Stando ai rumors, presto potrebbe arrivare qualcosa di nuovo di Kendrick Lamar. E prima che fare l’esegesi dei suoi testi si trasformi in sport nazionale, ci prendiamo del tempo per analizzare un album uscito poche settimane fa, forse un po’ in sordina dalle nostre parti, in ogni caso meritevole di attenzione.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che nella settimana di Sanremo regala fiori (per non essere da meno).
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C’è un filo invisibile che lega Bronzeville a Buffalo. Mettere sullo stesso piano Gwendolyn Brooks e Che Noir può essere troppo, chiaramente, eppure sono molti gli elementi che si intrecciano di decennio in decennio attorno a quel filo invisibile. Certo, non può esserci un confronto sul piano letterario, ma se accettiamo il teorema che il rap è la nuova poesia, se vogliamo insomma compiere tale sforzo pur considerando le diverse declinazioni che il rap ha poi assunto nel tempo, allora il filo non sarà più tanto invisibile. Ma procediamo con ordine, per quanto possibile.
Negli ultimi anni New York ha derogato alla sua abitudine di fare rap alla vecchia maniera, giovani artisti che hanno modelli sparsi e che non mirano più esclusivamente a Illmatic di Nas. Al contrario, oggi una buona fetta di hip hop underground arriva dall’Upstate, la porzione di Stato a nord dell’area metropolitana di NYC. Per capirci: molto più a nord di Mount Vernon, il luogo di origine di DMX. Buffalo è il centro nevralgico di questo riavvicinamento allo stile anni ‘90, in particolare grazie al successo ottenuto dalla Griselda Records, l’etichetta fondata nel 2012 da Westside Gunn.
Buffalo è una città che racchiude tutti gli stereotipi dei posti, cinematografici e non, ai margini del sogno americano. Situata al confine con il Canada, presenta un alto tasso di criminalità, povertà, quartieri sofferenti, difficoltà diffuse. È questo il contesto in cui è cresciuta Marche Lashawn, in arte Che Noir.
Il 21 gennaio è uscito Food For Thought, il nuovo disco di Che Noir, un viaggio intimo in cui l’artista esplora la sua vita, tra fede, duro lavoro e tenacia. Il cibo, che pervade l’album (Split The Bread, Eat Or Starve, Bless The Food eccetera…), è un tropo narrativo, come da migliori tradizioni hip hop, utile in questo caso a sottolineare una consapevolezza che si autoalimenta fino al livello successivo. Allo stesso modo di Annie Allen, protagonista di una delle opere più famose di Gwendolyn Brooks che le valse, prima afroamericana, il Pulitzer per la poesia nel 1950, anche Che Noir si mette in luce in un crescendo di determinazione e concretezza che definiscono l’ambizione, in quanto donna nera, di allontanare l’annosa etichetta di anello debole (un esempio è Ladies Brunch con Armani Caesar e 7xvethegenius).
I could never stress one dude
Hit the booth, check, one, two
Best rapper alive, shit, I’m better than the dead ones too– Che Noir, Ladies Brunch, 2022
Il cibo non è un tratto distintivo della poesia di Gwendolyn Brooks, al limite un espediente, come in The Bean Eaters, che aiuta l’autrice a puntellare uno scenario di inadeguatezza, sociale e politica, che caratterizza soprattutto in quegli anni l’esistenza della minoranza nera. Nella poesia di Brooks c’è un costante confronto con l’America bianca, mentre avanza il movimento per i diritti civili. La Bronzeville di Brooks diventa dunque la cornice di un quadro decisamente più ampio: quale luogo migliore della Black Metropolis di Chicago, memoria storica di un’area urbana che è stata tra le principali destinazioni negli anni della grande migrazione e culla del blues?
Per Che Noir è praticamente lo stesso, ma anni più tardi in un luogo diverso. Un percorso, artistico e individuale, che comincia e si sviluppa a Buffalo e che a Buffalo trova il suo scopo: ciò che ha visto e vissuto nelle strade della città è quanto di più reale riesca a raccontare per esperienze, talvolta dolorose, sacrifici e dedizione.
Nel 2021 Buffalo ha goduto di una centralità mediatica come non le capitava da tempo. Alle primarie democratiche in vista delle elezioni del 2 novembre, il sindaco uscente Byron Brown era stato superato da India Walton, attivista 39enne che si definisce socialista democratica (la sua vicenda umana racchiude molte delle cose già affrontate in questa umile newsletter), in una situazione che a molti aveva ricordato quella di Alexandra Ocasio-Cortez quando nel 2018, prima della trionfale corsa al Congresso, sconfisse nel quattordicesimo distretto di New York “l’istituzione dem”, Joseph Crowley. India Walton, da sindaca designata, incontrò Che Noir in un’occasione pubblica in cui manifestò interesse per gli artisti locali.
Siccome il Partito repubblicano a quelle latitudini quasi non esiste, la vittoria lanciata di Walton, sostenuta proprio da AOC e anche da Bernie Sanders, proiettava Buffalo – lo Stato di New York in generale – in una versione accelerata di liberal utopia. Invece a novembre Brown è stato confermato sindaco con il 59% delle preferenze, dopo una campagna condotta da write-in candidate, senza avere cioè il proprio nome sulla scheda, riuscendo a convincere chi, evidentemente, riteneva la probabile “via socialista” un rischio per la città (e mostrando, dunque, non poche crepe tra i democratici).
Buffalo è una città governata dalle disuguaglianze, la terza più povera degli Stati Uniti (una povertà trasversale, che riguarda tutti i segmenti di popolazione) e alle prese con la gentrificazione (anche se, durante la pandemia, i problemi di tipo residenziale e abitativo sono cresciuti un po’ ovunque). Nemmeno lo sport ha aiutato granché nel corso della sua storia recente. Nei primi anni ‘90 i Buffalo Bills erano una delle squadre NFL più competitive, in grado di partecipare a quattro Super Bowl consecutivi: 1990, 1991, 1992 e 1993. Vittorie? Zero. Perciò i nuovi fenomeni musicali della zona, Che Noir in testa, contribuiscono ad una vivacità artistica che per la città è aria fresca.
The lord of glory
Let the church say amen
Anybody else wanna come up here and give they testimony
During this communion day?
Anybody wanna share they story?
Sister Black, wanna come on up here and talk to us?
Come on up here, sister Black, come on
Talk to these people– Che Noir, Communion, 2022
Food For Thought sarebbe dovuto uscire a novembre 2021, ma è stato posticipato a inizio 2022. Il brano che chiude l’album, Communion, è una confessione a scena aperta in cui l’artista analizza le perdite – il fratello morto in modo violento a maggio dello scorso anno in Virginia – e i traumi per gli abusi subiti e le dipendenze. In poche strofe c’è tutto il suo mondo, descritto con crudezza di linguaggio. Si tratta spesso di una questione di individuazione dell’audience, che in qualche misura ha sempre condizionato la poesia nera, non da ultima quella di Gwendolyn Brooks mano a mano che si manifestava in lei una piena coscienza politica. Qui la ventisettenne Che Noir si fa portavoce di tante giovani donne nere.
I became a bride to my wealth
Tossed dimes in a well, cry out for help, my eyes on a sale
Risin’ from Hell, but I could never lie to myself
Was a shy girl, quiet as hell, dealt with anxiety
They put me in them special ed classes and tried deprivin’ me
Mental health not addressed in our society
Never was a highlight, my thoughts like, “Why try?”
Che Noir ha ottenuto grande visibilità nel 2020, grazie alla collaborazione con il produttore di Detroit, Apollo Brown, in As God Intended. Negli anni precedenti, invece, Che si era dedicata alla pubblicazione di ep e mixtape, ricevendo importanti apprezzamenti da parte di Benny The Butcher – altro importante nome a Buffalo della galassia Griselda – e di alcune colleghe quali Rapsody e Sa-Roc, tra le rapper più influenti di questa epoca. Ma dietro i primi progetti si cela 38 Spesh, produttore di Rochester, città anch’essa dell’Upstate, che ha voluto scommettere su di lei, facendola entrare nel suo TRUST Comes First Music Group (38 Spesh compare in una traccia di Food For Thought, Table For 3). Ma considerando che l’intera puntata è stata già di per sé un incredibile azzardo, non andiamo oltre: 38 Spesh come Langston Hughes sarebbe troppo persino per Mookie.
Altre cose interessanti
In questi giorni è un gran parlare di Spotify e della responsabilità sui contenuti presenti nella piattaforma. Dopo la richiesta di Neil Young – di fatto accolta dall’azienda svedese – di rimuovere la sua discografia, una dura risposta alle notizie false su vaccini e pandemia diffuse da Joe Rogan e dai controversi ospiti del podcast in esclusiva per Spotify – The Joe Rogan Experience, appunto –, il dibattito è diventato più aspro di quanto lo sia mai stato in passato. Non è questa la sede più opportuna per entrare nel merito di una questione che resta estremamente complessa – chi ne sa, tipo Zack O’Malley Greenburg, osserva che «Spotify non ha bisogno di Young, ma ha bisogno di Rogan» (tradotto: è solo business) –, ma è forse interessante leggere quanto sul tema hanno da dire Dan Runcie di Trapital e Evan Armstrong di Napkin Math. Sintesi brutale: per quanto possiamo ritenere Spotify il male assoluto, l’impatto che ha avuto è stato di vitale importanza per l’industria musicale e ha aiutato gli artisti a ottenere più attenzione. Un ulteriore spunto di riflessione – così ognuno può trarre le proprie conclusioni anche se, diciamocelo francamente, di piattaforme per ascoltare musica c’è ormai l’imbarazzo della scelta (Mookie sta usando TIDAL da prima che scoppiasse il casino, per quello che conta) – riguarda le iniziative dell’azienda per favorire l’accesso ai creatori neri.
Cordae ha pubblicato, in collaborazione con Billboard, una playlist (su Spotify, ovvio) dal titolo Still Making History, in occasione del Black History Month.
Mentre aspettiamo Donda 2 – c’è una data di uscita, verrà rispettata? – Kanye West ha tenuto a farci sapere, su Instagram, cosa pensa degli NFT.
Quando ci risentiremo, avremo da poco superato la sbornia da Halftime Show. Siete pronti per l’evento dell’anno? Magari ne riparleremo, oppure no. Molto dipenderà dall’esibizione di Dr. Dre, Eminem, Mary J. Blige, Kendrick Lamar e Snoop Dogg. Staremo a vedere.
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Ci leggiamo tra due venerdì, a presto!