Nelle ultime ore ho capito che tenere una newsletter settimanale che ha la “presunzione” di raccontare un pezzettino di America attraverso l’analisi – più o meno accurata – della musica nera e delle sue evoluzioni, può essere complicato. È probabile che in un dato periodo succederà di tutto e che, per ovvie ragioni, non si riesca a stare dietro ad ogni cosa. Se in questa, o nelle prossime puntate, dovessimo “bucare” un argomento, sarà soprattutto a causa di una cernita impossibile da evitare. Ma presto o tardi recupereremo i tasselli mancanti: è un impegno preso.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che «pole pole».
C’è un aneddoto che più di altri mi torna alla mente quando penso a DMX.
Era il 2005, DMX si trovava in Germania per un concerto e venne accusato di aver aggredito due persone nel bagno del club in cui si era esibito. Dalle successive ricostruzioni venne fuori che sbroccò perché uno dei tizi gli disse qualcosa tipo: «Sei forte, ma Lil Jon lo è di più». Ora, data la diversità dei personaggi chiamati in causa, il confronto non reggeva un po’ a prescindere, e in tutta onestà sarei pronto a scommettere che chiunque al posto di DMX sarebbe saltato allo stesso modo. Ma la vicenda – non sappiamo come si sia poi conclusa – è piuttosto riepilogativa della vita, artistica e non, di uno dei rapper più irrequieti e famosi di sempre.
DMX è morto una settimana fa (aveva 50 anni), la notizia è stata data poco prima dell’invio della vostra newsletter di fiducia. Ed è probabile che in questi giorni abbiate appreso molto su di lui, leggendo gli articoli e i ricordi dei colleghi. Oppure è possibile che siate suoi grandi fan, perciò non la faremo troppo lunga. Promesso.
Un amico (Cristiano, che dovrebbe essere all’ascolto) ha scritto su Twitter dopo avere appreso della morte di DMX, venerdì scorso: «Questo album ha fatto la storia dell’hip hop e reso praticamente inutile il tasto shuffle, nel lettore cd». Si stava riferendo a It's Dark and Hell Is Hot, che di Earl Simmons, DMX appunto, rappresenta il debutto discografico. L’album uscì per Ruff Ryders e Def Jam a maggio del 1998, quando aveva appena compiuto 28 anni.
L’esordio apparentemente tardivo non era una novità nell’hip hop, specialmente in quel momento storico, anche se si era nel giro da un pezzo. JAY-Z, un nome ricorrente nella stessa carriera di DMX (i due si conoscevano da tempo, hanno collaborato in diverse occasioni, mentre in altre si sono “scontrati” come nelle migliori tradizioni rap), pubblicò il suo primo disco a 27 anni, nel 1996. Uno schema simile verrà replicato nei primi 2000 da 50 Cent e Kanye West: storie molto diverse, ma tutte di grandissimo successo. Quella di DMX, però, è stata la più tormentata, anche nell’epoca di qualsiasi-cosa-riguardi-Kanye-West-è-una-notizia.
Il 1998 non fu un anno facile, per l’hip hop (ok, vero, non lo fu anche per Clinton). C’era molto da sistemare: furono mesi di assestamento dopo la tragica stagione delle morti eccellenti e tutti gli stravolgimenti in qualche misura collegati. In quel periodo, ad esempio, Snoop Dogg usciva con Da Game Is to Be Sold, Not to Be Told sotto No Limit Records di Master P, il suo primo album dell’era post-Death Row. Si affacciarono giocatori nuovi, decisi a competere in campionati allargati, come i Black Eyed Peas con Behind The Front, e altri più orientati ad accaparrarsi le briciole a New York – Cam'ron (Confessions Of Fire) e Noreaga (N.O.R.E.) –, che dopo Notorious B.I.G. era ufficialmente contesa da JAY-Z e Nas, sebbene il primo non fosse lo stesso di due anni prima (la sua carriera riprenderà slancio, ironia della sorte, l’11 settembre 2001, con l’uscita di The Blueprint, il disco da cui emergerà un talentuoso produttore: Kanye West).
Nel 1998 uscirono inoltre due capolavori, Aquemini degli OutKast e The Miseducation Of Lauryn Hill, album (in particolare il secondo) destinati ad essere discussi e analizzati per molti anni a seguire. Ma quando a maggio gli scaffali dei negozi si riempirono delle copie di It's Dark and Hell Is Hot, fu subito chiaro che si trattava di un instant classic. Con DMX, i fan dell’hip hop avevano di nuovo una specie di Tupac da venerare. L’album andò così bene da giustificare l’immediata pubblicazione di un secondo progetto, lo stesso anno: Flesh of My Flesh, Blood of My Blood, che arrivò poco prima di Natale, rivelandosi una fruttuosa mossa commerciale.
Se siete alla ricerca di un rapper che incarni da un lato tutti gli stereotipi e dall’altro tutti i problemi dei neri in America, quello è DMX: ha raffigurato l’archetipo del rapper dannato – o meglio, di quanto possa essere dannatamente difficile essere un nero in America, benché rapper –, una macchia indelebile nella sua esistenza. Cresciuto a Yonkers, padre assente e madre single che lo abbandonerà da piccolo (episodi raccontati nei giorni scorsi dall’amica Roxanne Shante e che lo segneranno per sempre, come ricorda in prima persona nella sua autobiografia, E.A.R.L.), problemi a non finire con la giustizia, su e giù di prigione, ennesima vittima dell’epidemia di crack (un anno fa, intervistato da Talib Kweli, DMX disse di essere stato esposto alla droga – un demone che lo accompagnerà fino alla morte – dalla stessa persona che lo introdusse nel gioco del rap, Ready Ron, che però nega di avere avuto un ruolo del genere), contraddizioni senza soluzione di continuità (amava i cani, li allevava e li “cantava” nei suoi brani, eppure è stato talvolta accusato di maltrattamenti). In più, per non farsi mancare nulla, fu anche lui artefice di alcuni degli stereotipi più diffusi sui neri: leggenda vuole che avesse 15 figli, molti dei quali non riconosciuti. Gli ingredienti per un film già scritto non mancano, come potete vedere.
Se per JAY-Z fu, a un certo punto, quasi una scelta ponderata quella di ritardare il proprio esordio discografico – come del resto sarà qualsiasi sua decisione presa in futuro –, per DMX fu al contrario una scelta obbligata. Nel 1992 cominciava già a farsi notare e a incidere qualche brano, ma i guai in cui si cacciava di volta in volta gli impedivano di dedicarsi al rap a tempo pieno. La svolta arrivò nel 1997, con la partecipazione, insieme ad altra gente, in 4, 3, 2, 1 di LL Cool J – pezzo divenuto famoso per lo scazzo interno tra LL e Canibus –, in due brani (Take What’s Yours e 24 Hrs. to Live) del primo album di Mase, Harlem World, targato Bad Boy Records, e in Money, Power & Respect dei Lox, uscito a inizio ‘98, sempre per Bad Boy.
La dimensione artistica di DMX si è concentrata, fin dall’inizio, nella spasmodica ricerca di redenzione, che spesso poteva confondersi con vere e proprie richieste di aiuto. Così, oltre alle hit e ai club anthem – Party Up, X Gon’ Give It To Ya, Get It on the Floor o Where the Hood At –, il repertorio si è mano a mano riempito di canzoni più struggenti, tipo Slippin’.
Infine la religione, altro tema ricorrente nelle opere di DMX e strettamente connesso ai tormenti interiori, con incursioni qua e là nel gospel (nel 2019 lo abbiamo visto prendere parte ad uno dei Sunday Service di Kanye West).
Nel report Mental Health: Culture, Race, and Ethnicity del 2001, veniva osservato come le avversità storiche e l'esclusione razziale dalle risorse sanitarie, educative, sociali ed economiche, si siano spesso tradotte, per molti afroamericani, in disparità a loro volta legate alla salute mentale (che è più a rischio tra le persone in povertà). In relazione allo status sociale ed economico, poi, gli afroamericani presentano maggiori possibilità di entrare a far parte di quei segmenti di popolazione ritenuti “ad alto bisogno”: senzatetto, detenuti o individui con problemi di uso di droghe. Dati più recenti mettono in evidenza che i tassi di abuso di sostanze tra gli afroamericani siano simili a quelli della popolazione statunitense generale, ma restano delle discrepanze sparse. Discorso analogo per le condizioni di salute mentale, che tra i neri e gli afroamericani (una distinzione in realtà oggi doverosa, ci torneremo) sono più o meno le stesse di quelle degli americani bianchi. Tuttavia, viene fatto notare anche qui, l'esperienza storica dei neri continua ad essere caratterizzata da traumi e violenza più di quanto avvenga tra i bianchi, cosa che ha un impatto sulla salute mentale di giovani e adulti. Sebbene in diminuzione, il razzismo nella sua complessità – dagli stereotipi agli atteggiamenti di rifiuto – resta motivo di conseguenze negative misurabili.
Niggas wanna try, niggas wanna lie
Then niggas wonder why niggas wanna die
All I know is pain, all I feel is rain
How can I maintain with that shit on my brain?
I resort to violence, my niggas move in silence
Like you don't know what our style is, New York niggas the wildest
My niggas is with it, you want it? Come and get it– DMX, Ruff Ryders’ Anthem, It’s Dark and Hell is Hot, 1998
Pur con tutte le sue debolezze e i suoi fallimenti, o forse proprio per le sue debolezze e i suoi fallimenti, DMX è stato un megafono per un’intera generazione di dimenticati in America.
Altre cose interessanti
In questa settimana, gli stream del catalogo musicale di DMX sono aumentati del 928% negli Stati Uniti.
Coinbase, la più grande piattaforma di scambio di criptovalute, è sbarcata a Wall Street: la società è stata quotata al Nasdaq per 381 dollari ad azione (in rialzo del 52,4%), per una valutazione complessiva che ha sfiorato i cento miliardi di dollari. Tra i più felici c’è sicuramente Nas, che è stato uno dei primi investitori nella società. E anche il campione NBA, Kevin Durant.
Considerata la premessa, stavolta l’invito vale doppio: dubbi? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, se vi va, oppure commentare o scrivermi su Twitter, Instagram, Facebook. Se Mookie vi piace, iscrivetevi e fate iscrivere le amiche e gli amici alla newsletter.
È tutto per questo venerdì, a presto!