Si parlava, non più tardi di due settimane fa, di un’economia statunitense in salute e di un mercato del lavoro dinamico per tutti i segmenti demografici. Non abbastanza, però, per il presidente Joe Biden, in apparente crisi di consensi, per sentirsi al riparo da qualsiasi scossone in vista delle elezioni di novembre. L’inflazione, che si è attestata a lungo su valori piuttosto alti, ha eroso i redditi reali dei lavoratori, colpendo soprattutto i gruppi notoriamente più svantaggiati. E per quanto l’amministrazione Biden si sia spesa per migliorare le condizioni socio-economiche delle minoranze, altre promesse non mantenute (più l’inflazione, certo, che intanto ha cominciato a registrare progressi) hanno finito per creare malumori e frustrazione. Perché i fallimenti hanno maggiore rilevanza dei successi? Molti osservatori concordano che in questi anni i democratici hanno avuto grosse difficoltà nel riuscire a illustrare in modo efficace quanto di buono siano riusciti a produrre, anche perché costretti a rincorrere l’emergenza, tra una guerra e l’altra sparse per il mondo. Nel 2022 l’attivista e commentatore politico della CNN, Van Jones, sosteneva in un suo articolo che la Casa Bianca avrebbe dovuto coinvolgere di più i media neri nella narrazione dell’opera svolta dall’amministrazione a beneficio della comunità.
Si tratta di uno spunto interessante.
Non era difficile indovinare il pronostico del voto in Iowa e nel New Hampshire nelle primarie repubblicane. In questo senso i sondaggi lasciavano poco spazio all’immaginazione, ai calcoli o ai teoremi cervellotici. Vero che si voterà fino a primavera inoltrata, ma nel frattempo dovrà succedere qualcosa di incredibilmente inaspettato (tipo la Corte Suprema che decide per l’ineleggibilità di Trump, o altri scenari ad oggi ancora remoti) per non credere ad un rematch tra Joe Biden e il suo predecessore a novembre. Il massimo cui può aspirare l’unica rivale di Trump nel GOP, cioè Nikki Haley (come sapete, Ron DeSantis si è ritirato alla vigilia del voto nel NH), è rimanere a galla il più possibile e sperare in un miracolo. Vedremo. Per il resto, andiamo avanti.
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La relazione tra hip hop e politica è sempre stata stretta, spesso per il vecchio adagio che vuole il rap essere una forma grezza di giornalismo o la «CNN del ghetto», a seconda dell’attribuzione cui vogliamo dare maggior credito, ma anche perché è la storia degli Stati Uniti ad avere evidenziato sentimenti e giudizi collocati agli estremi, favorendo con una facilità altrove non ugualmente misurabile la nascita di sub-culture e approcci alla vita che quasi mai hanno omologato l’insieme delle differenze in un unico, indistinguibile “stile americano”.
Words spitoon from sunlight to moon
Busting on stage like gunfights in saloons
Click-clack, pull my mic back, you like that
Journalists, we’re journalists too, we could strike back
Hardcore reporters with orders from headquarters
Behind enemy lines, sidestepping the borders– Dilated Peoples, Proper Propaganda, 2001
La missione che l’hip hop si è dato – prendiamo per buona questa idea, talvolta esagerata, dei rapper in veste di “inviati” in “zone di guerra” – deriva dalla tradizione, dalla lotta, da Billie Holiday e Nina Simone, da Langston Hughes, Ralph Ellison e James Baldwin. Se i media neri – ad esempio l’Afro-American (fondato nel 1892 da un ex schiavo, John Henry Murphy Sr.) o altri giornali come il Chicago Defender e l’Amsterdam News – hanno colmato il vuoto e sfidato gli stereotipi che caratterizzavano l’informazione dominante nel corso del ‘900, l’hip hop ha preso il largo nella rappresentazione autentica (o quantomeno verosimile) della quotidianità, esibendo prospettive diverse e rinnovando a sua volta un genere consolidato.
I wish I knew how it would feel to be free
I wish I could break all the chains holding me
I wish I could say all the things that I should say
Say ‘em loud, say ‘em clear
For the whole round world to hear– Nina Simone, I Wish I Knew How It Would Feel To Be Free, 1967
In questo modo l’hip hop ha raccolto l’eredità del jazz, formando scrittrici e scrittori formidabili, tutti appartenenti o anagraficamente vicini alla hip-hop generation teorizzata da Bakari Kitwana, i quali hanno saputo raccontare con puntualità uno spaccato di America sconosciuto a tanti. Greg Tate è stato uno dei primi intellettuali ad avere indagato sulle pagine del Village Voice la nuova cultura di strada e il linguaggio musicale, rifiutando qualsiasi semplificazione proveniente da un mondo che non capiva granché di quello che stava accadendo. I suoi saggi hanno esplorato le identità culturali attraverso l’hip hop in quanto espressione politica. Quello che a noi appare oggi scontato – su Netflix, come sulle altre piattaforme, c’è il pieno di consigli su contenuti relativi alla storia afroamericana –, negli Stati Uniti non lo è mai stato per molte persone e la situazione, nel complesso, continua a mostrare delle crepe.
Secondo una recente indagine del Pew Research Center, il 63% degli intervistati rileva criticità riguardo la copertura mediatica di fatti relativi ai neri; il 43% la definisce stereotipata. Che si dichiarino elettori democratici o repubblicani, i neri giudicano le notizie lacunose in percentuali non dissimili. Sebbene i giornalisti neri siano reputati più adatti al racconto di specifici avvenimenti, il gruppo sociale di provenienza non viene percepito di per sé come un problema in termini di affidabilità, mentre una maggiore formazione orientata ad accrescere la sensibilità e le competenze sulle questioni razziali sarebbe un importante passo in avanti.
This town needs an exorcism
Egotism, egotism, egotism, egotism, egotism, egotism, egotism, egotism
Alcoholism, fascism, rationalism, national tension
Journalism gone gestapoism poporazzo-ism
As the world turns in isms
Trust eroticism, social drugs, narcotics in them
Cult existence, superstition
Ritual materialisms, serial isms
Habitual inferior vision
Consumerism– Lauryn Hill, Consumerism, 2013
Un secondo aspetto che emerge dallo studio è l’accesso all’informazione, che in definitiva è in linea con le abitudini generali. Almeno un terzo degli intervistati, afferma il Pew Research Center, ammette di ricevere le notizie attraverso i media locali e nazionali, sui social (che hanno avuto un ruolo fondamentale negli anni delle proteste) o tramite amici, familiari e conoscenti. Infine il 24% dichiara di informarsi sui media neri con frequenza, il 40% di farlo qualche volta.
Curiosamente, nell’articolo del 2022 menzionato in apertura, Van Jones citava Charlamagne Tha God tra le personalità mediatiche di spicco che sarebbero potute tornare comode alla Casa Bianca. Solo che Charlamagne Tha God era stato nel 2020 protagonista di un breve incidente con Biden. È un aneddoto già apparso in qualche vecchia puntata di Mookie. L’allora candidato democratico alla presidenza stava rispondendo alle domande del conduttore del programma The Breakfast Club, su Power 105.1, tra le più famose radio hip hop degli Stati Uniti. Siccome la conversazione stava per essere chiusa prima del previsto, ritenendo di avere delle domande in sospeso, Charlamagne invitò Biden a raggiungerlo in trasmissione magari in un secondo momento (c’era la pandemia e questo genere di cose veniva fatto a distanza, ricorderete). A quel punto Biden gli rispose in maniera brusca che se aveva dubbi su chi votare, allora non era nero. L’uscita non fu delle migliori e in seguito si scusò per l’accaduto. Charlamagne Tha God sostenne comunque il ticket Biden-Harris, ma adesso non è più dello stesso avviso (e se va in giro a parlare male del presidente, figuratevi di Trump). Il punto è che anche Charlamagne “accusa” i democratici di scarso appeal comunicativo.
Sittin’ back plottin’, jottin’ information on my nation
Really started from the bottom, boy, cotton
But they still plantin’ plantations, we keep buyin’ in
Closed-minded men, pride is higher than the prices on your Pradas– Joey Bada$$, Paper Trail$, 2015
Questo non vuol dire, però, che la campagna Biden non stia provando a strizzare l’occhio all’elettorato nero, per quanto il presidente possa sempre contare su uno zoccolo duro che mai e poi mai voterebbe per Trump (anche se il tasso di approvazione presenta andamenti incerti, in realtà è il rischio astensionismo a spaventare). Lo scorso anno è stato diffuso uno spot, dal titolo Get Ahead, che sottolinea le misure approvate dall’amministrazione dem a favore della popolazione nera, a partire dai provvedimenti sull’equità razziale adottati a insediamento appena compiuto. Lo spot è stato trasmesso dove il pubblico è più ricettivo, come l’area metropolitana di Atlanta, in Georgia. La prima messa in onda è invece avvenuta in occasione della partita di football tra le squadre universitarie degli USC Trojans e dei Colorado Buffaloes, sfruttando la popolarità dell’allenatore di questi ultimi, Deion Sanders, ex stella della NFL prestato alla musica hip hop nella prima metà degli anni ‘90 (nel 1994 pubblicò per l’etichetta di MC Hammer un album, Prime Time, che poi era il suo soprannome, ma la carriera da rapper è durata meno di quella di Shaquille O’Neal).
In questo periodo Biden e Harris stanno investendo tantissimo in pubblicità anche in South Carolina, che a breve sarà teatro di elezioni primarie. Tra gli altri ci sono da convincere i giovani neri, poco entusiasti in questa fase. Com’era che diceva Gil Scott-Heron?
Altre cose interessanti
Il senatore Tim Scott (del quale avevamo parlato qui, quando sembrava davvero intenzionato a partecipare alla contesa elettorale) si sta facendo vedere parecchio al fianco di Trump e in questi giorni ha ricevuto attenzioni anche per faccende personali. Qualcuno sospetta che sia un serio candidato al ruolo di VP, peccato per il “corteggiamento” a detta di molti (anche di Charlamagne Tha God) sopra le righe.
No, no e ancora no: Michelle Obama non si candida alla presidenza. I giornali italiani hanno dato troppo peso alle (solite) chiacchiere.
Cose terribili dell’America che non riusciamo a comprendere.
Secondo Yasiin Bey (ex Mos Def) quello di Drake non è hip hop, bensì pop. Questa uscita, peraltro sollecitata durante un’intervista, ha scatenato un dibattito che in verità è alquanto datato. Ne ha parlato anche Common, qualche giorno fa.
Date le circostanze, lo scenario che si prospetta davanti a noi è quello di due presidenti, due Americhe. Sentivamo proprio la mancanza di un bel clima teso, no?
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Alla prossima puntata!