Questa intrusione natalizia è dedicata a chi sarà costretto oggi e domani ad ascoltare – tutto il giorno! – “Christmas” di Michael Bublé. Forza e coraggio.
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A inizio dicembre del 1996, Bill Clinton era stato da poco confermato alla Casa Bianca. Mancava ancora un po’ allo scandalo politico-sessuale tra i più seguiti del secolo scorso, ma di lui, già da tempo, si diceva fosse un incallito sciupafemmine. Tre mesi prima, invece, esattamente il 13 settembre, era morto Tupac Shakur.
Nei primi giorni di dicembre uscì un disco di Natale – sai che novità? –, solo che non era il solito disco di Natale. Era, infatti, il disco di Natale della californiana Death Row Records, tra le più importanti etichette specializzate in musica hip hop. Sul momento nessuno sarebbe stato in grado di prevederlo, ma una compilation di brani natalizi non poteva che rappresentare per la Death Row la fine di un’era, ironia della sorte per una label famosa soprattutto per la sua filosofia gangsta. Cosa stava succedendo da quelle parti? I numeri in superficie sembravano suggerire un buono stato di salute per l’etichetta discografica: a novembre era stato pubblicato l’album postumo di Tupac (uscito, però, con lo pseudonimo Makaveli), The Don Killuminati: The 7 Day Theory, che sommato al precedente All Eyez On Me stava fruttando parecchio, complice l’emotività dei fan dettata dai drammatici eventi di settembre. Sullo sfondo, al contrario, la situazione appariva più oscura. Suge Knight, il boss della Death Row, un tipo tutt’altro che raccomandabile, si trovava in carcere in attesa di processo per violazione della libertà vigilata in quanto coinvolto nella rissa all’MGM Grand Hotel di Las Vegas la sera in cui poi spararono a Tupac. L’ex socio di Knight, Dr. Dre, se ne era andato a marzo, non senza sbattere la porta, per fondare l’Aftermath Entertainment. E altrettanto avrebbero fatto di lì a poco alcuni pezzi pregiati dell’etichetta, Snopp Dogg su tutti. Inoltre cominciavano ad emergere notevoli problemi economici che avrebbero condotto la Death Row ad un lento, ma inesorabile declino, fino alla bancarotta del 2006 e alla definitiva conclusione delle attività due anni dopo. Nel mentre qualche disco di dubbio successo, soundtrack e raccolte non sempre autorizzate. Niente, appunto, che potesse risollevare le sorti di una delle più gloriose scuderie dell’hip hop degli anni ‘90.
Il 1996, dicevamo, fu anche un anno elettorale e a novembre Clinton ebbe la meglio sul repubblicano Bob Dole. Nel 1994 il presidente dem aveva firmato la controversa legge sul crimine, che contribuì ad incrementare il fenomeno dell’incarcerazione di massa, colpendo principalmente gli afroamericani in una spirale di politiche repressive e razzismo sistemico (in questa vicenda sono molte le sfaccettature che chiamano in causa direttamente Joe Biden, prossimo inquilino della Casa Bianca: ci torneremo). Da alcuni anni negli Stati Uniti, che pure stavano sperimentando la famigerata war on drugs, si registrava un aumento della criminalità e l’argomento offrì un assist all’ala più intransigente del Partito democratico, sofferente per l’accusa rivolta dalla controparte repubblicana di essere troppo morbida in materia di sicurezza. Il tema, ovviamente, fu al centro della campagna presidenziale.
Christmas On Death Row uscì, dunque, in un periodo non proprio serenissimo per diversi motivi, alcuni interni all’etichetta e altri più di contesto politico e sociale (un dato per capire la complessità USA: Clinton ottenne comunque l’84% dei voti dei neri e il 73% dei voti degli ispanici). L’album è un concentrato di rivisitazioni di brani natalizi in chiave r’n’b, ma si apre con un pezzo rap di Snoop Dogg (affiancato da Nate Dogg, Daz Dillinger e altri) che dà un senso all’intera operazione: Santa Claus Goes Straight to the Ghetto. Dentro si mescola ogni cosa, dai classici di Natale (lo stesso Snoop Dogg, a un certo punto, propone lo schema ripetitivo di Twelve Days of Christmas, ma più breve per nostra fortuna) ai valori tipici dei giorni di festa (ad esempio quello di stare insieme alla tua gente), passando per i ricordi e gli immancabili riferimenti alla vita di strada. Insomma, una versione aggiornata di James Brown a quasi 30 anni di distanza.
James Brown, 1968
Sì, perché un Babbo Natale nel ghetto era stato già invocato nel 1968 da James Brown, forse il più grande precursore dell’hip hop insieme a Joe Tex (persino la loro rivalità anticipò molte delle cose che avremmo visto più tardi). Il 1968 fu un anno incredibilmente complesso, di contestazioni sparse nel mondo e gli Stati Uniti non fecero eccezione. Quando venne pubblicato il disco A Soulful Christmas di James Brown, era ormai successo di tutto. Richard Nixon aveva vinto le elezioni contro il vicepresidente uscente, Hubert Humphrey. A giugno era stato ucciso Bob Kennedy, a Los Angeles, mentre lasciava l’Ambassador Hotel dopo un impegno elettorale per le primarie democratiche. E prima di lui, a inizio aprile, a Memphis era stato assassinato Martin Luther King. Quest’ultimo avvenimento, in particolare, riguardò da vicino il padrino del soul. Il giorno dopo l’omicidio di King, il 5 aprile, mentre nelle città americane scoppiavano rivolte e violenze, a Boston era in programma un concerto di James Brown. Il sindaco Kevin White decise che l’evento si sarebbe dovuto tenere nonostante il clima teso: l’obiettivo era limitare i disordini e soprattutto i danni. Per questo venne trasmesso anche in tv, nella speranza di convincere le persone a restare in casa. Quella notte, in effetti, verrà ricordata come «la volta in cui James Brown salvò la città di Boston».
In realtà la storia è un po’ meno romantica di così: il Boston Globe ricorda che Brown concordò con l’amministrazione cittadina una cifra non indifferente per compensare la mancata vendita ai botteghini di migliaia di biglietti. Ma la storia ebbe anche un seguito: alcuni mesi dopo il concerto, James Brown incise Say It Loud - I’m Black and I’m Proud, che divenne presto una sorta di inno dei movimenti che nelle più svariate declinazioni facevano riferimento al Black Power. Il brano venne allora inserito in A Soulful Christmas, che come pezzo di apertura presentava Santa Claus Go Straight To The Ghetto.
Santa Claus, uh, go straight to the ghetto
Santa Claus, go straight to the ghetto
Tell him James Brown sent you, huh!
And go straight to the ghettoYou know that I know that you will see
'Cause that was once meHit it! Hit it!
You see mothers and soul brothersSanta Claus, go straight to the ghetto
Santa Claus, oh Lord, go straight to the ghettoFill every stocking you find
The kids are gonna love you so
Fill every stocking you find
You know that they need you so
I'm begging you, Santa Clause
Go straight to the ghetto.
La copertina del disco ritraeva James Brown vestito da Babbo Natale. Oggi in America la figura del Babbo Natale nero è molto richiesta, sembra.
Ps. Per completezza di informazione, il ricavato di Christmas On Death Row andò in beneficenza alla comunità. Ma a dire il vero non se ne è mai saputo granché.
Dice: ma questo pure a Natale rompe le scatole! Intanto è vigilia, e comunque dovevo pur farvi gli auguri, no? Avrei potuto scegliere altre storie, ma ho pensato che queste si legassero meglio alle cose che abbiamo avuto modo di osservare durante l’anno. Ad ogni modo: se vi va, potete rispondere alla mail e fare due chiacchiere con me, se non vi rispondo subito o nelle prossime ore è perché sto mangiando una fetta di qualcosa. A proposito: voi siete più per il panettone o per il pandoro? In alternativa mi trovate su Twitter, Facebook, dove preferite insomma. Inoltre, mi raccomando, approfittate delle feste – nel rispetto delle regole, naturalmente – per consigliare la newsletter ad amici e parenti. Mookie è anche su Instagram!
Buon Natale di cuore, a presto!