Comprensibilmente uno vorrebbe pensare all’anno che verrà e lasciarsi alle spalle quello che è appena trascorso. A ogni 1° gennaio è così, a maggior ragione oggi. Ma dobbiamo essere realisti: la pandemia non sparirà subito (anche se ora potremo contare sui vaccini) e molte delle cose che abbiamo visto e vissuto nel 2020 ce le porteremo dietro ancora un po’. Perciò, portate pazienza.
Bentrovati su Mookie, la vostra newsletter di Capodanno.
Prima di iniziare, voglio rassicurarvi: questa puntata non sarà un bilancio complessivo del 2020 (un’incombenza che lascio volentieri ad altri). Dunque, pur partendo dalla straordinarietà degli eventi che hanno caratterizzato l’intero anno, nelle prossime righe ci occuperemo solo di quei due, tre temi che interessano Mookie. Intanto il 2020 ci ha riservato l’ennesima brutta notizia, proprio allo scadere. Due mesi fa è morto MF Doom, al momento non si conoscono le cause, ma soprattutto non è chiaro perché sia stato reso noto soltanto ieri dalla moglie. MF Doom lo ricordiamo soprattutto per Madvillainy del 2004, uno dei migliori dischi rap degli ultimi 20 anni (poche chiacchiere), ma chi era veramente e cosa ha rappresentato per l’hip hop e per la black culture, Francesco Abazia lo spiega benissimo qui.
Ok, ora ci siamo: pronti, partenza, via!
Nel 2020 abbiamo trascorso molto più tempo a casa. Siamo stati costretti dalla pandemia di coronavirus, come sappiamo. Abbiamo dovuto ricreare i nostri ambienti di lavoro – i più fortunati – e abbiamo concepito nuove modalità di fruizione del tempo libero, motivo per cui abbiamo dovuto anche rinunciare a qualcosa. Sono cresciute le difficoltà – economiche, sociali – e abbiamo dovuto fare i conti, qualcuno di noi in completa solitudine, con pensieri e agitazioni che non avevamo ancora sperimentato. È stato un periodo complicato, ma abbiamo tenuto duro, dopotutto.
A marzo, quando ormai un po’ ovunque nel mondo veniva applicato il lockdown per prevenire la diffusione del virus, qualcuno si è inventato format e show per intrattenere online il pubblico, in particolare D-Nice, dalla sua casa di Los Angeles. L’ex Boogie Down Productions (due album nei primi ‘90 quando aveva appena 20 anni) ora fa il dj a tempo pieno e cura eventi davvero esclusivi, alcuni anche alla Casa Bianca durante l’amministrazione Obama. Ironia della sorte, gli è stato sufficiente avviare Instagram una sera, mettere su qualche disco in diretta svariando tra i generi e i decenni, per passare dalle feste a numero chiuso ad una sorta di rave globale. Prima circa duecento, poi migliaia di utenti collegati, tra i quali molti personaggi noti (Drake, Naomi Campbell, De La Soul, Black Thought, Diddy, Gabrielle Union, Mary J. Blige, DJ Khaled, T.I., Kelly Rowland, Common, Queen Latifah e persino Michelle Obama, ma citarli tutti sarebbe impossibile) e musica che è andata avanti dalla sera alle prime luci dell’alba, nonostante gli ostacoli tecnici dovuti alle impostazioni del social network (una diretta può durare al massimo un’ora, anche se da poco è stato annunciato che si passerà alle quattro ore consentite in un’unica sessione).
Quella serata è andata tanto bene che D-Nice ha riproposto il party virtuale una, due, tre, quattro, cinque volte e così via. Molti suoi colleghi hanno in seguito emulato il format: Questlove, Dj Premier, DJ Jazzy Jeff, Tony Touch, MICK, Cut Killer… Poi è arrivato il momento delle Verzuz Battle ideate da Swizz Beatz e Timbaland, un concept che già frullava nelle loro teste, ma avviato in quarantena per tirare su il morale degli spettatori. Alcune di queste “battle” – due artisti che si “sfidano” eseguendo le loro migliori hit – sono state memorabili anche in termini di visualizzazioni ottenute nelle piattaforme che le hanno ospitate (Apple Music, Instagram e altre), tipo quella tra Babyface e Teddy Riley o la più recente Jeezy vs. Gucci Mane (di cui abbiamo accennato qualche settimana fa per parlare della Georgia).
Non sappiamo quando potremo tornare a vedere un concerto dal vivo, se escludiamo le poche occasioni di piccolissima entità che ci sono state in estate. Alcuni artisti sono tornati a riprogrammare i tour, perlopiù in vista dell’autunno 2021, ma la verità è che non siamo ancora in grado di indicare una data esatta. Per quanto sia impossibile immaginare un futuro solo virtuale della musica live – siamo nel campo delle ipotesi, non è una questione di bello/brutto, giusto/sbagliato –, non possiamo escludere che iniziative di questo tipo non diventino presto una consuetudine. Diverse organizzazioni si stanno attrezzando e a dirla tutta sono stati già organizzati concerti online a pagamento.
Ad ogni modo: che sia stato “l’universo hip hop” a mettere una pezza mentre ci chiudevamo in casa, è un fatto che dovrebbe stupirci? Va così da quasi 50 anni, quindi propenderei per il no...
Black Lives Matter
Negli Stati Uniti la pandemia ha colpito in maniera più dura le minoranze, specialmente gli afroamericani. A causa del Covid i neri muoiono ad un ritmo superiore rispetto ai loro coetanei bianchi. Il divario tra disoccupati neri e bianchi si è allargato per colpa della crisi che è derivata dall’emergenza sanitaria e, in egual modo, gli studenti neri e ispanici sono quelli che rischiano, o hanno rischiato, di restare maggiormente indietro con i programmi al cospetto di un anno accademico che è stato più volte interrotto e stravolto dai continui imprevisti. Già questo sarebbe abbastanza, poi però sono arrivate le proteste di Black Lives Matter per i casi di Ahmaud Arbery, George Floyd, Breonna Taylor, Jacob Blake. Abbiamo visto, sconvolti, quei dannati 8 minuti e 46 secondi. Abbiamo visto numerose aziende come Nike schierarsi contro il razzismo in un modo più netto del solito, una mobilitazione ampia e trasversale, mondiale. Abbiamo imparato a conoscere meglio la figura di Ben Crump, altrimenti da noi famoso (e nemmeno tanto) per la docuserie Who Killed Tupac? passata non molto tempo fa per i canali Sky (un prodotto in realtà più pretestuoso che altro, se volete la mia). Eppure qualcosa si è smosso e da alcune parti hanno iniziato ad adottare misure riparatorie, come la cosiddetta Breonna’s Law, una legge che vieta agli agenti i mandati di perquisizione nelle case senza prima bussare o identificarsi, provvedimento che si è reso urgente dopo la morte di Breonna Taylor.
Bonus
Questo è l’articolo da leggere: i padri o le figure paterne di Michael Brown, Terence Crutcher, Daniel Prude, Rayshard Brooks, George Floyd e Jacob Blake riflettono sulla violenza e su cosa significa crescere un uomo di colore in America.
Una nuova stella
Patrice Cullors, Alicia Garza e Opal Tometi: sono loro le donne più in vista del movimento Black Lives Matter, nato nel 2013 dopo l’assoluzione, per effetto della Stand-your-ground law, di George Zimmerman, il vigilante di quartiere che l’anno prima aveva ucciso Trayvon Martin a Sanford, Florida. Qualcuno ha raccontato nelle ultime settimane di un’organizzazione interna che inizia a scricchiolare e di dispute sulla leadership, soprattutto dopo che Cullors si è attribuita titoli specifici in BLM, cosa che non sarebbe piaciuta – il condizionale è d’obbligo – ad altri componenti di spicco del movimento. Garza, comunque, è impegnata in progetti paralleli come il Black to the Future Action Fund, che si occupa anche di incentivare il voto tra i neri. Ma quest’anno ha ottenuto un posto di rilievo nelle cronache un’attivista di nome Tamika Mallory, già abbastanza conosciuta negli Stati Uniti, poco invece da noi, tra le organizzatrici della Marcia delle donne del 2017. Il 30 maggio a Minneapolis, durante le proteste per la morte di George Floyd, ha tenuto un discorso molto duro rivolto alla white America e alcune parti sono state inserite in Oh Lord, traccia che apre l’ultimo album di Jeezy, The Recession 2. La stessa Mallory, inoltre, si esibisce in un potentissimo spoken word in Mercy di Anthony Hamilton.
Un po’ di musica impegnata
Va da sé che il 2020 musicale sia stato condizionato da Black Lives Matter e dalle proteste nelle città, non solo americane. Di playlist a tema su Spotify e TIDAL o album concettuali, quanti ne volete. Siccome l’elenco delle cose uscite quest’anno è troppo ampio (lo sarebbe a prescindere), vi linko una mia playlist in chiave BLM, che però contiene anche pezzi di qualche anno fa (you’re welcome). Qui ora mi limito a un paio di segnalazioni tra le meno dibattute, almeno alle nostre latitudini.
La prima è Tobe Nwigwe – rapper di Houston, Texas, figlio di immigrati nigeriani – che in un brano non più lungo di 44 secondi dice chiaramente: «Arrestate i killer di Breonna Taylor». Il pezzo è uscito a luglio, a settembre il gran giurì ha deciso di non incriminare Jonathan Mattingly e Myles Cosgrove, due dei tre agenti che hanno provocato la morte di Taylor, mentre il terzo, Brett Hankison, è stato accusato di condotta pericolosa. I NEED YOU TO, titolo del brano, fa parte del THE PANDEMIC PROJECT (consiglio anche il superlativo THE PANDEMIC EXPERIENCE, live di oltre due ore). A dicembre Tobe Nwigwe ha infine pubblicato CINGORIGINALS.
L’altra segnalazione riguarda l’ultimo progetto di Salaam Remi, storico produttore (The Fugees, Amy Winehouse), già tra gli artefici di alcuni dei maggiori successi di Nas nei primi anni duemila. Il disco Black On Purpose, uscito a novembre, si apre con Malcolm X e si chiude con Sandra Bland, una donna afroamericana trovata impiccata il 13 luglio 2015 in una cella nella contea di Waller, Texas. Tre giorni prima era stata arrestata per non aver messo la freccia mentre era alla guida (il poliziotto riferì di essere stato aggredito dalla donna). Il suo venne ufficialmente dichiarato un caso di suicidio, ma se ne discusse molto all’epoca: troppi elementi non quadravano. L’album prosegue con uno dei motti di Black Lives Matter – #NoJusticeNoPeace –, rafforza il messaggio con una rivisitazione di Say It Loud - I’m Black and I’m Proud di James Brown, fino ad arrivare alla cover di Is It Because I’m Black di Syl Johnson (1969), con un video impressionante che ripercorre le tragedie degli ultimi anni (Tamir Rice, Eric Garner, Trayvon Martin, Michael Brown…).
Per una volta mi concedo – e prometto che sarà anche l’unica – una nota del tutto personale. Questa newsletter è in qualche misura “figlia” della pandemia, una delle tante iniziative che ognuno di noi ha preso in questo periodo alquanto casalingo, un po’ per ingannare il tempo, un po’ per necessità individuale. Ma devo anche ammettere che è stato l’omicidio di George Floyd a farmi scattare qualcosa. Le emozioni provate in quel momento, quel video terribile, le immagini delle proteste, mi hanno restituito la voglia di tornare a scrivere di cose di cui invece non mi stavo più occupando, se non per interesse in contesti decisamente più frivoli. Così ho rispolverato una vecchia pubblicazione che avevo su Medium e sono partito da James Brown per arrivare a Beyoncé, passando per Michael Jordan. Nel frattempo Medium stava implementando le newsletter all’interno delle pubblicazioni, allora ho provato a inviarne qualcuna, ci ho preso gusto e il resto è Mookie. Con il passare dei mesi mi sono dato una missione, ma non posso svelarla immediatamente, sennò dovrei chiudere la newsletter massimo domani. Cosa che, avrete già capito, ad ora non se ne parla.
Altre cose interessanti
La vicenda capitata alcuni giorni fa in un albergo di New York a Keyon Harrold, sublime musicista jazz (il suo ultimo lavoro, The Mugician, è stato uno dei miei album preferiti del 2017), vicenda che in realtà è capitata a suo figlio 14enne, ricorda vagamente il caso della donna bianca che a Central Park ha chiamato la polizia sostenendo che un uomo afroamericano – un birdwatcher con il quale aveva avuto un alterco perché le aveva chiesto di tenere il cane al guinzaglio – la stava minacciando: ovviamente non era vero. Stavolta è successo che una donna bianca ha accusato il figlio di Harrold di averle rubato l’iPhone: ovviamente non era vero. Sono due storie, cioè, che pur nei loro diversi sviluppi non fanno altro che confermare l’impianto di pregiudizio – peggio: il pregiudizio che talvolta inconsciamente giustifica quel tipo di reazione – che ancora pervade l’America.
Aggiornamenti dalla Georgia, dove tra pochi giorni, il 5 gennaio, si voteranno i ballottaggi per i due seggi rimasti vacanti e che determineranno la maggioranza al Senato. Avevamo scritto, un paio di settimane fa, che è prevista un’alta affluenza e che in molti hanno fatto richiesta, come è stato per le presidenziali, di votare per posta. Ieri era l’ultimo giorno di early voting e, infatti, oltre due milioni di elettori si sono già espressi in anticipo. Per quanto ne sappiamo oggi (di sondaggi ne sono stati diffusi davvero pochi e non molto attendibili), resta improbabile che i repubblicani non riescano a mantenere una maggioranza risicata, ma con queste premesse tutto è possibile. Che in ogni caso l’elezione sia molto sentita – avrà delle inevitabili ricadute sulla futura amministrazione e in parte sull’eredità di quella che sta per lasciare l’incarico – è dimostrato dal grado di coinvolgimento di entrambi i presidenti, quello eletto e quello uscente: Joe Biden (insieme a Kamala Harris) e Donald Trump saranno in Georgia tra il 3 e il 4 gennaio a sostenere i “rispettivi” candidati (Jon Ossoff e Raphael Warnock per i Dem; David Perdue e Kelly Loeffler per il Gop).
Abbiamo finito per oggi, questo è stato il 2020 più o meno. Nella nota personale avrei potuto aggiungere che con la newsletter mi sono concesso l’opportunità di seguire le presidenziali americane da una prospettiva inedita rispetto al lavoro che abbiamo svolto, come sempre, a T-Mag, ma era forse un aspetto non rilevante. Mettiamola in questo modo: ci siamo fatti compagnia anche così.
Anno nuovo, suggerimenti vecchi: se tutto questo è di vostro gradimento – lo è, vero? –, perché non invitare gli amici ad iscriversi a Mookie? Magari è più semplice se inoltrate loro questo link. Ah, siamo anche su Instagram!
Auguriamoci un 2021 più sereno: la serenità è ciò di cui adesso abbiamo maggiormente bisogno. Noi ci ritroviamo – stessa modulazione di frequenza – già la prossima settimana.
A presto!