In queste ore negli Stati Uniti è successo qualcosa che non dovremmo faticare a definire storico, benché in Italia se ne stia parlando poco. Potrebbe sembrare una piccola cosa – non lo è, ragionando in termini prettamente americani –, ma è l’ennesimo “primo passo” necessario in direzione di un cambiamento che dovrebbe rappresentare la normalità.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che esce alla vigilia del Freedom Day 2021.
Un uomo bianco, ricco, ossessionato dalla cultura afroamericana e sposato con una donna nera, che dà una festa a dir poco bizzarra nella sua mega-villa: è, in estrema sintesi, lo sfondo di uno degli episodi di Atlanta, la geniale serie ideata da Donald Glover/Childish Gambino.
Nelle intenzioni della facoltosa coppia, la festa rappresentava l’occasione per celebrare Juneteenth, che infatti è il titolo dell’episodio (Jet set nella versione italiana), cioè l’anniversario della liberazione dalla schiavitù. Il 19 giugno 1865, a circa due anni e mezzo dalla firma del Proclama di emancipazione, il generale Gordon Granger annunciò a Galveston, in Texas, dopo la sconfitta dei confederati nella guerra di secessione, la liberazione degli ultimi schiavi neri. Nel 2015 lo storico Kenneth C. Davis scrisse sul New York Times che molti, grazie a Granger, appresero per la prima volta del Proclama di emancipazione, talmente abili erano stati gli schiavisti del posto a nascondere quanto stabilito altrove (questo aspetto venne sottolineato in particolare lo scorso anno da Annette Gordon-Reed sul New Yorker, ricordando le battute al riguardo delle persone più anziane, quando era piccola: «I bianchi volevano assicurarsi qualche stagione di raccolto in più prima di parlarne ai neri»). Tuttavia non tutti gli schiavi furono immediatamente liberi, ma già l’anno successivo cominciò ad essere celebrata, in modo spontaneo, la ricorrenza del 19 giugno, conosciuta anche come Freedom Day, a Galveston e in altri luoghi del Texas. Quello che è accaduto dopo, fino all’era Jim Crow, è storia nota. Del Juneteenth si sapeva ben poco al di fuori degli Stati ex confederati (dove alla fine del XIX secolo era ormai diffuso): sarà soltanto negli anni della grande migrazione, tra il 1916 e il 1970, che la celebrazione verrà introdotta negli Stati del Nord e dell’Ovest.
Ad ogni modo, dicevamo, l’episodio di Atlanta, il nono della prima stagione, procede in una spirale di situazioni surreali, metalinguaggio e simbologia forzata che rasenta l’appropriazione culturale, tanto da indurre Earn – il protagonista della serie interpretato proprio da Glover – ad una reazione seccata a fine serata. Senza spoilerare troppo (magari qualcuno, qui all’ascolto, non ha ancora visto la serie, disponibile su Disney+), c’è da osservare che Atlanta ha contribuito a rendere Juneteenth qualcosa di più mainstream, così come, lo scorso anno, altrettanto ha fatto #blackAF di Kenya Barris. Soprattutto, Atlanta, ha permesso a più persone di capire e documentarsi anche alle nostre latitudini, per quanto nella stessa America l’argomento non fosse conosciutissimo, un po’ come le vicende legate al massacro di Tulsa sono state rese note ad un pubblico più ampio grazie alla serie Watchmen.
Giovedì 17 giugno, il presidente Joe Biden, appena rientrato dagli impegni europei, ha firmato la legge – approvata questa settimana al Senato all'unanimità e subito dopo alla Camera (415-14) – che istituisce il 19 giugno Juneteenth National Independence Day, l’undicesima festa federale degli Stati Uniti, la prima dal Martin Luther King Jr. Day del 1983. «Penso che questo sarà considerato, per me, uno dei più grandi onori che avrò come presidente», ha detto Biden alla Casa Bianca durante la cerimonia della firma. Nel recente passato diversi tentativi erano andati invece a vuoto. In generale la ricorrenza era stata già riconosciuta in quasi tutti gli Stati, un percorso avviato nel 1980 quando il Texas per primo la ufficializzò (lo stesso Texas che nel 2021 limita nelle scuole le discussioni attorno al razzismo in contrasto alla cosiddetta «teoria critica della razza»), ma fin qui non era stata ancora raggiunta una reale unità di intenti a livello nazionale. Per capirci: solo una manciata di Stati aveva finora proclamato il 19 giugno un vero e proprio giorno di festa, inteso come giorno di ferie pagate. È nel 2020 che le cose sono cominciate a cambiare in modo significativo, con diverse aziende che si sono spese per osservarlo formalmente.
La morte di George Floyd, con le vicende di Ahmaud Arbery e Breonna Taylor, hanno scatenato una serie di reazioni – le proteste e le marce sparse nelle principali città americane, per cominciare –, rendendo nel 2020 Juneteenth qualcosa in più di una “semplice” data da celebrare. Era il quadro complessivo a spingere verso un nuovo approccio. Da un lato la pandemia – che, specialmente in quella fase, stava colpendo soprattutto la popolazione nera e le minoranze –, dall’altro lato una campagna elettorale piuttosto aspra, che di certo non aiutava a placare gli animi.
L’ex presidente Donald Trump spostò il suo primo comizio da mesi (peraltro proprio a Tulsa) dal 19 al 20 giugno, vantandosi, con questa mossa, di aver reso popolare Juneteenth. Sulla scia di quanto stava avvenendo in quei giorni, grandi aziende quali Nike, Tesla, Best Buy e Twitter decisero di anticipare la legislazione, chiudendo gli uffici e istituendo di fatto un giorno di festa. Alcuni gruppi, come ad esempio Airbnb, hanno donato soldi alla NAACP e a Black Lives Matter. Molte compagnie, insomma, hanno provveduto da sé a cambiare le circostanze.
Il 19 giugno 2020, i Public Enemy pubblicarono un brano in chiave anti-Trump prodotto da Dj Premier, State Of The Union, in un periodo di numerose uscite discografiche attente alle tematiche sociali, un chiaro ritorno – ammesso che prima di allora non fosse più tra noi – al rap di protesta.
Non fu l’unica release, guarda caso quel giorno. Beyoncé pubblicò infatti Black Parade, un brano se vogliamo ormai tipico della sua espressione artistica, intriso di consapevolezza e orgoglio neri.
I’m goin’ back to the South
I’m goin’ back, back, back, back
Where my roots ain’t watered down
Growin’, growin’ like a Baobab tree
Of life on fertile ground, my ancestors put me on game
Ankh charm on gold chains, with my Oshun energy, oh
Drip all on me, woo, Ankara Dashiki print
Hol’ up, don’t I smell like such a nag champa incense?
Yeah, pure ice (Ice), ice (Ice), buss down
Uh, flooded (Flooded), flooded (Flooded), on my wrist, out
Ooh, goin’ up, goin’ up, motherland, motherland drip on me
Ooh, melanin, melanin, my drip is skin deep, like
Ooh, motherland, motherland, motherland, motherland drip on me
Ooh, yeah, I can’t forget my history is her-story, yeah
Being black, maybe that’s the reason why
They always mad, yeah, they always mad, yeah
Been past ‘em, I know that’s the reason why
They all big mad and they always have been– Beyoncé, Black Parade, 2020
Dei Public Enemy, poi, a settembre 2020 è uscito un nuovo disco (What You Gonna Do When the Grid Goes Down?) contenente una versione aggiornata dell’iconica Fight The Power, con all’interno tanti ospiti: Nas, Rapsody, Black Thought e YG. In particolare quest’ultimo nella sua strofa mette in fila tutte le divergenze delle due Americhe, compreso Juneteenth:
Fight power like it’s the opp, though
Born to fight, I made it off the block though
Thought he had a gun and he was black, that's the combo
The police killed George havin’ a convo (George)
They killed Malcolm X, they killed Doctor King (Doctor King)
They gave us guns and dope, they wanna stop our kings
They tryna erase our history, stop and think
History class ain't tell us ‘bout Juneteeth
Cops don’t give a damn about a negro
Pull the trigger, kill a negro, he’s a hero
Fuck livin’ life on welfare
The last one who cared was Obamacare
Round twelve, nose kinda bloody, gotta keep fightin'
Trump flew to North Korea, they respect violence
If you ain’t tryna have your city on fire
Put some respect on our name, we come from gold and diamonds– Fight The Power: Remix 2020
Facendo una rapida ricerca online, si possono scovare le manifestazioni in giro per l’America in programma per Juneteenth. C’è tanta musica, abbastanza hip hop. Se siete interessati, sul palco del WPA Juneteenth & Black Music Festival a Pittsburgh, in Pennsylvania, si esibiranno Rakim e Big Daddy Kane, una cosa molto cool per i nostalgici della vecchia scuola.
Altre cose interessanti
Durante l’episodio Juneteenth di Atlanta, a un certo punto viene svelata la cover di “Awaken, My Love!”, album di Childish Gambino in uscita alcune settimane più tardi. L’anteprima, ovviamente, era per il pubblico statunitense: in Italia l’episodio andò in onda la prima volta a febbraio 2017, mentre il disco venne pubblicato all’inizio di dicembre 2016. “Awaken, My Love!” riscopre gli anni rivoluzionari dei Funkadelic ed esplora l’amore in tutte le sue sfaccettature, non ultima la genitorialità nera. Secondo il vostro fedelissimo un album che vale la pena riascoltare, di tanto in tanto.
Giugno è il Black Music Month (African-American Music Appreciation Month) e anche martedì prossimo, Mookie si ritaglierà un angolino in quel bellissimo contenitore che è Soul (R)Evolution, su Radio Milano International (in questa newsletter c’è qualche informazione velata sul tema che tratteremo). L’appuntamento con Fabio Negri, la crew di SLRVLTN e Mookie è alle 21.30 e, dalle 22.45, anche on demand su MixCloud.
Mookie si prende una piccola pausa, torneremo il 2 luglio. Per questa settimana è tutto: dubbi? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, se vi va, oppure commentare o scrivermi su Twitter, Instagram, Facebook. Se Mookie vi piace, iscrivetevi e fate iscrivere le amiche e gli amici alla newsletter.
A presto, state bene!