Diversi anni fa Oprah Winfrey e JAY-Z si confrontarono sull’uso reiterato della N word nella musica hip hop. In tutta evidenza, i due non erano d’accordo: Winfrey non lo riteneva un espediente necessario, semmai deleterio; JAY-Z valutava il ribaltamento del suo contenuto semantico in termini generazionali. È comunque vero che le parole mettono in risalto le sensibilità proprie, o collettive, a seconda delle situazioni e del perimetro entro cui vengono pronunciate. È probabile, insomma, che Winfrey e JAY-Z – i quali più avanti torneranno sull’argomento – troverebbero una maggiore aderenza alle ragioni altrui se il contesto di riferimento concedesse loro una possibilità non contemplata in precedenza. «Se eliminassimo la N word, altre prenderebbero il suo posto», osservò JAY-Z in occasione dell’intervista con Oprah Winfrey.
Quali sarebbero invece le conseguenze se parole o interi concetti venissero eliminati in modo affrettato e dimostrativo, quasi a marcare il territorio? È una domanda cui potremo provare a rispondere anche a breve: questione di settimane, massimo mesi. Intanto possiamo annotare l’impronta stilistica della nuova amministrazione Trump, che si manifesta – anche più della prima – con un linguaggio triviale e spesso grossolano.
Stiamo vivendo una fase storica che non è più solo una questione di verità alternative – a cui avevamo fatto persino l’abitudine –, bensì di persuasioni spericolate, confronti azzerati e dibattiti sprezzanti. Ancora di recente, il presidente degli Stati Uniti ha dato sfoggio di toni tutt’altro che concilianti, contro i media giudicati distanti, sulle vicende domestiche come in politica estera, eccetera. Che si stava sull’ottovolante più dell’altra volta lo avevamo capito subito, però.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera. Per contribuire al progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola, un caffè. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!

Prima di cominciare, una piccola avvertenza: in questa puntata i brani selezionati potrebbero non avere una correlazione diretta, ma riflettere in misure più o meno lievi i caratteri generali della discussione.
Donald Trump ha un’attitudine da rapper nella comunicazione. Non nella direzione tipicamente culturale (stavolta eviteremo di tirare in ballo la fascinazione, antica o di ritorno, di alcuni artisti hip hop nei suoi confronti), ma quando dà fiato alle idee, senza freni inibitori, si scorgono degli elementi già noti agli appassionati di rap: l’autocelebrazione e la costruzione del sé in quanto “uomo di successo” che si è realizzato sgomitando come un hustler; le iperboli; la connessione con l’audience da cui deriva un sentimento di identificazione profondo; il frequente ricorso al dissing come strategia politica (e quando tocca a Biden e quando tocca a Obama, poi arriva il turno dei Clinton, di Kamala Harris e così via); la retorica semplice e accessibile, contornata di slogan brevi e ammiccanti; la ricerca febbrile della provocazione (se non dell’offesa), che, sebbene divisiva su larga scala, è in grado di cementare la sua base elettorale e consolidare lo status acquisito. Poi, ovvio: se le abilità oratorie presentano un usuale tratto distintivo, le finalità sono agli antipodi, o almeno lo sono nella maggior parte dei casi. Fatto sta, tuttavia, che Trump si muove come fosse un veterano del rap.
Why they gotta open your package and read your mail?
Why they stop lettin’ n***** get degrees in jail?
Why you gotta do 85% of they rhymes?
And why do n***** lie in 85% of they rhymes?
Why a n**** always want what he can’t have?– Jadakiss, Why, 2004
I Have The Best Words
Delle tecniche persuasive di Trump si è discusso a inizio febbraio durante una masterclass di Elena Refraschini di ingleseamericano.it, dal titolo I Have the Best Words. Refraschini, esperta di lingua americana, individua quattro pilastri nella narrazione dell’attuale inquilino della Casa Bianca: 1) l’idea di una nazione in crisi, per cui gli Stati Uniti, in una visione distopica, sarebbero costantemente sull’orlo del disastro; 2) la presenza di una minaccia che cambia di volta in volta, dalle élite di Washington al Partito democratico, fino alla cosiddetta ideologia woke; 3) la figura del salvatore, mostrandosi come l’unico in grado di risolvere i problemi delle persone; 4) la rappresentazione dell’autentico cittadino americano, che contribuisce a consolidare uno spirito d’unione tra i sostenitori. Sono elementi che abbiamo potuto inoltre constatare nel discorso tenuto al Congresso, pochi giorni fa.
Per raggiungere tali obiettivi, osserva Refraschini, Trump sfrutta l’era della post-verità, dove le decisioni si basano su ciò che “conviene” sia vero anziché su dati di realtà. Ma soprattutto utilizza un meccanismo, per nulla inedito e già caro a Richard Nixon negli anni ‘60, chiamato dog whistling, per cui determinate espressioni – che possono arrivare ad assumere le sembianze di messaggi in codice –, o gli appelli al senso comune, producono un diverso grado di attrazione sul pubblico, dipendente dalla collocazione dei segmenti, da quello più “estremista” a quello più “moderato”, riuscendo in ogni caso a raggiungere l’intera platea. Perciò il sottoinsieme più contiguo al contenuto sarà anche quello più ricettivo al messaggio e magari orientato all’azione; l’altro tenderà la mano e lo considererà forse sfacciato, sopra le righe, ma niente di cui preoccuparsi.
Anche qui, pur ribadendo le nette discordanze di interessi, strutture simili, incanalate in uno specifico tessuto narrativo, sono riscontrabili in molti testi rap.
I profess and I don’t jest
‘Cause the words I manifest
They will take you, sedate you
And I will stress upon you the need for
You are to feed your minds and souls
So you can lead yourself to peace– Gang Starr, Manifest, 1989
Put words together, make you stacking it, tackle it
I’m well endowed, and my flows quite accurate– Afu-Ra, God Of Rap, 2005
Secondo uno studio dell’UCLA, diffuso durante l’ultima campagna elettorale, il linguaggio di Trump è risultato nel 2024 più aggressivo rispetto a quello utilizzato nel 2016. Nel report si parla di negative populism e chi ha condotto l’indagine afferma che il «linguaggio violento» non è sullo stesso piano di un’incitazione alla violenza, ma implica l’uso di parole con una «connotazione violenta» e argomenti che potremmo definire polarizzanti (di nuovo: più del 2016).
God has sent me to make you all feel the wrath and cometh
I’m here to heat up and beat the street up, I’m back to punish
While Trump is present with a mouth screamin’ louder than trumpets
While you bow to the puppets
I’ma stand and stick around for the judgment
Use the world stage with a God crown to put it down for the public
The Earth’s in pain with a large pound of demonic indulgence– Busta Rhymes, E.L.E. 2 The Wrath Of God, 2020
Il quadro si incastra alla perfezione con la spasmodica richiesta di free speech, che negli ultimi tempi ha raggiunto vette inaudite di faziosa esasperazione – il vicepresidente J.D. Vance e Elon Musk lo hanno reclamato pure in Europa, mentre in casa le autorità statunitensi provano a esercitare una qualche forma di controllo mediatico –, confondendo libertà di espressione e livelli di linguaggio al limite dell’unidirezionalità (è un segnale politico anche la decisione di dichiarare l’inglese lingua ufficiale degli Stati Uniti, spiega Elena Refraschini). Il dibattito è da sempre un campo minato, oggi a maggior ragione, ma l’hip hop in particolare è l’esempio di come il free speech sia, nei fatti, uno strumento partigiano: i testi delle canzoni rap sono passati addirittura al vaglio del Congresso, vengono usati in tribunale come prove indiziarie o messi al bando nei luoghi dove un certo tipo di conservatorismo è più battagliero.
If I tweet, then delete, then I meant it
I don’t really need a check, ‘cause I got no respect
And these n***** might know me like a dentist
Said he all about these beats
So he hear some s*** and then get offended
This ain’t what you want
No, this ain’t what you want– JPEGMAFIA & Danny Brown, Lean Beef Patty, 2023
Nel 2016, a ridosso del voto, Trump biasimò il «pessimo linguaggio» di JAY-Z e Beyoncé, i quali erano apparsi al fianco di Hillary Clinton. Sappiamo invece come è andata in seguito, con lui che negli anni ha corteggiato a proprio vantaggio quel pezzo di movimento che lo idolatra. Ad ogni modo condannare le sgrammaticature dell’hip hop – una pratica tanto estesa quanto remota – è la messa in opera di una barriera appunto culturale, soprattutto se il desiderio sottaciuto è quello di enfatizzare le differenze: un “noi” contro “loro” all’ennesima potenza, intriso di stereotipi e divergenze su questioni fondamentali quali razza e identità. Questo non vuol dire non riconoscere le lacune del rap, se troppo incline al machismo spinto o all’omofobia, ma il rischio che tutto si trasformi in un profluvio di ipocrisia è enorme. Mettiamola così, per banale che possa apparire: quando Trump (o un campione qualsiasi della galassia MAGA) parla in maniera provocatoria, irride gli avversari o i leader internazionali che non gli sono graditi, i suoi sostenitori lo vedono come un eroe anti-sistema. Quando un rapper fa altrettanto, criticando duramente la polizia o il governo, viene etichettato all’istante come un «sovversivo», un «nemico pubblico». Chiamiamole contraddizioni del free speech, se vogliamo, ma potrebbero benissimo essere espedienti – pilotati con astuzia – per generare consenso o alimentare divisioni all’occorrenza1. Quel che resta, alla fine, è soltanto rumore di sottofondo. E caos.
We’ve got white-collar people trying to cramp our style
Saying we’re too nasty and we’re too live
Corrupted politicians playing games
Bringing us down to boost their fame[...]
With the help from fans and all our friends
Freedom of speech will never die– 2 Live Crew, Banned In The U.S.A., 1990
🔎 Altre cose interessanti
In pochi giorni abbiamo dovuto dire addio a Roberta Flack, Angie Stone e Roy Ayers.
È morta anche Voletta Wallace, la madre di The Notorious B.I.G.: una vita passata a mantenere l’eredità culturale del figlio. Nel frattempo sembra che Primary Wave stia per acquisire una quota significativa del catalogo musicale di Biggie, oltre che i diritti su nome e immagine. L’accordo potrebbe valere tra i 100 e i 150 milioni di dollari.
Vicende che non stupiscono, di questi tempi.
LL Cool J ha pubblicato il video ufficiale di Rock The Bells, 40 anni dopo.
🖋️ Cose scritte altrove
Nel mio esordio su Humans vs Robots racconto di rapper e vicende giudiziarie, partendo dal caso di A$AP Rocky (di recente assolto dalle accuse per aggressione da una giuria di Los Angeles).
Grazie, al solito, di aver letto fino in fondo. Grazie anche ai nuovi arrivati e alle nuove arrivate, è un piacere sapervi a bordo. Ringrazio soprattutto Elena Refraschini di ingleseamericano.it per la masterclass, preziosissima, di febbraio. Si tratta di un argomento delicato, potremmo anche tornarci in futuro, al prossimo inciampo dialettico o prima. La playlist della newsletter è pronta: non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, scrivermi su Instagram, su Threads o su Notes. Se Mookie vi piace, mandate il link ad amici e parenti!
Ci leggiamo il prossimo mese, state bene!
Quanto alle divisioni, nonostante la retorica di chi ha descritto la vittoria elettorale con toni trionfalistici, si rileva che l’indice di gradimento nei confronti di Trump, seppure in miglioramento dal precedente mandato, si colloca 15 punti al di sotto della media storica degli altri presidenti a poche settimane dal primo insediamento. Le divisioni emergono anche sulle singole questioni, dall’economia alla gestione dei flussi migratori.
Pezzo molto bello e utile!
Qual è il significato del termine "hustler"? Grazie
Bel pezzo Fabio!