Quando lo scorso anno la Corte Suprema degli Stati Uniti decise di mettere fine ai criteri di ammissione negli atenei e nei college fondati sul principio di un maggiore equilibrio demografico, le persone si chiesero: e adesso? Una domanda ripetuta spesso a causa dei ribaltoni che hanno stravolto protocolli consolidati e ricondotto il paese indietro di qualche decennio, costringendo i singoli Stati a muoversi in ordine sparso. È stato così sull’aborto dopo la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization del 2022; è così dopo lo stop all’affirmative action del 2023.
This is what… this what they want, huh?
This is what it’s all about
What? Time to take Affirmative Action, son
They just don’t understand, you know I mean?
N***** comin’ sideways, thinkin’ stuff is sweet, man– Nas feat. AZ, Cormega & Foxy Brown, Affirmative Action, 1996
I numeri parziali sulle iscrizioni mostrano i primi cambiamenti sostanziali nella composizione dei corpi studenteschi, anche se non si registrano ovunque alla stessa intensità. C’è chi fa notare che le discrepanze potrebbero dipendere dalla raccolta dati non omogenea, che varia da istituto a istituto. In ogni caso è l’ennesimo territorio di scontro ideologico tra quanti ritengono la pratica ancora necessaria per arginare le discriminazioni e quanti sostengono che sia nient’altro che una mossa ruffiana, poco incline ad una selezione davvero meritocratica. Però resta che per molti negli Stati Uniti (come in altri angoli di mondo) trovare la propria strada sia particolarmente proibitivo.
L’abbandono scolastico tra i 16-24enni è diminuito dal 7% del 2012 al 5,3% del 2022. Nonostante i progressi – a ritmi elevati soprattutto tra le minoranze –, il fenomeno coinvolge i giovani nativi, latini e neri più dei bianchi. Nel libro vincitore del premio Pulitzer di Robert Samuels e Toluse Olorunnipa, Il suo nome è George Floyd, viene spiegato come Floyd sia stato dapprima vittima di un sistema incapace di far splendere il suo valore. È un approccio che in certi ambienti si fatica ad accogliere come possibile e la retorica incendiaria di questi anni, portata agli estremi, non aiuta. Mancano quattro giorni alle elezioni presidenziali americane.
Johnny don’t wanna go to school no more
Johnny said books ain’t cool no more
Johnny wanna be a rapper like his big cousin
Johnny caught a body yesterday out hustlin’
God bless America, you know we all love him– Kendrick Lamar, XXX, 2017
Ogni ciclo elettorale ha le sue narrazioni. Nel 2020 fu un mix di caos pandemico e tensioni razziali – situazioni che in diversi momenti si incastrarono alla perfezione –, nel 2024 il tema immigrazione ha raggiunto vette di esasperazione che mai prima d’ora. Poi l’economia, certo: l’economia c’è sempre. Ne abbiamo sentite tante in questa campagna e la sensazione è che non finiranno il 5 novembre.
Ciao! Qui Mookie, una newsletter di Fabio Germani che racconta pezzi sparsi di America attraverso il rap e la musica nera, e che per l’appuntamento prima del voto giunge in formato ridotto. Per contribuire al progetto, basta poco: un like, una condivisione, il passaparola, un caffè. Ogni vostro piccolo gesto può fare la differenza: grazie!
Il 25 ottobre è uscito The Lotus Child, progetto musicale di Che Noir. Qualcuno qui “all’ascolto” da parecchio potrebbe ricordare il «filo invisibile» che immaginammo legarla alla poesia di Gwendolyn Brooks. Il paragone fu spericolato, ma il filo tende nel medesimo percorso di accettazione e crescita individuale, in mezzo a contesti che fanno da cornice all’esperienza di donna nera, bilanciando sfera intima e bolla politica. Brani come Black Girl, Sister Act e Jodie Landon sono ora la rappresentazione di una consapevolezza rimessa a nuovo, più solida e più tangibile.
Il 2024 ha evidenziato una notevole presenza di donne nel panorama hip hop, con dischi strepitosi come Alligator Bites Never Heal di Doechii e Please Don’t Cry di Rapsody, il ritorno di MC Lyte con 1 of 1 e All About Love: New Visions di Akua Naru, Latto, Megan Thee Stallion e molte altre. Un trend che è opportuno sottolineare intanto perché il tradizionale predominio maschile sul rap è sempre meno intoccabile e inoltre perché appare fin troppo significativo per essere una coincidenza.
No more hushin’ it, it’s an epidemic
We discussin’ it, no more “Wait a minute”
We had enough of it, roughin’ us, cuffin’ us up
Leavin’ us all dependent on public defenses, it’s a menace
They got us twisted, Black skin don’t mean we monolithic– MC Lyte feat. Stevie Wonder & Common, Change Your Ways, 2024
Siccome ogni ciclo elettorale ha le sue narrazioni, nelle ultime settimane le principali attenzioni di analisti e commentatori sono state rivolte ai maschi neri che preferiscono Donald Trump a Kamala Harris, una fascinazione che secondo un sondaggio della NAACP si starebbe sgonfiando e che secondo altri sarebbe al contrario sovrastimata, se non addirittura inesistente nel confronto con il 2020. Nella sua newsletter Culture Fries, il giornalista Touré afferma che la vera sfida per Harris è riuscire a convincere i maschi bianchi con un’istruzione universitaria a votare per lei. Le elezioni non si vincono a compartimenti stagni, ma in compenso si scorge una spaccatura nelle opinioni di uomini e donne1. Non può dirsi una sorpresa, dopotutto.
«Sono qui come madre, una madre che si preoccupa del mondo in cui vivono i nostri figli, un mondo in cui abbiamo la libertà di controllare i nostri corpi, un mondo in cui non siamo divisi, passato, presente o futuro. Immaginate le nostre figlie che crescono vedendo che ciò è possibile, senza barriere, senza limitazioni. Dobbiamo votare, abbiamo bisogno di voi».
Con la campagna elettorale agli sgoccioli, i democratici hanno esibito l’artiglieria pesante. Usher in Georgia. Eminem e Barack Obama a Detroit, poi Beyoncé e Kelly Rowland a Houston, in Texas. E Bruce Springsteen, ovviamente.
Anche Lizzo per Kamala Harris, in Michigan.
Qualche giorno fa Trump ha fatto un’improvvisata in un barbershop del Bronx – cioè uno di quegli scenari il cui immaginario hollywoodiano evoca spaccati di vita di quartiere –, ma le cose non sarebbero andate esattamente come sembravano.
Infine, più di recente, l’enorme evento trumpiano al Madison Square Garden si è trasformato in un boomerang per la campagna repubblicana a causa delle battute razziste del comico Tony Hinchcliffe, il quale ha definito Porto Rico «un’isola di spazzatura galleggiante». Il risultato, in breve, lo avete visto:
Common si conferma uno degli artisti più attivi nei periodi elettorali.
Al Black Men’s Summit organizzato da BET, Vic Mensa ha parlato di aborto («I tassi di mortalità materna tra le donne nere sono più alti negli Stati in cui è vietato») e della responsabilità degli uomini, con il voto alle porte.
Bonus. Poiché l’identità razziale di Kamala Harris è stata messa in discussione dal suo avversario, vale la pena recuperare il dialogo sulla definizione di Blackness con Uncle Luke dei 2 Live Crew. L’intervista risale al 2019. Di lì a breve la futura vicepresidente annuncerà il ritiro dalle primarie democratiche. Tra gli alti e i bassi della sua carriera politica, il resto della storia lo conosciamo.
🔎 Altre cose interessanti
A quanto pare la campagna Trump ha provato (di nuovo) a ingaggiare 50 Cent per riproporre il momento Many Men durante il rally di Manhattan, ma anche stavolta senza successo.
Ancora endorsement per Harris.
Ari Melber di MSNBC News cita i De La Soul per descrivere queste (folli) elezioni.
Si sta parlando molto della scelta di Tyler, The Creator di uscire con il suo nuovo album CHROMAKOPIA di lunedì, anziché nel canonico venerdì di pubblicazioni discografiche.
È morto Dj Clark Kent, icona hip hop di New York, scopritore di numerosi talenti e produttore, tra gli altri, per The Notorious B.I.G., Junior M.A.F.I.A., JAY-Z e Rakim.
Colpo di scena nel processo a Young Thug.
Abbiamo la data di uscita di Missionary, l’atteso disco di Snoop Dogg, prodotto come ai vecchi tempi da Dr. Dre: 13 dicembre 2024.
A questo punto uno dovrebbe lasciarsi andare. Non starò qui a tediarvi sul perché e percome non sia invece il caso – vale per me e vale per chiunque –: di vero c’è che fare un pronostico è impossibile, i sondaggi sono bloccati e il minimo scostamento in uno o più Stati potrebbe essere quello decisivo. Non c’è un solo elemento che non abbia un peso e dobbiamo sapere fin da ora che le elezioni potrebbero essere contestate, perciò sguardo fisso sui prossimi sviluppi e non facciamoci cogliere impreparati.
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Buona notte elettorale, allora: ci leggeremo tra una settimana per una puntata “speciale” post-voto, o qualcosa del genere. A presto!
Le differenze sono osservabili anche tra gli elettori e le elettrici più giovani.