Di tanto in tanto capita che alcune storie che apprendiamo dagli Stati Uniti siano fuori dalla nostra portata, date le differenze culturali, polemiche o dibattiti su questioni che fatichiamo a comprendere. Stavolta il pretesto arriva dalla Virginia. Ma a dirla tutta non è niente di particolarmente pruriginoso, anzi...
Bentrovati su Mookie, la newsletter che questa settimana non è in fascia protetta.
Hey girl, ain’t no mystery
At least as far as I can see
I want to keep you here
Laying next to me
Sharing our love between the sheets– The Isley Brothers, Between the Sheets, 1983
I knew a girl named Nikki
I guess you could say she was a sex fiend
I met her in a hotel lobby
Masturbating with a magazine
She said, “How’d you like to waste some time?”
And I could not resist when I saw little Nikki grind– Prince and the Revolution, Darling Nikki, 1984
Nel 2012 una madre della Virginia ingaggiò una battaglia legale/culturale. L’obiettivo era ottenere per le famiglie il controllo sulle letture scolastiche proposte agli studenti, soprattutto sui testi espliciti. In questi casi, secondo la donna, l’ultima parola dovrebbero averla i genitori.
Laura Murphy si convinse della cosa dopo che suo figlio Blake, all’epoca un ragazzo all’ultimo anno di liceo, ebbe incubi per alcune notti. Aveva letto Beloved di Toni Morrison (Amatissima nella traduzione italiana), romanzo che, sebbene pubblicato nel 1987, è considerato un classico della letteratura afroamericana, vincitore del Pulitzer. Il libro, a suo dire, aveva turbato il giovane a causa dei contenuti (anche sessualmente) espliciti. La battaglia arrivò, in un percorso lungo e tortuoso, fino al Congresso statale e nel 2016 venne approvata una legge che avrebbe concesso ai genitori la possibilità di rifiutare per i propri figli le letture assegnate a scuola, se ritenute inappropriate. Ma la legge non vide mai davvero la luce, perché l’allora governatore della Virginia, il democratico Terry McAuliffe, pose il veto due volte.
Di certo la vicenda ha niente a che fare con gli atteggiamenti censori del passato, tipo quelli dell’era Nixon con il caso Miller v. California del 1973 – Marvin Miller era un editore di pubblicazioni erotiche che fu coinvolto in un processo per pornografia dopo avere organizzato una campagna pubblicitaria per corrispondenza di alcuni volumi, tra i quali spiccavano Africa’s Black Sexual Power e I, a Homosexual –, con cui la Corte Suprema inasprì la precedente “sentenza Roth” (che già andava nella medesima direzione), dichiarando che la vendita e la distribuzione di materiale giudicato osceno non erano protette dalla libertà di parola sancita dal primo emendamento della Costituzione e che un’opera esplicita, per essere garantita, doveva mostrare tra le altre cose «un serio valore letterario, artistico, politico o scientifico». Né si potrebbe concludere che la battaglia di Laura Murphy sia un’espressione della Bible Belt, in cui riecheggiano le sacche di popolazione più bigotte. Anche in questa vicenda, però, emergono tutte le incomprensioni che attestano l’esistenza di “due Americhe”, ancora oggi poco inclini al dialogo.
Se ne stiamo parlando, veniamo al sodo, è perché alle ultime elezioni in Virginia per il governatore – vinte poi dal repubblicano Glenn Youngkin ai danni proprio di McAuliffe, il quale si era ricandidato dopo la precedente esperienza amministrativa dello Stato dal 2014 al 2018 –, le convinzioni della signora Murphy e il malessere condiviso di tante famiglie sono, d’un tratto, diventati il caso politico della campagna elettorale. Perciò Laura Murphy è stata la protagonista di uno spot del futuro governatore.
Beloved, il libro sotto accusa, ripercorre la storia (autentica in alcuni frammenti) di una donna nera che nel 1856, riuscita a fuggire solo un istante dalla schiavitù, compie il gesto estremo di uccidere la figlia piccola per risparmiarle le atrocità che altrimenti l’avrebbero attesa. All’interno del romanzo sono presenti racconti di violenze e di stupri, una ricostruzione storiografica piuttosto frequente, che secondo diversi intellettuali è indispensabile per spiegare cosa sia stato lo schiavismo in America. Ma oggi, tra i conservatori, sono in molti a reputare gli studi sul razzismo sistemico e la critical race theory dottrine pericolose, dedite ad un’educazione che imprime nei bianchi il fardello del “peccato originale”. Youngkin si è fatto portavoce di tali istanze – questioni che in estate interessarono anche il Texas –, promettendo il divieto nelle scuole della Virginia di diffondere «teorie radicali».
A lungo i corpi neri sono stati rappresentati in maniera stereotipata dall’industria culturale mainstream. Da un lato c’erano gli uomini, predatori seriali (di donne bianche): un luogo comune utile addirittura a demonizzare gli ambienti legati alla musica jazz, che a inizio ‘900 furono occasioni di contatto fondamentali tra le due Americhe. Dall’altro lato c’erano le donne, “promiscue” se non “predatorie” a loro volta, un cliché ereditato dal periodo schiavista che incredibilmente ancora oggi, rinnovato nella forma, alimenta i pregiudizi su temi quali sessualità e maternità.
In qualche misura le stereotipizzazioni sono diventate un pezzo narrativo consistente, che nell’hip hop hanno trovato un plot definito. I rapper bravi al microfono e bravi a letto – vezzo che rintracciamo nei 2 Live Crew (prendete un brano a caso), in Dr. Dre (The Doctor’s Office, 1992), in Ice Cube che chiude la sua giornata perfetta con un appuntamento sessuale descritto nei minimi dettagli (It Was a Good Day, 1992), o in Notorious B.I.G. (Fuck Me - Interlude, 1994) – hanno favorito la visione machista di fine ‘80, ‘90 e dei primi anni Duemila, arrivando poi a un’inversione di rotta – che musicalmente va da Frank Ocean a Lil Nas X, passando per Janelle Monáe – dovuta alle evoluzioni di pensiero che ruotano attorno alle più recenti conquiste sociali. Ad ogni modo i contenuti espliciti, quelli che da alcuni decenni, specie nell’hip hop, vengono etichettati con la dicitura PARENTAL ADVISORY - EXPLICIT CONTENT, sono il risultato di un processo che anch’esso, almeno in parte, è legato all’orgoglio nero e all’identità.
A dispetto dei vari tentativi di censura di prodotti che potevano essere ritenuti “osceni”, è negli anni ‘70 che tutto ha avuto inizio. È un modo sicuramente sbrigativo di affrontare l’argomento, ma è anche il più comodo per provare a fissare il contesto storico. Leon Haywood incise nel 1974 una canzone che era un programma già nel titolo: I Want’a Do Something Freaky To You. La melodia ammiccante, per di più accompagnata da gemiti femminili, è forse uno dei momenti più allusivi della compiuta e fiera consapevolezza dell’estetica nera, ormai proiettata oltre gli steccati di una società segregata che stava imparando a conoscersi più dalle immagini dei media che non attraverso le relazioni interpersonali. Ciò che si stava delineando era il consolidamento di una “musica da camera da letto” in contrasto con le formule chiuse di un pezzo importante di America, nonostante il largo successo di Playboy e delle riviste concorrenti. In linea con le trasformazioni sociali del periodo – le tante rivoluzioni culturali del ‘68, inclusa quella sessuale –, diverrà in una fase successiva la cifra stilistica di numerosi artisti, da Prince fino a D’Angelo. Quanto a Leon Haywood, peccato che I Want’a Do Something Freaky To You viene ricordata principalmente per il classico hip hop del 1992, Nuthin’ But A “G” Thang di Dr. Dre.
Your love looks like a mountain
And I’d love to slide down into your canyon
In the valley of love
I won’t rest (I won’t rest) until I bring joy and happiness– Leon Haywood, Something Freaky To You, 1974
I ‘70 furono gli anni che diedero seguito al manifesto di James Brown (Say It Loud - I’m Black and I’m Proud), dei balli sfrenati a Soul Train, del potere nero che ambiva a qualcosa di più grande dopo la lunga stagione dei diritti civili e la morte di Martin Luther King. Arrivati finalmente a questo grado di coscienza, mostrare corpi slegati dai vecchi stereotipi era come mettere una firma sul mondo, un omaggio alla bellezza (Black is Beautiful) e, inoltre, un antidoto alla paura e alla vergogna. In questo senso un formidabile contributo giunse dalla blaxploitation, che fu anche un’intromissione di Hollywood, vero, ma quelle storie di droga, violenza, antieroi e papponi, cioè i “nuovi” stereotipi maschili, ebbero il merito di mostrare all’America bianca uno spaccato – edulcorato – di vita nel ghetto. Ed è nell’universo della blaxploitation che il soul e il funk trovarono un’ulteriore affermazione, con memorabili colonne sonore come quelle di Isaac Hayes per Shaft (diretto da Gordon Parks, 1971) o di Curtis Mayfield per Super Fly (diretto stavolta dal figlio di Parks, Gordon Parks Jr., 1972). Dischi che non mancavano di esplorare la sensualità – è il caso di Give Me Your Love di Mayfield –, riflesso di scene e immagini che erano senza dubbio una novità per i film di allora.
Quelle pellicole avevano tuttavia un difetto, tipico del cinema in generale. Le donne continuavano a essere raffigurate in una specifica cornice – il retaggio culturale delle “maschere” Mammy, Jezebel e Sapphire –, secondo etichette e comportamenti codificati: un quadro sfidante per Betty Davis e per la sua rivoluzione sessuale, una spinta femminista a cui gli Stati Uniti erano poco preparati. Il pubblico di riferimento sembrava non avere grossi problemi con il funk esplicito se a suonarlo erano gli uomini, mentre la prospettiva cambiava di colpo quando era una donna a cantare di determinate cose. Anche la NAACP boicottò la musica di Betty Davis, ma la sua opera emancipativa – che in precedenza era stata propria delle icone del blues, Ma Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday, come ricorda Angela Davis in Blues Legacies And Black Feminism – spianerà in futuro la strada di artiste come Macy Gray e Jazmine Sullivan e via via nell’hip hop, dalle Salt-N-Pepa a Cardi B e Megan Thee Stallion.
I used to tie him up
Yeah, he couldn’t get enough
Nah, he’d be on the floor
Oh, begging me for more– Betty Davis, He Was a Big Freak, 1974
Everybody shake it
Time to be free amongst yourselves
Your mama told you to be discreet
And keep your freak to yourself
But your mama lied to you all this time
She knows as well as you and I
You’ve got to express what is taboo in you
And share your freak with the rest of us
Cause it’s a beautiful thing
A beautiful thing
A beautiful thing
This is my sexual revolution– Macy Gray, Sexual Revolution, 2001
Bitch, get it together, bitch
You don’t know who you went home with, who you went home with again
Was it your friend? Or a friend of a friend? (Was he a?)
Was he a four? Or was he a ten? (I know)
And my mama wouldn’t like it if she knew about (All my)
All my rendezvous’ and all my whereabouts (I keep on)
I keep on pilin’ up bodies on bodies on bodies
Yeah, you gettin’ sloppy, girl– Jazmine Sullivan, Bodies (Intro), 2021
La rappresentazione del corpo, quindi, è un aspetto tutt’altro che trascurabile. Nella storia americana, in particolare, definisce elementi quali sfruttamento, distruzione, coscienza. È il motivo per cui spesso il corpo viene sovraesposto, al di là dei valori che l’operazione può racchiudere. Gli Ohio Players, per primi, hanno rimarcato diverse ambiguità nelle immagini seducenti delle copertine dei loro dischi (specialmente nel periodo alla Westbound, con Joel Brodsky alla macchina fotografica), tra catene e pose dominanti della modella Pat Evans, il cui look dalla testa rasata provocava i tradizionali canoni estetici femminili, riconducibili all’archetipo della bellezza bianca.
La rappresentazione del corpo è soprattutto un esercizio di memoria collettiva, trascinata nel corso degli anni, esasperata, anche in maniera talvolta controversa, dalla cultura hip hop, con lo scopo di filtrare tutti i tipi di esperienze, comprese quelle più traumatiche. Così il corpo, oggi ancora vulnerabile, si conferma lo strumento per plasmare un’identità sociale, in stretta relazione con i corpi straziati e descritti nei romanzi di Toni Morrison e con gli strange fruit di Billie Holiday, assumendo però ora molteplici significati.
Si va dall’erotismo di D’Angelo…
…alla ribellione di Erykah Badu…
…dal rifiuto degli schemi costituiti di Janelle Monáe…
…alla “gioia sovversiva” di Lil Nas X.
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Siamo ai saluti. Puntata difficile, devo ammettere. L’argomento è complesso e non può certo esaurirsi qui. Non abbandoniamo le buone abitudini: domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, iscrivetevi e fate iscrivere le amiche e gli amici alla newsletter!
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