione di Brooklyn in cui è rinchiuso (se ci sono problemi con il paywall, va bene anche questo articolo).
Kodak Black, di origini haitiane e grande sostenitore di Trump, ha detto che si sarebbe recato di persona a Springfield a vedere quello che sta succedendo.
Anche di questo avrete senz’altro letto: Kendrick Lamar sarà l’headliner dell’Halftime Show del Super Bowl 2025. La partita si disputerà a New Orleans e i fan e gli amici di Lil Wayne, che è di lì, si sono arrabbiati con JAY-Z, ma per fortuna c’è Snoop Dogg.
Ci sono state polemiche e discussioni varie per le zero nomination di Beyoncé ai Country Music Awards 2024. Del significato e dell’importanza di Cowboy Carter avevamo parlato qui.
Graditissimo ritorno: è uscito 1 of 1, album di MC Lyte.
In tutto ciò, c’è stato un nuovo tentativo di attentato ai danni di Trump pochi giorni fa, non ce ne siamo dimenticati. Ora, non è che ci aspettassimo un clima sereno, ma neppure una campagna elettorale del genere.
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