C’è questa storia di Young Thug che è complicata da spiegare. Anche se presto o tardi arriverà una verità giudiziaria, ci limiteremo – tranne che per un minimo di cronaca – a riflettere sulla portata di un fenomeno non nuovo negli Stati Uniti, ma che, specie negli ultimi tempi, ha creato malumori e stimolato un esteso movimento di opinione: i testi rap usati come prove in tribunale. Young Thug (Jeffery Lamar Williams), 31enne rapper e produttore di Atlanta, tra i più quotati della sua generazione, è stato arrestato a maggio dello scorso anno insieme ad altri componenti della Young Stoner Life Records – l’etichetta che fondò nel 2016 – e ora si trova alla sbarra per rispondere dei reati che gli vengono imputati nell’ambito del RICO Act. E sì, ovviamente: in questa vicenda c’entrano anche le sue canzoni e quelle dei compari alla YSL.
I fatti che raccontiamo sono in realtà un pretesto per analizzare un tema ricorrente, almeno da quando esiste un certo tipo di rap. È una prospettiva che rende necessaria la distinzione tra musica rap e cultura hip hop, per quanto le due definizioni si mescolino di continuo. Ancora prima che l’hip hop nella sua complessità intellettuale, è il rap, infatti, ad essere stato di tanto in tanto demonizzato a causa di testi ritenuti violenti, dai toni minacciosi o troppo frivoli e dunque presi di mira: una volta dalle forze di polizia, un’altra dai politici locali o persino da quelli che siedono al Congresso. Con la nascita dei sottogeneri musicali che ruotano attorno all’universo hip hop, la porzione di America più incline al pregiudizio ha cominciato a prendere per buona qualsiasi cosa il rapper di turno dicesse, instaurando una sorta di tribunale morale, a sua volta orientato a “condannare” non solo l’artista, ma intere comunità. Il guaio, semmai, è quando la stessa circostanza si verifica in un’aula vera e propria, di fronte a una giuria.
Eccoci di nuovo, dopo oltre un mese di stop. Grazie di essere all’ascolto e un grande benvenuto alle nuove e ai nuovi iscritti. Mookie è una newsletter a cura di Fabio Germani, cioè me medesimo, che ha la stramba pretesa di parlare di America attraverso il rap e la musica nera. Gli impegni sono tanti, alcuni se ne sono aggiunti, ma c’è la volontà di riprendere il cammino di una puntata ogni due venerdì. Se qualcosa dovesse andare storto, chiedo scusa in anticipo. Nel frattempo potete sostenere questo umile lavoro con un like, le condivisioni e il passaparola. Più siamo, meglio è, no?
Circa un anno fa, Rolling Stone riferiva del sostegno pubblico di artisti del calibro di JAY-Z, Meek Mill, Big Sean, Fat Joe, Kelly Rowland, Yo Gotti, Killer Mike e Robin Thicke ad un disegno di legge presentato nel 2021 da due senatori dello Stato di New York, Brad Hoylman e Jamaal Bailey, denominato Rap Music on Trial. Obiettivo dell’iniziativa era esortare i legislatori ad approvare la legge, in seguito passata al Senato, ma non all’Assemblea dello Stato (la camera bassa). I promotori della legge, Hoylman e Bailey, ritengono opportuno contenere gli atteggiamenti discriminatori nei processi penali per garantire la protezione della libertà di parola, così da evitare che contro un rapper, ad esempio, possa essere usato un testo in modo pretestuoso – qui sta il perno della discussione – come prova del reato in un’aula di tribunale. Il presupposto è che «l’arte è espressione creativa, non un progetto di piani criminali». Non è insolito che negli Stati Uniti i pubblici ministeri ricorrano ai testi rap – equiparati a confessioni – per provare la colpevolezza dell’imputato. I professori Erik Nielson (University of Richmond) e Andrea L. Dennis (University of Georgia School of Law), autori del libro Rap on Trial. Race, Lyrics, and Guilt in America, hanno registrato almeno 500 casi tra il 2009 e il 2019.
A fare scuola in questi anni è stata la vicenda di Drakeo The Ruler, rapper californiano morto a dicembre 2021 dopo essere stato accoltellato nel backstage del festival Once Upon a Time di Los Angeles. Drakeo ha affrontato un lungo percorso giudiziario, passando gran parte del tempo in prigione. Raggiunto il patteggiamento è quindi uscito a novembre 2020, ma il caso fu tortuoso ed emblematico e comprendeva una serie di reati contestati, tra cui omicidio (da questo alla fine venne assolto) e l’appartenenza ad un gruppo rap che in realtà – secondo l’accusa – era una gang criminale, posizione assunta (anche) sulla base delle canzoni. Proprio nel 2020 la California ha adottato una legge – Racial Justice Act – che mira a prevenire la discriminazione razziale nei processi penali, riducendo l’uso strumentale dei testi.
Quanto sta avvenendo in Georgia in questi giorni ricorda per larghi tratti la parabola giudiziaria di Drakeo The Ruler in California. Per ragioni di spazio non ripercorreremo ogni vicissitudine relativa a Young Thug e alla YSL. Basti sapere che i procuratori della contea di Fulton reputano YSL una gang di strada – ancor prima che un’etichetta discografica o un collettivo di rapper –, per giunta affiliata su base nazionale ai Bloods. I capi d’accusa sono diversi e vanno dalla rapina a mano armata allo spaccio, fino all’omicidio. All’inizio sono stati arrestati in 28, tutti aderenti alla YSL, poi qualcuno è sceso a compromessi e ha patteggiato – tra i quali Gunna, altro personaggio di spicco della scena di Atlanta –, perciò adesso il numero degli imputati è diminuito a 14. Tutto questo avviene nel perimetro del RICO Act.
Il RICO Act – Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act – è una legge federale firmata dal presidente Richard Nixon nel 1970, dapprima pensata per contrastare la mafia, ma in un successivo momento allargata alle organizzazioni criminali in generale. Nello specifico di Young Thug, dopo l’arresto di maggio, sono state presentate accuse per partecipazione ad attività di gang, possesso di droga destinata alla vendita e possesso di armi. Si ritiene che il processo a suo carico durerà alcuni mesi, circa metà anno, e vedrà sfilare tra i testimoni nomi eccellenti dell’hip hop non solo locale.
Young Thug, dicevamo, è un artista tra i più quotati della sua generazione, uno di quelli che ha contribuito ad elevare la musica trap. È inoltre conosciuto per la sua visione eccentrica della moda, lontana dagli stereotipi machisti dell’ambiente – una tendenza oggi più frequente, ma non ancora così capillare –, che in campo musicale si è talvolta tradotta in collaborazioni che esulano dall’hip hop più tradizionale, tipo I Know There’s Gonna Be (Good Times) con Jamie xx. Soprattutto, Young Thug è co-autore di This Is America di Childish Gambino, acclamato brano del 2018, il primo in ambito hip hop a vincere un Grammy Award nella categoria «canzone dell’anno».
Per Young Thug, però, la musica è diventata un boomerang. Sotto la lente d’ingrandimento dell’accusa ci sono tracce come Take It To Trial.
For slimes, you know I’ll kill (Yeah, yeah)
Bye-bye, goodnight, my dear
Trial, I done beat it twice (Trial), state, I’m undefeated like
Feds came and snatched me, I don’t know, no point in askin’
I was on Bleveland stuck like a magnet
Bitch-ass nigga, I’ll shoot at your mammy
Need to sit down if you can't stand me
I don’t turn down, I up my stamina
Take it to trial, get an appeal
Take it to trial, yeah, you can whack ‘em
No back and forth, we don't tongue wrestle
Pay for that casket, that’s just if we whack ‘em– Young Thug & Gunna feat. Yak Gotti, Take It To Trial, 2020
Il deputato democratico della Georgia, Hank Johnson, ha presentato lo scorso anno la proposta di legge Restoring Artistic Protections Act, che limiterebbe l’uso dei testi come prova ammissibile in una corte federale. Anche Stacey Abrams ha espresso preoccupazioni riguardo la pratica. Eppure, in una conferenza stampa di fine agosto 2022, la procuratrice distrettuale della contea di Fulton, Fani Willis, famosa per avercela innanzitutto con Donald Trump, si è “premurata” di dare ai membri delle gang il «consiglio legale» di non confessare i crimini nelle canzoni se non vogliono che poi vengano usate contro di loro (e se non ne possono fare a meno, allora di cambiare contea). Ricorda il New York Times che Willis, democratica entrata in carica nel 2021, da subito ha usato il pugno di ferro per arginare il crimine ad Atlanta, città che, oltre ad essere considerata la nuova capitale dell’hip hop, è una di quelle che ha visto crescere di più i reati durante la pandemia. Tuttavia il lavoro della procuratrice viene tanto celebrato dai liberal, almeno nelle questioni che riguardano Trump, quanto criticato per l’abituale analisi dei testi rap allo scopo di avvalorare le tesi accusatorie. Prima di Young Thug e della YSL il suo ufficio si era occupato della rivale YFN e in particolare di YFN Lucci. Willis – è ancora il New York Times a scriverlo – è convinta che la quasi totalità dei crimini violenti commessi nell’area di sua competenza avvenga per mano delle gang e che la “guerra tra le due bande di rapper” abbia causato in otto anni più di 50 incidenti gravi.
Arrivati fin qui, è doveroso sottolineare che il punto focale della puntata di Mookie non è stabilire l’innocenza o la colpevolezza di Young Thug e degli altri imputati – il compito non spetta a noi e comunque si è innocenti fino a prova contraria –, ma capire se ricorrere ai testi rap per incriminare qualcuno o attestarne una responsabilità di qualche tipo sia una condotta sempre corretta e utile. Sebbene i recenti omicidi di giovani artisti hip hop possano farci credere il contrario, bisogna riconoscere che il rap viene preso troppo sul serio. A ben vedere non da oggi, ma dai primi tentativi di roba gangsta già tanti anni fa, per non parlare di tutti i fuck the police che l’hip hop di protesta ha prodotto (facendola incazzare per davvero, la polizia) o delle fantasie perverse di rapper di successo come Eminem. Trascurando un aspetto rilevante in tutta questa faccenda: che il rap è la descrizione verosimile di uno spaccato di società e dei suoi problemi, un espediente narrativo portato all’estremo o inventato di sana pianta. Studi e ricerche evidenziano una maggiore propensione del pubblico a manifestare sentimenti negativi se il testo aggressivo di una canzone è di genere rap. Il timore di molti, dunque, è che pregiudizi quasi innati possano condizionare di partenza le valutazioni di una giuria.
La professoressa Abenaa Owusu-Bempah della London School of Economics ha passato in rassegna in un paper del 2022 – Prosecuting Rap: What Does the Case Law Tell Us? – casi giudiziari in Inghilterra e nel Galles in un periodo compreso tra marzo 2005 e gennaio 2021. Scrive Owusu-Bempah che l’evidenza aneddotica suggerisce che alcuni giudici siano ora più ricettivi nei confronti delle argomentazioni contro l’ammissione di testi rap, soprattutto quando la difesa è assistita da un esperto in materia. Perciò al riguardo, dice la professoressa, deve essere sviluppato un approccio più rigoroso ed è importante che i pubblici ministeri tengano conto delle spesso irrilevanti prove di natura artistica e delle implicazioni del loro eventuale utilizzo in un tribunale rispetto alle informazioni più idonee al caso.
Intervistato da XXL, Pusha T risponde «mai» a chi gli chiede quando smetterà di rappare storie di coca, perché è un argomento che conosce e lui vuole essere grande in ciò che sa di essere grande in qualità di narratore. Forse ha ragione la professoressa Imani Perry, nel suo libro del 2004, Prophets of the Hood: «Finché i giovani artisti neri continueranno a contestare i confini e le definizioni stabilite dalla razza e dalla classe, anche in modi politicamente scorretti, l’hip hop non raggiungerà mai la completa accettazione nella società americana».
Altre cose interessanti
Per capire la complessità del processo a Young Thug: ci sono stati rallentamenti nella selezione della giuria per ragioni incredibili. Nel frattempo sembra che Gunna stia “scontando” il suo accordo di patteggiamento.
Proseguono le guerre culturali di Ron DeSantis. Il governatore della Florida, infatti, sta facendo di nuovo parlare di sé in queste settimane per via della decisione di bloccare nelle scuole superiori dello Stato un corso di studi afroamericani che, a suo dire, «manca significativamente di valore educativo» (qui ulteriori aggiornamenti e approfondimenti).
Ah, in tutto ciò febbraio è il Black History Month.
America has a problem. La notte tra venerdì 27 e sabato 28 gennaio è stato pubblicato il video del brutale pestaggio avvenuto a Memphis all’inizio del mese ai danni di Tyre Nichols da parte di cinque poliziotti. Il fatto che gli ex agenti coinvolti – tutti incriminati e sollevati dal loro incarico – siano neri come la vittima, conferma l’esistenza di una sub-cultura istituzionalizzata all’interno delle polizie statunitensi, che agisce al di là del razzismo più tangibile. La vicenda ha sconvolto la comunità nera – così come quella hip hop, piuttosto attiva in quelle ore – e provocato una serie di proteste sparse alla stessa maniera di altre volte viste in passato, con protagonisti poliziotti bianchi. Intanto un’altra brutta vicenda, in California.
Da quando JAY-Z e Yo Gotti hanno intentato due cause nel 2020 contro la prigione di Parchman Farm, Mississippi, la situazione nel penitenziario è migliorata.
A Chuck D si vuole bene perché è convinto ancora oggi che l’hip hop sia un movimento in grado di cambiare il mondo. Magari ha ragione lui, sicuro è stato qualcosa di rivoluzionario che il fondatore dei Public Enemy narra in un documentario in quattro parti cominciato ad andare in onda su PBS e BBC in questi giorni: Fight the Power: How Hip Hop Changed The World. Nella serie si esamina da un punto di vista storiografico il legame che c’è tra l’hip hop e la politica degli Stati Uniti: lo stile che piace a Mookie. Piccola nota a margine: nel 2023 l’hip hop compie 50 anni.
Beyoncé ha annunciato il RENAISSANCE WORLD TOUR 2023, ma in programma non ci sono date italiane. Domenica notte (in Italia) si terrà la 65esima edizione dei Grammy Awards e Queen Bey può battere tutti i record. In più, nel corso della serata, è prevista una performance curata da Questlove per celebrare i 50 anni, appunto, dell’hip hop.
The Chronic, capolavoro di Dr. Dre del 1992 ai tempi della Death Row Records, è tornato sulle piattaforme streaming.
Consigli di lettura, a proposito di stile. Mi piace un sacco il sito Ele Storie Americane. Elena racconta storie documentate e ricche di particolari, spesso anche su Instagram.
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Ci leggiamo tra due venerdì, a presto!