AMERIICAN REQUIEM
Beyoncé, la musica country e gli istinti reazionari (mentre tutto intorno cambia)
Nel 1968 Joe Simon disse al magazine R&B World: «Farò country, ma per avere successo immagino dovrei cambiare colore». L’aneddoto è riemerso grazie a Charles Hughes – un nome che in queste settimane potreste aver letto spesso –, che lo ha raccontato nel suo libro del 2015, Country Soul: Making Music and Making Race in the American South. Se ai tempi un artista nero si dava al country, la distinzione tra generi era una questione legata soprattutto all’industria discografica (anche la musica veniva catalogata su base razziale), mentre gli stili erano più sfumati grazie alla naturale fusione con il soul e con il blues. Nel 1962 un lavoro ambizioso come Modern Sounds in Country and Western Music di Ray Charles riuscì a mettere d’accordo una platea stratificata, contribuendo ad aumentare la popolarità del country e a spostare Nashville sempre più al centro della mappa. Ma non fu un percorso facile neppure per un gigante, già all’epoca, come Ray Charles: molti tentarono di scoraggiarlo dal produrre l’album, nel mezzo, ancora, della segregazione razziale. Perché il “detto tra le righe” di Joe Simon, Charles l’aveva sperimentato alla vigilia di Modern Sounds e altrettanto avrebbero constatato molti dopo di lui: la resistenza di una cospicua parte bianca a condividere una forma d’arte ritenuta proprietà esclusiva.
Si fatica a ricordare negli ultimi anni una copertura mediatica delle medesime proporzioni per l’uscita di un album musicale. Di grandi dibattiti su un artista, una canzone o un disco, sì, ma di una spasmodica attenzione come quella riservata a Cowboy Carter di Beyoncé, francamente, no. E questo è avvenuto perché Beyoncé ha deciso di esplorare il terreno (in teoria) non suo della musica country – elemento che già di per sé denota un eccesso di stereotipizzazione –, facendo crollare il castello di carte delle barriere culturali. Come per Renaissance, Beyoncé non ha inventato alcunché. Ha però deciso di riscrivere le regole del gioco dall’alto del trono. Non si tratta di un tema inedito per noi, ma vale la pena tornarci su. Se invece si vuole entrare nei tecnicismi utili a capire meglio il contesto, è consigliata la lettura dell’articolo «Il country è musica afroamericana» di Federico Pucci.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera. Per contribuire al progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola, un caffè. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!
Quando a febbraio Beyoncé ha annunciato l’arrivo del nuovo album, con la pubblicazione di TEXAS HOLD ‘EM e 16 CARRIAGES (il titolo dell’album, Cowboy Carter, lo avremmo appreso più tardi), molti artisti neri di musica country hanno visto cambiare le cose attorno a loro. Qualcuno ha registrato l’aumento dei follower sui social, altri hanno sottolineato i maggiori ascolti sulle piattaforme di streaming, alcuni hanno esultato per entrambe le circostanze. Tra questi Brittney Spencer – al debutto discografico proprio all’inizio di quest’anno con My Stupid Life –, Tanner Adell, Tiera Kennedy, Reyna Roberts, Willie Jones e Shaboozey. Sebbene poco conosciuti, sono stati coinvolti nella realizzazione di Cowboy Carter, a dimostrazione di una scena Black country oggi più vivace che mai.
When they know it’s slappin’, then here come the yappin’
All of this snitchin’, and all of this bitchin’
Just a fishin’ expedition, dumb admission
In the kitchen, cookin’ up them chickens
Extra leg, but I ain’t even tryna kick it
Cunty, country, petty, petty, petty
All the same to me, Plain Jane, spaghetti– Beyoncé feat. Linda Martell & Shaboozey, SPAGHETTII, 2024
Secondo un’indagine Gallup, la maggioranza dei cittadini statunitensi, tra tutti i gruppi demografici, afferma di avere consapevolezza (il 20% «molto», il 49% «abbastanza») dell’impatto della cultura nera sullo sviluppo generale della cultura americana. Poiché i programmi scolastici, che variano molto negli Stati Uniti, potrebbero non includere ovunque allo stesso modo studi come arte e musica, le informazioni che provengono da amici e familiari, media ed esperienze personali, alla fine hanno un peso maggiore sulle proprie conoscenze in materia. Sono dati interessanti alla luce della stranissima relazione che c’è tra la musica country e le due Americhe.
Partiamo da una considerazione audace, ma non troppo: con Cowboy Carter Beyoncé ha compiuto un’opera dello stesso ordine di grandezza di Ray Charles nel 1962 con Modern Sounds. Per quanto abbia voluto precisare che il suo non è un album country, «ma un album di Beyoncé», resta il fatto che l’ingresso oltretutto iconografico in un ambiente che in verità l’ha forgiata – è pur sempre texana, no? – e da cui ha preso costantemente spunto nonostante i rifiuti più o meno espliciti, è una sfida niente male agli steccati culturali. La stessa che impresse Modern Sounds all’inizio dei segregati anni ‘60. Se in tanti hanno deciso di attraversare un sentiero impervio, da Joe Simon a Tina Turner, passando per l’approccio cavallerizzo di Bobby Womack nel 1976, è perché il country rappresenta in effetti un pezzo consistente di arte nera. Il problema sorge quando il country si riduce ad un’associazione di idee stereotipate.
Ancora adesso il country viene identificato come una musica espressamente bianca, o peggio: la musica dei bianchi bifolchi del Sud, per di più inclini al trumpismo. È una brutale semplificazione? Certo, ma fuori è pieno di cantanti che neanche provano a nascondere le loro idee politiche, sostenute da un pubblico polarizzato. Durante l’estate 2023 è scoppiata una baraonda per via del brano Try That in a Small Town di Jason Aldean. Il suo messaggio è che se nelle grandi città puoi farla franca in determinate situazioni – oltraggi alla bandiera statunitense, insulti alla polizia, prepotenze –, in provincia, stanne certo, è un altro paio di maniche (‘Round here, we take care of our own / You cross that line, it won’t take long / For you to find out, I recommend you don’t / Try that in a small town), alludendo alla più classica delle contrapposizioni identitarie città/campagna che l’America si trascina dietro. La diffusione del relativo video, con le riprese di vecchie proteste di Black Lives Matter (anche l’ambientazione – Aldean canta davanti al tribunale della contea di Maury a Columbia, nello Stato del Tennessee, che fu teatro di un linciaggio nel 1927 e di rivolte razziali nel 1946 – è in seguito diventata motivo di scontro), ha inasprito il dibattito al punto da indurre Country Music Television a non trasmettere più la canzone1.
Il limite, dicevamo, è che il country è tuttora identificato come una musica di e per bianchi. Tale convinzione è maturata negli Stati a lungo definiti dal principio “separati, ma uguali”, al culmine di un graduale processo per cui gli elementi della tradizione europea hanno prevalso nell’immaginario collettivo su quelli della tradizione afroamericana. Come ha scritto sul Guardian Rhiannon Giddens – la quale collabora al singolo di Beyoncé, TEXAS HOLD ‘EM, dove suona il banjo – “tradizione” e “genere” non devono però essere confusi. Se la prima, puntualizza, riguarda le specifiche comunità, il secondo è un prodotto commerciale, che negli Stati Uniti degli anni ‘20 del secolo scorso finì per prendere le sembianze della società, proiettando le categorie razziali sulla classificazione della musica.
Oltreoceano il country rimane uno dei generi più popolari, l’unico, peraltro, in cui le rotazioni nelle radio specializzate hanno ancora un senso. Notando le differenze nella segmentazione delle classifiche Billboard – Beyoncé è la prima donna nera nella storia ad avere occupato la posizione numero uno della Hot Country Song –, Ben Sisario ha manifestato dubbi sul New York Times circa il successo radiofonico di Cowboy Carter. Comunque a Beyoncé questo potrebbe interessare il giusto. L’album è intervallato da un ipotetico show condotto da Willie Nelson, tra i principali esponenti dell’outlaw country. E tra i rinforzi compare pure l’icona per eccellenza, Dolly Parton, a conferma di una galassia che a dispetto dei luoghi comuni non si è sempre arroccata su posizioni iper-conservatrici ma che, anzi, sta mettendo in mostra un cambiamento a tratti radicale.
Nothin’ really ends
For things to stay the same, they have to change again
Hello, my old friend
You change your name, but not the ways you play pretend
American Requiem
Them big ideas (yeah), are buried here (yeah)
Amen– Beyoncé, AMERIICAN REQUIEM, 2024
Dopo Charley Pride e Linda Martell, il country ha lasciato parecchio ai margini gli artisti neri a causa di quel vizio di forma che lo ha reso avulso all’interno dell’esperienza afroamericana. Di recente si è assistito ad un ritorno, con Rissi Palmer, Mickey Guyton e la già citata Rhiannon Giddens. Oppure, per osmosi dal blues, con Shemekia Copeland in America’s Child e con Valerie June, recuperando la storica interazione e gli incastri stilistici.
Con la promozione su larga scala del country rap – Nelly il campione assoluto: chi non ricorda la collaborazione con Tim McGraw in Over And Over del 2004? –, l’unione di due generi in apparenza distanti si è fatta più stretta, non confinata al caso isolato della spassosa Old Town Road di Lil Nas X e Billy Ray Cyrus. Le chitarre hanno lasciato spazio ai beat, concedendo alla nuova scuola ampi margini di manovra anche nei contenuti: un concentrato di tipiche storie d’amore, whisky, drammi personali e giustizia sociale.
Louisiana from Sweet Home Alabama
Father had a heavy hand
And momma never put that bottle down
She went driving full time dive bar diving
Likes a tall drink, a six five in
Every preacher says that she’s hell-bound– Reyna Roberts, Louisiana, 2023
Proud to be a Black man
Livin’ in the land of the brave and the free
Yeah, I’m all-American
And that American dream ain’t cheap
We’ve come a long way
Still got a long way to go
When you’re livin’ as a Black man
It’s a different kinda ‘merican dream– Willie Jones, American Dream, 2021
Suggestive sono inoltre le inversioni di rotta, dall’hip hop al country, di gente come Jelly Roll e Post Malone.
La breve parentesi è per giungere alla conclusione che quella di Beyoncé non può essere considerata un’intrusione, semmai la sfarzosa esibizione di un rinnovamento che sollecita qua e là sterili istinti reazionari. Tutto è provocatorio e intriso di significati politici in Cowboy Carter, già dalla cover che in questi giorni è stata oggetto di riflessioni e speculazioni. Due artiste in grado di smuovere le masse come Beyoncé e (tra poco) Taylor Swift pubblicano nuovi album in un anno elettorale così importante: è il tipo di stimolo che la politica adora.
Con ogni probabilità nulla di questo eserciterà una reale influenza sulle scelte di voto – diverse ricerche tendono a escluderlo e poi va detto che dal 2016 l’esposizione di Queen Bey è leggermente ridotta –, ma si colloca su un’altra dimensione la capacità di alimentare la partecipazione e il mormorio sui singoli temi. E anche stavolta Beyoncé non ha voluto bucare l’appuntamento.
We gotta keep the faith
Ah, vote– Beyoncé, YA YA, 2024
Altre cose interessanti
Intanto Beyoncé ha appena iniziato a collezionare premi nel 2024. E arrivano anche “endorsement” di spessore.
Per chi segue certe dinamiche dell’hip hop: J. Cole ha risposto a Kendrick Lamar in un progetto (mixtape? ep? album? boh) uscito a sorpresa oggi, venerdì 5 aprile.
AGGIORNAMENTO: J. Cole ha chiesto scusa per il diss, innescando diverse reazioni.A proposito di sorprese, Pharrell Williams – del quale si parla per milioni di faccende, compresa una disputa legale con il socio Chad Hugo sul nome The Neptunes – ha pubblicato una raccolta di brani in free download, riportandoci indietro di qualche anno.
È disponibile sulle piattaforme una traccia del 2004 di Prince, United States of Division, pezzo a carattere politico come risulta chiaro già dal titolo.
Dopo un 2023 ricco di riconoscimenti, le cose si sono messe male per Diddy a causa di una serie di pesanti accuse contro di lui (la prima a denunciarlo, a novembre dello scorso anno, è stata l’ex compagna Cassie). Suppongo che Charlamagne Tha God abbia ragione, in fondo.
Il crollo del Francis Scott Key Bridge di Baltimora ha riacceso i riflettori sul tema delle infrastrutture statunitensi, su cui l’amministrazione Biden ha investito tantissimo. Ne avevamo scritto qui.
La playlist della newsletter è bella lunga questa settimana, una panoramica estesa della scena Black country, compresi alcuni artisti che non abbiamo menzionato: non resta che premere il tasto play!
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Ci leggiamo tra due settimane, a presto!
È doveroso ricordare che Jason Aldean ha respinto le accuse di voler istigare violenza o pensieri razzisti. Ha inoltre spiegato di non essere a conoscenza delle vicende di inizio ‘900 a Columbia. Qui la storia per intero.
Leggerti è sempre un piacere.
Seriamente, questa volta la chiamo MOOKIIE. Per me la più bella recensione di Cowboy Carter è qui dentro. Grazie.