Tre nomination ai Grammy 2024 (Best Rap Album, Best Rap Song e Best Rap Performance), una carriera discografica decollata – per davvero – quando ormai era prossimo ai 40 e tanto attivismo politico. La parabola di Killer Mike è tutta qui, a pensarci bene. Eppure la sua storia è utile per raccontare qualcosa delle espressioni stilistiche di Atlanta, che ora è sulla bocca di tutti, ma che in realtà reclama il proprio posto da un sacco di tempo. Ed è anche utile a capire, almeno un po’, l’America che si avvicina al voto, inclusi gli ostacoli e le molteplici incongruenze. E comunque Michael – il disco da tre nomination ai Grammy – è in effetti tra i migliori album (nel suo genere) del 2023.
Con questa puntata ci avviciniamo a passi spediti al nuovo anno, che dalla prospettiva statunitense (a dire il vero anche dalla prospettiva europea) significa “elezioni”. Dopo la pausa estiva la newsletter è stata spedita una volta al mese, ma l’impegno solenne che prendo – qui e ora – è di tornare alla ripresa di gennaio all’uscita ogni due venerdì (o al massimo da febbraio, se qualcosa dovesse andare storto). Questo periodo meno affannato è servito a prendere appunti, segnare nomi, avviare contatti: l’idea è quella di restituire una cronaca significativa, dal nostro consueto punto di vista, delle presidenziali americane. Ma adesso torniamo a Michael Render, cioè Killer Mike.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera. Per contribuire a questo umile progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!
La Georgia è uno dei posti più al centro dell’attenzione negli Stati Uniti. I motivi sono soprattutto due e vedono entrambi protagonista la procuratrice distrettuale della contea di Fulton, Fani Willis. Il primo: Donald Trump è incriminato per il tentativo di sovvertire i risultati delle elezioni nello Stato, dove nel 2020, tra polemiche, possibili interferenze e riconteggi a mano delle schede, alla fine vinse Joe Biden per una manciata di voti (il successo di un candidato democratico alla presidenza mancava in Georgia da circa 30 anni). Non è l’unico processo che lo riguarda, come sappiamo: nel pieno della campagna elettorale, benché sia lo strafavorito alle primarie repubblicane, Trump avrà il suo bel daffare che proverà a capitalizzare (intanto la Corte Suprema del Colorado lo ha dichiarato ineleggibile, ma non aspettiamoci granché, in attesa della decisione della Corte Suprema federale).
L’altro motivo riguarda il caso di Young Thug, famoso rapper di Atlanta, il cui processo nell’ambito del RICO Act è formalmente iniziato a fine novembre (della questione parlammo a febbraio, soprattutto per la controversa abitudine dei procuratori di usare i testi delle canzoni rap come prove in tribunale). Nel complesso, dunque, la Georgia e la sua capitale Atlanta sono tra i luoghi più discussi d’America, al di là della quotata serie tv ideata da Donald Glover. In questo senso, decisive sono state anche le iniziative di Stacey Abrams, purtroppo per lei non abbastanza per essere eletta governatrice (ci ha provato nel 2018 e di nuovo nel 2022), ma fondamentali per sostenere la vittoria di Biden e la successiva conquista di due importanti seggi al Senato, quelli ottenuti da Raphael Warnock e Jon Ossoff, in uno Stato che in precedenza aveva messo in luce diversi problemi con la partecipazione al voto. Cosa c’entra Killer Mike in tutto ciò? Per capirlo sono doverosi due passi indietro.
Settembre 2020. Su Twitter – nel 2020 si chiamava ancora così – il governatore della Georgia, Brian Kemp, riferiva di un proficuo incontro con Killer Mike, guadagnandosi in seguito molti elogi da parte dello stesso rapper, nel frattempo meno generoso con Stacey Abrams e con il Partito democratico. Di recente Kemp è diventato una specie di eroe tra i repubblicani moderati per aver rifiutato l’ipotesi – finora mai provata – di brogli elettorali in Georgia alle ultime presidenziali, tuttavia senza perdere consensi tra gli elettori conservatori più inclini a credere alle teorie di Trump. Dall’altro lato della barricata, però, non è che sia particolarmente amato, anche perché ritiene che chiunque nel campo repubblicano, persino Trump, farebbe meglio di Biden alla Casa Bianca. Ora, Biden a sua volta non gode di larghissimi favori, ma il punto è che se Trump vincerà le primarie come tutti si aspettano di sicuro Kemp non si metterà di traverso, sebbene l’ex presidente abbia provato a mettergli i bastoni tra le ruote nel 2022. Inoltre, quando si candidò la prima volta a governatore nel 2018, Kemp era il responsabile delle procedure elettorali in quanto segretario di Stato della Georgia, celando dunque un potenziale conflitto di interessi. Kemp venne accusato – non era una novità per lui – di aver disincentivato l’accesso ai registri attraverso la promozione di specifiche misure, i cui principali destinatari, guarda caso, risultavano essere perlopiù cittadini neri o appartenenti a minoranze. Illustrato il quadro per intero, potete immaginare le reazioni alla visita di Killer Mike ai coniugi Kemp. Come rispose Killer Mike alle critiche? Postando una foto di Martin Luther King e Lyndon B. Johnson, mossa che invece aggravò la sua posizione.
Novembre 2015. Il senatore del Vermont, Bernie Sanders, tra aprile e maggio aveva annunciato la sua intenzione di buttarsi nella mischia in vista delle presidenziali 2016, sfidando Hillary Clinton alle primarie democratiche. Per l’occasione Killer Mike lo ospitò nel suo SWAG Shop, ad Atlanta, per un’intervista/conversazione su diverse questioni, dalla disuguaglianza economica al razzismo sistemico, passando per l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Da quel momento, che sancì una collaborazione proseguita ancora nel 2020, Killer Mike divenne uno dei principali sponsor di Sanders. La storia del vecchio senatore è nota: originario di Brooklyn, dopo aver studiato a Chicago si trasferì nella cittadina di Burlington, nel Vermont, di cui venne eletto sindaco – fieramente socialista – all’inizio degli anni ‘80. Oggi definirsi “socialista” negli Stati Uniti è meno avventato, ma ai suoi tempi entrare al Congresso con questa etichetta, cosa che farà nei primi ‘90 per di più da indipendente, fu un’autentica impresa. Per quanto da giovane si sia dato molto da fare per i diritti civili, nel 2016 era poco considerato dall’elettorato nero, visto che le cariche elettive ricoperte fino allora, Sanders le aveva ottenute in un piccolo Stato sperduto del nord-est, dove è quasi impossibile incontrare persone che non siano bianche. L’attivismo di Killer Mike contribuì perciò ad “allargare” la piattaforma di Sanders, assecondando le sue cause progressiste.
Ok, arrivati a questo punto vi starete forse chiedendo: come possono convivere Kemp e Sanders nell’immaginario politico di Killer Mike? Intanto, perché è Killer Mike. In secondo luogo perché la percezione di inadeguatezza nei confronti dei partiti politici è più trasversale di quanto siamo in grado di comprendere da questo lato dell’oceano, per cui sarebbe un errore – teniamolo bene a mente nei prossimi mesi – dare per scontati i comportamenti di voto.
I don’t give a fuck who the president is
If the president ain’t for me– Killer Mike, TALK’N THAT SHIT!, 2023
Cresciuto all’ombra degli OutKast, del trio di produttori Organized Noize e in generale della Dungeon Family – che racchiude la crème de la crème di Atlanta (Killer Mike farà parte della cosiddetta “seconda generazione”, collaborando all’unico album del collettivo, Even In Darkness del 2001) –, in verità Render ci ha messo degli anni prima di essere preso sul serio da un pubblico ampio. Il suo debutto ufficiale, Monster, risale al 2003. L’album registrò un discreto successo e piazzò una hit facile facile, ma era un lavoro acerbo. La svolta arrivò nel 2012 quando il produttore (e rapper) di New York, El-P, si occupò del suo quinto disco, R.A.P. Music. Quest’ultimo è un album decisamente politico, con dentro di tutto, dalle denunce contro la brutalità della polizia al rifiuto dei sistemi di potere che emarginano le persone nere. Considerazioni che trovano l’apice in Reagan, un brano che stigmatizza, eccome, il periodo reaganiano, ma che in definitiva è la ricostruzione storica del razzismo negli Stati Uniti – fatto anche di guerra alla droga, inasprimento delle pene per reati minori e nuove prigioni – in cui non viene risparmiato neppure Barack Obama, all’epoca prossimo alla rielezione.
But thanks to Reaganomics, prison turned to profits
‘Cause free labor’s the cornerstone of US economics
‘Cause slavery was abolished, unless you are in prison
You think I am bullshittin’, then read the 13th Amendment
Involuntary servitude and slavery it prohibits
That’s why they givin’ drug offenders time in double digits
Ronald Reagan was a actor, not at all a factor
Just an employee of the country's real masters
Just like the Bushes, Clinton, and Obama
Just another talking head telling lies on teleprompters– Killer Mike, Reagan, 2012
La “relazione” con Obama dice molto di Michael Render. Scettico, in fondo, lo era sempre stato, ma alla vigilia del secondo mandato cominciò via via a mostrarsi ancora più critico – alla stregua di colleghi come Lupe Fiasco, o personalità come Cornel West –, soprattutto sulle faccende di giustizia sociale.
Tornando alla musica, le cose andarono talmente bene con R.A.P. Music che El-P e Killer Mike decisero di mettere su un duo chiamato Run The Jewels, pubblicando tra il 2013 e il 2020 quattro progetti musicali uno meglio dell’altro, intrisi – neanche a dirlo – di temi politici.
And every day on the evening news, they feed you fear for free
And you so numb, you watch the cops choke out a man like me
Until my voice goes from a shriek to whisper, “I can’t breathe”
And you sit there in the house on couch and watch it on TV
The most you give’s a Twitter rant and call it a tragedy– Run The Jewels, walking in the snow, 2020
Nei primi giorni di giugno del 2020, con RTJ4 appena uscito, sentimmo Killer Mike pronunciare «I can’t breathe» in walking in the snow, mentre le proteste per l’omicidio di George Floyd si stavano espandendo a macchia d’olio nelle metropoli statunitensi. Ma lui ed El-P confermarono che la traccia era stata registrata nel 2019, perciò la canzone non poteva riferirsi ai fatti di Minneapolis. Più ciclico retaggio che autentica profezia: a urlare «I can’t breathe», con il poco fiato che gli restava, era stato dapprima un uomo di nome Eric Garner, a Staten Island, New York, il 17 luglio 2014.
Mentre la carriera musicale avanzava, nel 2015 Killer Mike ha trovato il tempo di improvvisarsi candidato alle elezioni locali della Georgia per alcune ore (c’era in palio il seggio rimasto vacante alla Camera dei rappresentanti dello Stato dopo le dimissioni di Tyrone Brooks), non escludendo di farlo in futuro, magari stavolta con regolare documentazione. Nel 2019 è uscita la serie Netflix, Trigger Warning with Killer Mike, nel 2021 un secondo show televisivo. Tutto questo, insomma, gli ha permesso di proiettare la sua figura in una nuova dimensione, che è il risultato di Michael, il disco da tre nomination ai Grammy, il ritorno solista in 11 anni, che non manca di raccontare le vicende di strada, il razzismo (RUN è uno dei brani da segnalare, con un video notevole) e la politica. Ma è soprattutto il resoconto introspettivo e autocelebrativo di un ragazzone cresciuto ad Atlanta e divenuto uomo di successo, nonostante la sofferenza sperimentata, condizione che accomuna tante e tanti dalle sue parti.
I shed tears every morning in the bathroom mirror
Face to face with fate, had to face my fears
It was me, I’m the reason that I fell
That was hell, locked in self-guilt like jail
Lord, I cried, almost died, empty inside
The devil whispers in your ear, you contemplate suicide
I tell you I know, promise, honest, been there before
And it’s pride before the fall, it’s how it usually go– Killer Mike, SHED TEARS, 2023
La Georgia è così una costante dell’album, in cui si avverte il legame profondo con la red clay, il soul food, il rapporto complicato con la religione, accompagnato da sprazzi di musica gospel – negli Stati del Sud la chiesa è stata a lungo un pilastro nella vita delle comunità nere e continua ad esserlo in molti segmenti –, l’infanzia difficile, la famiglia.
My mama dead (my mama dead)
My grandmama dead (dead)
To keep it honest, I get depressed and be feelin’ scared (sometimes, I)
You see I wasn’t prepared (yeah) and never will be (never will be)
To think about your death, Denice, sometimes, it kill me (sometimes, I)
You won't believe it, mama, I achieved it, mama– Killer Mike, MOTHERLESS, 2023
Era il 1995 e André 3000, dal palco dei Source Awards, urlò alla platea di New York che rumoreggiava per il premio di miglior nuovo gruppo rap ricevuto dagli OutKast, una frase che sarebbe poi entrata nella storia dell’hip hop: «The South got something to say». Il Sud voleva alzare la voce, fino a trasformarsi, nei primi anni Duemila, nella scena più vivace degli Stati Uniti, con Atlanta a ribadire il primato culturale. Killer Mike ha trovato la sua strada, rivelandola ad altri disposti a impegnarsi per cambiare la situazione. Ognuno con i suoi fantasmi, ognuno con le sue contraddizioni.
Can’t you see we livin’ in a war zone?
Guess you don’t notice when you livin’ in it
Like every weekend it’s a man down– T.I., Warzone, 2016
Non amo le classifiche di fine anno, ma una sorta di lista di album interessanti comparirà tra le storie del profilo Instagram di Mookie nelle prossime ore. Siamo ai saluti, ci fermiamo qualche giorno. Per questa volta saltiamo le notizie in breve, comprese quelle dell’ultima ora su cui torneremo più avanti. L’appuntamento è per gennaio, quando partirà la giostra (il 15 del mese, con il caucus dell’Iowa, prenderanno il via le primarie repubblicane). Della promessa di tornare in tempi rapidi all’uscita ogni due venerdì ho già riferito, quindi non mi dilungo oltre: la playlist della newsletter è pronta, a voi non resta che premere il tasto play. Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, scrivermi su Instagram, su X/Twitter o su Notes. E sì, volendo anche su Threads. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici!
Se al riguardo l’ansia vi tormenta, sappiate che l’album di Kanye West e Ty Dolla Sign dovrebbe uscire il 12 gennaio (il condizionale è sempre d’obbligo con Ye nei paraggi).
Grazie per l’anno passato insieme e per il sostegno a questo lavoro. Ci leggiamo nel 2024, buone feste!