Se non fosse per i riferimenti personali in apertura e per la storia che c’è dietro, Age Ain’t Nothing but a Number di Aaliyah sarebbe il brano perfetto per la campagna di Joe Biden (Age ain’t nothin’ but a number / Throwin’ down ain’t nothin’ but a thing / This lovin’ I have for you, it’ll never change). Naturalmente quello di Aaliyah, all’inizio degli anni ‘90, era il punto di vista di un’adolescente che – destino infame permettendo – sentiva di avere dalla sua una vita intera davanti; al contrario, la prospettiva di Biden è piuttosto ristretta al mandato presidenziale, per cui sta chiedendo agli elettori di non badare ai suoi (quasi) 82 anni quando si voterà a novembre, ma di giudicarlo per l’operato.
Dietro Age Ain’t Nothing but a Number c’è quella storia così piena di ombre, dunque la comparazione è quantomeno azzardata e l’unico aspetto che lega le due vicende – davvero: non ce ne sarebbero altri neppure a cercarli con il lanternino – è un aspetto che poco o tanto condiziona talvolta in modo spietato le diverse fasi della vita: l’età.
Che l’età sia solo un numero è una cosa che si dice spesso: a qualificarci è ciò che sentiamo di poter dare, non la convenzione del tempo che passa. Sebbene sia vero, qualche volta si tratta di una formula auto-indulgente, la negazione dei limiti, una soluzione che ci facciamo andare bene perché in fondo conviene. Biden, apparso energico come non si vedeva da molto in occasione del discorso sullo stato dell’Unione, ha le proprie ragioni per credere che l’età sia nient’altro che un numero. Fatto sta, però, che da mesi non c’è discussione che sfugga al tema della sua età avanzata. E dei dubbi – leciti – persino tra coloro che lo voterebbero a prescindere se l’alternativa è Trump, ma che nutrono timori per un secondo mandato “fragile”, sempre che nel frattempo non sopraggiungano impedimenti di altro tipo. Tutto gira intorno all’età, per quanto ci sforziamo di rifiutare l’idea. Vale anche nella musica, in particolare quando ritenuta – a proposito di convenzioni – “musica per ragazzini”.
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Secondo il sondaggio New York Times/Siena College di febbraio, il 54% dei 18-29enni dichiara il voto per Biden, il 41% per Donald Trump1. Un dato incoraggiante per l’inquilino della Casa Bianca, visto che a dicembre 2023 la situazione era invertita, con Trump che godeva di maggiori consensi nella medesima fascia di età (segnando una controtendenza rispetto al 2020). A pesare, tra le altre cose, sono state le proteste nelle università contro la guerra a Gaza, un campanello d’allarme per il ticket Biden-Harris, che alla fine è comunque riuscito a ottenere il sostegno di 15 organizzazioni giovanili.
La musica può influenzare le scelte di voto? Alcuni studi in materia sostengono di no, o non più di tanto, ma se non influenza in maniera diretta le scelte di voto, di sicuro la musica può dire molto del background culturale degli ascoltatori. Sappiamo che l’hip hop resta tra i generi preferiti del pubblico giovane, che addirittura lo reputa il più rappresentativo dell’America oggi. È facile presumere che la platea sia tanto più ampia di quella degli anni ‘80-’90, perché da un lato ha assorbito le ultime resistenze degli adulti – compresi gli stessi adulti neri –, mentre dall’altro si osserva una migliore capacità di comprensione dei contenuti da parte dei fan bianchi, alla luce dell’inevitabile confronto che da tempo avvolge gli Stati Uniti, pur con tutte le difficoltà del caso e i divari razziali (è pazzesco come tutto questo si scontri con l’immagine, altrettanto veritiera, di un paese in disaccordo su un numero incredibile di questioni).
I might vote for Donald Trump, just to say I did it
I might blindly fall into a group of friends full of bigots
(Real trap shit)– JPEGMAFIA & Freaky, I Might Vote 4 Donald Trump, 2016
Altra cosa che sappiamo è che in generale gli americani, soprattutto i giovani americani, farebbero volentieri a meno del rematch tra Biden e Trump, ma questo non significa in automatico che i “terzi” candidati – anche quelli potenzialmente attrattivi per le masse della Gen Z – avranno concrete possibilità di vittoria, anzi.
Infine sappiamo – perché lo abbiamo già visto – che più del genere musicale contano le star. Perciò Taylor Swift può scatenare un putiferio semplicemente esortando i suoi follower su Instagram a registrarsi alle liste elettorali, e così Beyoncé in situazioni analoghe. Ciò non toglie che per sua natura l’hip hop si sia reso protagonista nel recente passato di iniziative interessanti, come la campagna Vote Or Die di Diddy nel 2004, poi rilanciata nel 2020, o come la spontanea colonna sonora che accompagnò la trionfale corsa di Barack Obama nel 2008.
Tuttavia, a complicare il quadro, è l’ambiguità di pensiero che anche l’hip hop sta evidenziando in questo strambo periodo storico. La percezione di un “falso” cambiamento (di solito sono impressioni che derivano dalle disparità che alcune aree geografiche registrano più di altre) ha contribuito ad alimentare le convinzioni di quegli artisti disposti a manifestare vicinanza politica a Trump, mentre altri che mai voterebbero per l’ex presidente, faticano a dichiararsi dalla parte di Biden. Nonostante siano gruppi piccoli – per capirci: non è che all’improvviso il movimento hip hop sia diventato del tutto affine a quello MAGA –, il nesso età-razza-comportamenti di voto appare al momento meno prevedibile di quanto non fosse soltanto pochi anni fa.
We run away from one slave master into the arms of the next one
And every 2 to 4 years they pump fear
And we auction off our vote in exchange for some false hope, listen
It’s that blatant, enslave us through taxation
Send money to Ukraine, and you payin’ at the gas station
‘Cause this administration had plans for the inflation– Locksmith, America, 2024
C’è un’età oltre la quale fare rap è sconsigliato, anche se rapper lo si è stati per larghissimi tratti della propria esistenza? È un quesito che si incastra nell’evoluzione generazionale dell’hip hop in qualcosa di più ibrido, da Tyler, The Creator a Tierra Whack. Ma se non c’è un’età oltre la quale è sconveniente fare il presidente degli Stati Uniti – o meglio: consideriamolo un tabù superato –, a maggior ragione non dovrebbero sussistere requisiti anagrafici per fare rap. Eppure André 3000 se ne è uscito a novembre dello scorso anno con questo progetto a metà strada tra new age e jazz in cui suona il flauto, e nel presentarlo a GQ ha messo in discussione il ruolo di formidabile autore e interprete rap – il ricordo della grandezza che fu negli OutKast –, argomentando la mancanza di stimoli in un’autentica direzione hip hop. A 48 anni, dice, l’età non dovrebbe determinare ciò di cui rappi, ma in un certo senso lo fa, invece. Il ragionamento è che la vita di adesso lo metterebbe in condizione di dover raccontare cose tipo che deve fare una colonscopia o che la sua vista sta peggiorando (parole sue, eh, non mie). Può sembrare una posizione estrema, ma il rap game, come la politica e lo sport, è anche competizione e se non hai più il fiato meglio lasciar perdere2. Non è strano che Eminem e Machine Gun Kelly nel 2018, quando ebbero il loro screzio, abbiano tirato in ballo più volte l’età, con il secondo che rimproverava al primo di essere ormai “vecchio” (inutile sottolineare che in questo caso il fattore età non giocò a favore dell’accusatore).
All’uscita di It’s Almost Dry, qualcuno si è risentito per l’ennesimo album di Pusha T incentrato sulla cocaina e sulle scorribande di quartiere. La tesi era che un rapper ultra-quarantenne dovrebbe finalmente elevare il suo messaggio anziché continuare a scrivere di droga. Nonostante questo, It’s Almost Dry è stato accreditato tra i migliori dischi hip hop del 2022, nonché nominato ai Grammy. La cultura di strada, secondo King Push, è la base dell’America e lui sa come descriverla, rinnovandosi di volta in volta3.
Quando nel 2017 pubblicò 4:44, JAY-Z era prossimo ai 48 anni, ma non stava suonando il flauto. L’album si presentava come un concentrato di riflessioni sulla società, sulla famiglia, sulla genitorialità, sul futuro, insomma quello che gli esperti chiamano adult contemporary hip hop. Di sicuro era il suo lavoro più consapevole. Prendendolo in giro, 50 Cent definì 4:44 «musica da campo da golf», aggiungendo che a 47 anni JAY-Z non poteva pretendere di essere il miglior rapper, perché i giovani vogliono divertirsi, non ascoltare roba sofisticata. Intervenne anche Chuck D al riguardo, stavolta a difesa di JAY-Z. Intervistato sull’argomento da Gayle King di CBS Mornings, nella solennità della mostra a lui dedicata a Brooklyn nel 2023, The Book Of Hov, JAY-Z ha ammesso l’intenzione di continuare a fare musica, a patto che sia una significativa forma d’arte.
André 3000, Pusha T e JAY-Z rappresentano approcci diversi alla propria occupazione rispetto all’età anagrafica, ma nessuno di loro spicca sugli altri per discernimento, tutti e tre sono modelli legittimi che esulano dall’eterno conflitto old school / new school frequente in vari settori. Non esiste allora una risposta univoca, anche se viene il sospetto che JAY-Z l’abbia data parecchio tempo fa.
So we live a life like a video (video)
Where the sun is always out and you never get old
And the champagne’s always cold and the music’s always good
And the pretty girls just happen to stop by in the hood
And they hop they pretty ass up on the hood of that pretty ass car
Without a wrinkle in today ‘cause there’s no tomorrow
Just a picture-perfect day that last a whole lifetime– JAY-Z, Young Forever, 2009
A pensarci bene potremmo avere appena suggerito una colonna sonora decisamente più adatta di Age Ain’t Nothing but a Number per la campagna del presidente Biden.
Altre cose interessanti
Il 29 marzo uscirà il nuovo, attesissimo album di Beyoncé, di cui ha svelato titolo e cover: Cowboy Carter. Su Instagram, Queen Bey ha spiegato di non essersi sentita la benvenuta nell’ambiente country in una precedente esperienza (non la esplicita, ma è facile ipotizzare quale), mentre ora è pronta a mettersi alla prova dopo avere studiato «il nostro ricco archivio musicale». Però ha voluto anche precisare che Cowboy Carter «non è un album country, ma un album di Beyoncé». La polemista ormai di professione, Azealia Banks, ha reagito così. Comprensibilmente entusiasti i Compton Cowboys. Non mancheremo di tornarci.
Anche Dr. Dre ha la sua stella sulla Hollywood Walk Of Fame. Festa grande con Eminem (del quale ha annunciato un disco in arrivo quest’anno), Snoop Dogg (altro album in arrivo), 50 Cent, Dj Quik, Xzibit e tanti altri. Com’era la faccenda dell’età per chi fa rap? Poi c’è stato l’imperdibile siparietto al Jimmy Kimmel Live.
Oggi l’internet è esploso per il diss di Kendrick Lamar rivolto a J. Cole e Drake in Like That, traccia contenuta in WE DON’T TRUST YOU, progetto collaborativo di Metro Boomin e Future. Qui il come, quando e perché.
Hulu ha in programma per il 22 aprile il documentario Hip-Hop and the White House, uno dei nostri temi preferiti ❤️
Il problema dell’età di Biden riguarda pure Trump, ma l’abito fa il monaco e qui il presidente in carica sembra partire svantaggiato. A causa delle preoccupazioni sulle abilità cognitive di Biden, per settimane si è fantasticato sulla possibilità di una candidatura dem che non fosse la sua. Niente di tutto questo si potrà verificare, salvo che non si entri in territori inesplorati. Da fantapolitica, dicono quelli.
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Ci leggiamo tra due settimane, a presto!
Di contro Biden perde terreno tra i 30-44enni e continua a inseguire tra le persone nella fascia di età compresa tra i 45 e i 64 anni. Va decisamente meglio tra gli over 65.
È però opportuno ricordare che le indiscrezioni su un possibile album rap di André 3000 si rincorrono di continuo, alcune sono fresche di poche settimane. Noi restiamo in attesa, hai visto mai che.
Il 2024 ci ha però portato una nuova versione di Pusha T, più lungimirante e più saggia.