Soprattutto nelle ultime settimane, a molti sarà capitato di imbattersi in più di un sondaggio sulle elezioni americane, scorgendo qua e là delle piccole, ma significative contraddizioni. Se sul piano nazionale si osserva in prevalenza il vantaggio di Kamala Harris su Donald Trump, negli Stati in bilico – che sono sette (Arizona, Nevada, North Carolina, Michigan, Wisconsin, Pennsylvania e Georgia) – il quadro appare più incerto. In questi casi potrebbe essere avanti Harris di pochissimo, o potrebbe esserlo Trump: dipende da una sfilza di variabili che il New York Times, per aiutare il pubblico nella lettura delle rilevazioni, ha messo in ordine in questa utile guida. Basta niente, una lieve oscillazione da un lato o dall’altro e il gioco è fatto.
Sempre il New York Times, in collaborazione con Siena College, ha diffuso un sondaggio che vede l’ex presidente andare meglio della rivale dem in Arizona (50 a 45), in Georgia (49 a 45) e, con un distacco più lieve, in North Carolina (49 a 47), tre dei famosi sette Stati in bilico, rappresentativi della Sun Belt, benché la regione si estenda dalla costa atlantica a quella pacifica, maturando al suo interno differenze non solo territoriali affatto trascurabili. Questi dati premiano Trump, ma la situazione è complicata e siccome non è di sondaggi che parleremo nella nuova puntata di Mookie, per adesso ci limitiamo ad annotare quanto analisti e osservatori concordano da mesi: con ogni probabilità sarà la Pennsylvania lo Stato chiave, quello in grado, cioè, di decidere l’esito delle elezioni. E no, la Pennsylvania con la Sun Belt non c’entra un fico secco.
L’interesse per il caso Sean Combs – Diddy – è ormai cresciuto anche in Italia e se ne sta parlando persino fuori dalla bolla hip hop. Su Mookie non lo stiamo mancando, se non per alcuni accenni tra le notizie in breve, per qualche motivo in particolare. Il fatto è che l’attenzione è rivolta alle presidenziali di novembre e siamo praticamente agli sgoccioli. Parleremo più avanti di lui, della Bad Boy Records, dell’impatto che ha avuto sull’industria discografica, sulla società e sulla cultura (e pure della sua caduta rovinosa, certo; quel che è peggio: la posizione si aggrava di giorno in giorno). Una cosa, però, tengo a sottolineare subito. Dalle diverse letture al riguardo, ho l’impressione che l’eccesso di semplificazione induca molti a mettere insieme le mele con le pere, generando confusione in chi magari non è così informato sul personaggio. A partire dal modo con cui viene spesso etichettato: rapper. Diciamo che rapper ci è voluto diventare per forza, per vanagloria, quando nel mondo della musica, in realtà, c’era dentro da un sacco di tempo. E qui sta il secondo aspetto da evidenziare, il più importante: la vicenda di Sean Combs non è hip hop, non ha a che fare con il rap. È una vicenda umana – brama di potere, percezione d’intoccabilità –, come purtroppo di simili ce ne sono tante, in altrettanti ambienti, talvolta dialoganti. Solo questo, per banale che sia, a scanso di equivoci.
Torniamo in Pennsylvania.
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La centralità della Pennsylvania va ricercata nella fondazione stessa degli Stati Uniti: è a Philadelphia che nel 1776 venne adottata la Dichiarazione d’indipendenza. Non andiamo troppo oltre e restiamo ai giorni nostri: nel 2016 il futuro presidente Trump conquistò la Pennsylvania per una manciata di voti (la differenza con Hillary Clinton fu dello 0,7% appena), ipotecando la Casa Bianca e interrompendo un “digiuno” repubblicano nello Stato che durava dalle presidenziali 1988, quando George H. W. Bush superò di circa due punti Michael Dukakis. Dopodiché, passati gli anni di Ronald Reagan e la parentesi Bush (l’ultima vittoria di un candidato dem risaliva al 1976, con Jimmy Carter), sarà un dominio democratico, da Bill Clinton a Barack Obama, passando per Al Gore nelle controverse elezioni del 2000, poi vinte da George W. Bush (si ricorderà il caos della Florida). Con le elezioni 2016 è stato rimesso tutto in discussione e la Pennsylvania, da allora, è diventata uno Swing State, come anche il 2020 ha saputo confermare: quattro anni fa Joe Biden ebbe di poco la meglio su Trump.
La Pennsylvania ha registrato considerevoli trasformazioni, proprie della Rust Belt e della regione degli Appalachi, dove la progressiva deindustrializzazione ha prodotto un impoverimento della classe operaia e un malcontento diffuso. Un sentimento – secondo la convinzione generale descritto dall’attuale candidato vice di Trump, J.D. Vance, nel suo libro di successo Hillbilly Elegy – che si è autoalimentato a seguito dei nuovi paradigmi economici, dalla delocalizzazione all’automazione, alterando perciò la natura di intere comunità. Tutto questo si è tradotto in un voto di protesta – avverso alla condotta democratica, che rimane salda a livello statale, accusata di avere abbracciato politiche che strizzano l’occhio a Wall Street anziché alle persone comuni – di cui Trump, nel 2016, si è fatto portavoce con i suoi modi burrascosi. Non è stato un fenomeno dirompente in termini assoluti, ma sufficiente a rompere gli schemi. E adesso il contesto è più che mai appetibile per quanti sono in cerca di consensi, al di là dei dubbi – accademici e non – relativi al “peso specifico” della working class sui più recenti risultati elettorali.
Verrebbe quasi da credere che se Eminem fosse nato in Pennsylvania avrebbe potuto descriverla tale e quale alla porzione di Michigan che lo ha forgiato. La verità è che Detroit ha già trascorso molte vite, alternando fasi di totale decadenza a stagioni di piena vivacità artistica e culturale. Qui, al contrario, sussiste un burrone immaginario: superata la rancorosa “prateria”, la Pennsylvania presenta due città, sulla mappa collocate agli antipodi, che sono un concentrato di umanità e multiculturalismo in grado di spiegare le tendenze politiche degli ultimi decenni, imprevisti esclusi: Pittsburgh e Philadelphia. La prima è un ex polo industriale che ha saputo resistere ai cambiamenti, oggi a detta di molti tra le migliori città statunitensi in cui vivere. La seconda è una tipica metropoli americana, con i problemi tipici delle metropoli americane. C’è tuttavia un elemento storico che contribuisce ad unire Pittsburgh e Philadelphia a città non vicinissime come Chicago, o appunto Detroit: l’attrattività esercitata durante la grande migrazione.
Philadelphia, allora, al pari di altri centri urbani, ha sperimentato l’aderenza di un notevole spaccato cittadino al movimento per i diritti civili, le proteste contro la brutalità della polizia, i difficoltosi tentativi di integrazione, tutte circostanze poi sfociate nella trasposizione musicale e artistica degli anni più appassionati.
Learnin’ the ropes of ghetto survival
Peepin’ out the situation I had to slide through
Had to watch my back, my front, plus my sides too
When it came to gettin’ mine, I ain’t tryin’ to argue
Sometimes, I wouldn’t have made it if it wasn’t for you
Hip hop, you the love of my life, and that’s true– The Roots, Act Too (The Love Of My Life), 1999
La prima parte del ‘900 fu un periodo intenso, il jazz si stava espandendo verso nord – a New York e a Chicago –, e anche Philadelphia si mostrò accogliente. Da queste parti passarono, tra gli altri, Dizzy Gillespie e John Coltrane. Gli spostamenti hanno permesso alle città di crescere in numero di residenti – marcando storture in senso segregazionista che ci si illudeva fossero prerogative degli Stati del sud – e da un punto di vista culturale e intellettuale. Non è casuale che, a un certo punto, Philadelphia abbia deciso di crearsi un sound su misura, rivaleggiando con le metropoli – le solite Detroit e Chicago – più inclini a questo genere di iniziative. Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70, il Philly Soul fu l’esaltazione di tutto il meglio che c’era in giro e restituì alla metropoli della Pennsylvania uno stile riconoscibile ovunque. E non è ancora un caso se una delle prime dimostrazioni mainstream di cosa l’hip hop sarebbe stato capace di realizzare sia avvenuto a queste latitudini, più o meno. Nel 1989 DJ Jazzy Jeff & The Fresh Prince furono i primi a vincere un Grammy Award per il rap con Parents Just Don’t Understand, ma boicottarono la cerimonia di premiazione – la cui messa in onda non era in programma – e questa è un’altra, ennesima storia americana.
Every time I’m in my trap, I move like Rambo (Extended)
Ain’t a neighborhood in Philly that I can’t go (That’s a Fendi)– Meek Mill, Going Bad, 2020
Quanto a composizione demografica, Philadelphia è un corpo avulso, un segmento multietnico e per questo unico rispetto ai trend complessivi della Pennsylvania. È il luogo di formazione dei The Roots (tra i gruppi più insoliti e geniali del panorama hip hop) e di numerosi rapper – Freeway, Young Gunz, Beanie Sigel, Eve, Meek Mill – e cantanti neo soul di enorme talento, come Jill Scott e Musiq Soulchild. Di minore portata la tradizione in fatto di rap di Pittsburgh, la città di Mac Miller.
Hey, ten thousand dollar hands, million dollar plan
My fam’s still the only people that really know me for who I am
Damn, got me askin’ when I got this fly
The type to change because of fame, I’m just not that guy– Mac Miller, PA Nights, 2011
La Million Women March del 1997, a Philadelphia.
Now, Lauryn is only human
Don’t think I haven't been through the same predicament
Let it sit inside your head like a million women in Philly, Penn– Lauryn Hill, Doo Wop (That Thing), 1998
Si intravede all’orizzonte una timida inversione di tendenza sulle morti per overdose negli Stati Uniti – altrimenti a ritmi di crescita costanti –, calo che interessa anche la Pennsylvania. Però si diceva dei problemi di Philadelphia, poco fa: secondo il dipartimento cittadino della Salute, nel 2022 si sono registrati 1.413 decessi per overdose involontaria, in rialzo dell’11% sull’anno precedente, quando già si era potuto constatare il massimo di 1.276 morti. Tali decessi sono continuati ad aumentare tra le minoranze, neri e ispanici, rispettivamente dell’87% e del 43% nel periodo 2018-2022, percentuali in linea con il dato nazionale. Oltre l’80% delle morti per overdose verificate nel 2022 è avvenuto per abuso di oppioidi, soprattutto Fentanyl. Da anni una calamità sulla bocca di tutti, raccontata peraltro nei pezzi hip hop, ma su cui si fatica a porre rimedio.
Another destroyed life was meant to be more
Righteous in the face of this full-on opioid crisis
While the wolves pull the wool on and prey on vices
Still the dogs with the hood on is way more frightenin’
For death, you’re not ready
Trust me, I’m deadly as the Fentanyl that killed Prince and Tom Petty– Black Thought, Fentanyl, 2018
La Pennsylvania, insomma, potrà essere lo Stato decisivo il 5 novembre. È dove Harris e Trump stanno concentrando energie e risorse. A Philadelphia si è tenuto nelle scorse settimane il dibattito presidenziale. Il 13 luglio, a Butler, città a nord di Pittsburgh, Trump quasi ci rimetteva le penne, ottenendo il suo momento Many Men. A un mese dal voto, l’ex inquilino della Casa Bianca è atteso di nuovo lì.
Baby, don’t you bet it all
On a pack of Fentanyl
You might think they wrote you off
They gon’ have to rope me off
Someday the drama’ll be gone
And they’ll play this song on and on– Kanye West, Ghost Town, 2018
Altre cose interessanti
Alcuni giorni fa è stato un gran parlare di Janet Jackson, la quale, in un’intervista al Guardian, si era detta perplessa sull’identità razziale di Kamala Harris, alludendo al suo presunto padre bianco (che ovviamente non esiste), in apparenza sulla scia dei dubbi pretestuosi espressi in estate da Trump. Molti fan sono rimasti delusi e increduli che la cantante di Rhythm Nation, da sempre impegnata contro il razzismo, possa ritenere plausibili teorie o voci fasulle. Non è detto che si tratti di politica, di Trump o di Harris, ma è comunque abbastanza sintomatico di questa epoca bizzarra, che degli strumenti a disposizione sembra farsene ben poco.
Avrete sentito anche di Eric Adams, sindaco di New York, incriminato per corruzione e irregolarità nei finanziamenti elettorali. Online hanno fatto notare che il manifesto di un giovane Adams, all’epoca candidato al Congresso, compare nel video di Juicy di Notorious B.I.G. (1994), anche se la scoperta è avvenuta in principio nel 2021.
Kanye West ha annunciato in Cina un nuovo album, dal titolo Bully.
I rapporti tra Lauryn Hill e Pras Michel sono piuttosto tesi.
Beyoncé x Levi’s.
Manca davvero poco all’appuntamento elettorale e la partita è apertissima. In compenso la playlist della newsletter, parecchio a tema Philadelphia, è pronta: non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, scrivermi su Instagram, su Threads o su Notes. Se Mookie vi piace, mandate il link a chiunque vogliate!
Ci leggiamo tra due venerdì, a presto!