C’è questa moda per cui ogni tanto qualcuno deve sostenere che l’hip hop è brutto e cattivo. D’accordo: oggi avviene con minore frequenza, ma quando succede lascia a maggior ragione l’amaro in bocca perché vuol dire non avere capito granché in mezzo secolo di storia. Diverso è quando chi dice questo lo fa per tornaconto. Senza andare troppo indietro negli anni, sono due i momenti di alto profilo che vengono in mente. Il primo risale al 2016, a poche settimane dalle elezioni presidenziali statunitensi. L’allora portavoce della campagna di Trump, Katrina Pierson, si arrampicò sugli specchi – erano i giorni delle polemiche innescate dal “ritrovamento” di una vecchia registrazione con molti bip di Donald Trump – per giustificare un linguaggio sboccato che ogni giorno viene reso accettabile dall’industria dell’intrattenimento e da culture come quella hip hop «che puoi ascoltare nelle stazioni radio locali». L’altro è più recente e riguarda Barack Obama in una lunga intervista a The Atlantic, pubblicata nel 2020 dopo la vittoria elettorale di Biden. In quell’occasione Obama accostò la crescente fascinazione per Trump, tra gli uomini neri e i rapper che lo hanno sostenuto in maniera più o meno convinta, alla cultura dei gioielli, delle donne e dei soldi espressa nella musica hip hop. E per carità, non è che sia del tutto inverosimile o fuori mira (il paradosso è che per alcuni proprio l’elezione di Obama avrebbe dovuto ispirare un messaggio positivo), ma è evidente quanto riflessioni di questo tipo, al di là di chi le pronuncia, siano frivole e spesso prive di contesto. Perché alla fine la spiegazione più semplice è anche la più azzeccata. «Io non sto correndo per la presidenza, e un presidente non è un rapper», osservò nel 2016 Big K.R.I.T., ospite a The Breakfast Club su Power 105.1.
In questo periodo di celebrazioni, l’impressione è che si stiano mettendo da parte gli aspetti più controversi. A prendere per buona la quasi totalità dei commenti, potrebbe sembrare che sin dal primo giorno l’hip hop abbia goduto di consensi unanimi. Naturalmente non è andata così. L’ostacolo più grande è stato (e continua ad essere) lo scontro culturale, morale e dialettico tra entità poco inclini alla comprensione reciproca. Mentre svolgevo le ricerche per il mio contributo sui 50 anni della cultura al programma di membership de LaMcMusa, mi sono imbattuto per caso in un’indagine del 2007 del Pew Research Center, a tratti sorprendente e contraddittoria, almeno con il senno di poi. Per quanto datato, il sondaggio spiega (bene) alcune dinamiche sociali valide allora come adesso. Ci arriviamo per gradi.
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Nel 2007 la maggioranza degli intervistati dal Pew Research Center, ripartita tra le varie componenti demografiche, giudicava negativamente l’influenza della musica hip hop (che dichiarava di ascoltare di rado, in particolare i bianchi). Tra i neri erano specialmente le donne a pensarla in questo modo e nel complesso il pubblico adulto più dei giovani (una platea di 18-34enni, cioè i principali fruitori). Il sondaggio rifletteva, in un periodo di larghissima diffusione per l’hip hop, il più classico dei conflitti generazionali, malcelate sacche di bigottismo e gli incidenti di percorso che, ovvio, non sono mancati: scarsa inclusione, soprattutto all’inizio; la mercificazione del corpo femminile; le morti eccellenti; le azioni spericolate. Anche l’esaltazione dell’esperienza criminale presente in molti testi rap ha avuto un ruolo, benché marginale e di solito non collocato nella dimensione di risposta individualista – una via di mezzo tra fiction e reportage di strada – all’impianto di regole inique ed elementi culturali dominanti che colpiscono le frazioni più emarginate. È soprattutto un quesito a rendere il sondaggio del 2007 ormai sorpassato: interpellati sui modelli positivi, i neri indicavano Bill Cosby (!) quale campione di moralità (appena sotto Oprah Winfrey), mentre una percentuale striminzita si esprimeva a favore di 50 Cent (anche Kanye West occupava una posizione bassa, tra Condoleezza Rice e il giudice della Corte Suprema, Clarence Thomas). Potremmo chiuderla qui, invece c’è parecchio in comune con l’attualità.
People always talkin’ ‘bout my reputation
I don’t love them, I don’t need them [...]They can’t do it how I do it, I’m number one, I knew it
I do, I do my thing and gangsters bop to it
It’s hit after hit, damn, I’m on a roll– 50 Cent, Come & Go, 2007
Il mondo è soprattutto degli adulti. La stiamo semplificando al massimo, ma questo è. Se consideriamo la classe di età 45-64 anni negli Stati Uniti, secondo un sondaggio del 2022 di CBS News in collaborazione con YouGov, la musica hip hop/rap potrebbe anche non esistere. Al contrario, è il genere preferito dai giovani di 18-29 anni. Di conseguenza, in termini assoluti, è il rock la musica più ascoltata (32%), mentre sono distanziati pop (15%), hip hop (14%), country (12%) e gospel (10%). Neanche a dirlo, il rock è il genere prediletto del pubblico bianco (40%), con l’hip hop ultimo in graduatoria (7%); in compenso l’hip hop è primo per il pubblico nero (35%) – seguito da r&b/soul (30%) – e il rock è in coda (6%), sotto gospel (14%) e jazz (9%).
I had a dream I could buy my way to Heaven
When I awoke, I spent that on a necklace
I told God I’d be back in a second
Man, it’s so hard not to act reckless
To whom much is given, much is tested
Get arrested, guess until he get the message– Kanye West, Can’t Tell Me Nothing, 2007
Poiché quello statunitense è un pezzo consistente di mercato discografico mondiale, alla luce dei dati viene spontaneo chiedersi se molte delle sicurezze che riteniamo di avere in materia non vadano quantomeno ridimensionate. I numeri, messi insieme sommariamente, non dicono molto e ulteriori variabili concorrono a rendere questo o quel genere musicale davvero influente. Ad esempio è importante il tipo di fruizione adottata in rapporto all’età (in un quadro generale di invecchiamento della popolazione, già osservabile in molti paesi occidentali), visto che le sedicenti classifiche mutano di continuo a colpi di stream. Dunque se l’hip hop occuperà le posizioni più alte – condizione resa inoltre plausibile dalla massiccia presenza di giovani sulle piattaforme –, saremo allora tentati di credere che sia questa la musica oggi più rilevante, non riflettendo abbastanza che è pur sempre un segmento a determinarne il successo e che i trending topic faranno anche notizia, ma fino a un certo punto.
Il discorso rischia di ingarbugliarsi – in effetti sono diversi i motivi per cui è giusto considerare la musica hip hop una specie di bussola dei nostri tempi –, tuttavia le circostanze appaiono evidenti a ogni fenomeno che si ripete. Perciò il genere country viene grossomodo percepito come conservatore – è un dibattito sempreverde, peraltro alimentato da numerosi artisti che non si preoccupano di trattenere le loro simpatie politiche di destra (sull’argomento hanno scritto i tipi di Jefferson) –, oppure Taylor Swift, la quale, oltre a generare un notevole indotto economico con il suo Eras Tour, è stata in grado di sollecitare nuove registrazioni di elettori con un solo post su Instagram. Taylor Swift come Beyoncé, in situazioni analoghe.
Eppure, a conti fatti, i soliti dati ci restituiscono una realtà tutt’altro che edulcorata, frammentata appunto per classi di età, hype del momento e vicinanze politiche. Vale per l’universo hip hop, vale per Taylor Swift e per chiunque altro. E ogni volta che raccontiamo di quanto la musica abbia un peso sulle scelte di voto o su qualsiasi dinamica sociale, dovremmo ricordarci – soprattutto in vista del 2024 – di spezzettare le audience, o perlomeno di considerare che il mondo cambia alla velocità della luce e che è impossibile adottare un’unica narrazione.
Now POV of you and me, similar Iraq
I don’t hate you, but I hate to critique, overrate you
These beats of a dark heart, use basslines to replace you
Take time and erase you, love don’t hear no more
No, I don't fear no more
Better yet, respect ain't quite sincere no more, ah!– Taylor Swift feat. Kendrick Lamar, Bad Blood (Remix), 2015
Conclusione. Viviamo in un sistema di bolle.
Le bolle sono necessarie.
Le bolle, da sole, non definiscono una società.
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Eccoci ai saluti. Chiaramente non era mia intenzione sminuire il valore degli idoli sacrosanti di qualcuno magari all’ascolto (tutt’altro!), però ammetto che questi sondaggi sui generi musicali hanno stimolato in me più di qualche dubbio su come diamo importanza alle cose.
La playlist è pronta: a voi non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, scrivermi su Instagram, su Twitter o su Notes. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici!
È tutto gente, ci rileggiamo tra qualche settimana. Ciao!