Dopo l’African-American Music Appreciation Month a giugno, Mookie e Soul (R)Evolution, il programma ideato e condotto da Fabio Negri su Radio Milano International, hanno unito di nuovo le forze in occasione dell’Hip Hop History Month, che si celebra per l’appunto a novembre. L'istituzione di un mese dedicato all’hip hop è un fatto recente e qui potete approfondire l’argomento, se vi va. Sono molto contento dell’invito di Fabio a prendere parte, in apertura di trasmissione, alla selezione di un brano “spiegato”. Molto più che siamo alla vigilia di una serie di eventi significativi per l’hip hop.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che è in vena di festeggiamenti (ma che non ha sconti da offrire per il Black Friday).
Dunque, le cose stanno così: Soul (R)Evolution è il programma di Fabio Negri su Radio Milano International che ogni martedì sera, dalle 21.30 – e dopo, dalle 22.45, anche on demand su MixCloud e su Spotify –, ci fa scoprire la nuova musica r’n’b, soul, funk e hip hop. Siccome novembre è l’Hip Hop History Month, Fabio mi ha chiesto di selezionare il brano di apertura della trasmissione, in quello che solitamente è l’angolo del passato, prima di catapultarci nel futuro in un viaggio musicale “fuori algoritmo”, cioè senza badare troppo alle presunte (semicit.) classifiche di album e singoli delle piattaforme streaming. Insieme a Fabio, scelgono i suoni Simone Cazzaniga e Luca Damiani.
Conclusi i convenevoli (ancora grazie per la bellissima opportunità), un piccolo avvertimento prima di cominciare: la puntata è una sintesi di Mookie alla radio, ma non è completa. Manca, per ovvie ragioni, l’intervento, l’ultimo, che andrà in onda il 30 novembre. Perciò, dal giorno seguente, potrete fare un salto direttamente su Mookie e vedere com’è che è andata a finire. Abbiamo deciso di agire in questo modo perché la prossima newsletter è programmata per il 10 dicembre e novembre, a quel punto, sarà solo un vago ricordo. I testi, qui, potrebbero essere stati modificati in alcuni passaggi per evitare ridondanze varie e rendere più fluida la lettura.
Ok, avvertiti siete avvertiti: non mi resta che augurare “buon ascolto”.
Mookie x SLRVLTN ・ 2 novembre 2021
Per quanto ne sappiamo, quando nel 1982 venne pubblicata The Message di Grandmaster Flash & The Furious Five, fu la prima volta che l’hip hop descrisse la quotidianità degradante in cui molte persone erano costrette a vivere. The Message fu il primo resoconto in rima delle esistenze ai margini nel South Bronx, che presto si estese al resto degli Stati Uniti, da Chicago a Los Angeles, da Boston a Detroit, dal Texas alla Georgia.
All’epoca l’hip hop non aveva ancora compiuto dieci anni – almeno a prendere per buona la leggenda –, in compenso aveva da poco cominciato ad aprirsi un varco nel già caotico mercato discografico. In realtà rimane una storia per larghi tratti controversa: in molti si attestano l’origine di questo o quello e alcuni pionieri, a tutt’oggi, litigano su chi per primo ha inventato una tecnica, uno stile o un nome. Però una cosa è certa: siamo prossimi ad un traguardo incredibile e in pochi, all’inizio, ci avrebbero scommesso.
L’11 agosto 2023 saranno 50 anni dalla Back To School Jam, la festa al 1520 di Sedgwick Avenue, Bronx, organizzata da un ragazzone di 18 anni di nome Clive Campbell, per tutti Dj Kool Herc, e sua sorella Cindy. Quello fu il principio di tutto. Ecco, da quel giorno del 1973, si può dire che l’hip hop, di strada, ne ha fatta davvero.
Da tempo la cultura hip hop ha ottenuto un pieno riconoscimento, anche sul piano istituzionale. Novembre è stato proclamato Hip Hop History Month, ultimo atto di un processo lungo e tortuoso, fatto anche di stop and go, ma in grado di scardinare barriere e di influenzare la società, non solo tra i più giovani, dalla moda all’industria dell’intrattenimento.
Perché l’hip hop delle origini era soprattutto intrattenimento. Nacque dall’esigenza di evasione che, tra balli e dischi maltrattati dai dj, poteva essere l’unica forma sana di svago nel Bronx di inizio anni ‘70. Così, facendo nostra quella stessa esigenza dopo essere montati sulla DeLorean, balliamo con It’s Nasty di Grandmaster Flash & The Fuorious Five, pietra miliare della Sugarhill Records.
Mookie x SLRVLTN ・ 9 novembre 2021
Tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90, a Los Angeles e dintorni era tutto un gangsta di qua e un gangsta di là. Il via lo aveva dato Ice-T, poi King Tee e gli N.W.A., con Dj Quik e i Compton’s Most Wanted poco dopo, avevano reso ancor più celebre il genere – il gangsta rap, appunto –, offuscando in termini di vendite discografiche la scena di New York e della East Coast. Il metro resterà quello per alcuni anni, fino ai grandi successi della Death Row Records.
Messa così, i Pharcyde apparvero subito come alieni. Già i Souls of Mischief avevano sfidato la narrazione del gangsta rap, ma quest’ultimi venivano da Oakland, avevano i loro di problemi, tutta un’altra storia rispetto ai sobborghi di Los Angeles. I Pharcyde, invece, agivano nella culla del gangsta, solo che delle cose gangsta non gliene importava granché. Come poco interessavano a Del tha Funkee Homosapien, nonostante il grado di parentela con Ice Cube.
Bizarre Ride II the Pharcyde, l’album di debutto del gruppo, è il tipico disco hip hop di cui sul momento non tutti ne capiscono la grandezza, ma che a distanza di anni viene certificato “classico”. Di sicuro rappresentò per la West Coast una deviazione, avvicinandosi di molto alle produzioni di collettivi spostati più a est, tipo i De La Soul. Anche la ricerca jazzistica del sound è una contromisura rispetto al funk tanto caro al gangsta rap. Ma sono i contenuti, soprattutto, a fare la differenza e Passin’ Me By è uno dei brani che rende meglio l’idea.
I componenti del gruppo si alternano in racconti di ambite storie d’amore in un quadro simil-adolescenziale e la loro arma è l’ironia, che spesso è autoironia, una caratteristica sempre presente nell’opera dei Pharcyde. Un modo di fare, tra scelte stilistiche e temi trattati, che sarà di ispirazione per una nascente scena alternativa californiana, che annovererà gruppi come i Jurassic 5 sul finire degli anni ‘90 e che si evolverà ulteriormente con i Dilated Peoples o con i Visionaries nei primi Duemila.
Anche a Los Angeles, insomma, c’era molto più delle storie iperboliche del genere gangsta. La conferma, cioè, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che tutto quello che avreste potuto sentire sulla cultura e sulla musica hip hop nel corso della vostra vita, se non falso, è quantomeno fuorviante.
Mookie x SLRVLTN ・ 16 novembre 2021
A partire soprattutto dal 2003-2004, il Dirty South domina la scena hip hop. Atlanta comincia ad assumere una centralità che a questi livelli non aveva ancora mai raggiunto, nonostante gli OutKast, i Goodie Mob e tutta la Dungeon Family. Nei club i pezzi South sono i più suonati dai dj, escludendo 50 Cent, la G-Unit e i rimasugli di gangsta rap. E ovviamente l’astro nascente di Chicago, Kanye West, il quale debutterà proprio nel 2004 e che con Atlanta, comunque, aveva qualcosa a che fare anche lui.
All’inizio del nuovo millennio, e almeno fino al 2008, una valida alternativa al Dirty South arriva dai bassifondi. E in quegli anni, quasi per ironia della sorte, tra gli artisti più talentuosi della scena underground c’è 9th Wonder, un produttore giustappunto del Sud, della North Carolina, ma con il vezzo — quando non impegnato con il suo gruppo, i Little Brother, che abbandonerà progressivamente attorno al 2007 — di collaborare con i migliori rapper di New York, tra i quali Buckshot.
Nel 2003, 9th Wonder produce Threat, brano contenuto nel fondamentale The Black Album di JAY-Z. Quel momento rappresenta un punto di svolta incredibile nella carriera del produttore, come lui stesso ammetterà in alcune occasioni più avanti. Dopo il bellissimo The Minstrel Show del 2005 con i Little Brother, contribuisce al debutto di Skyzoo, rapper di Brooklyn. È il 2006 quando esce Cloud 9: The 3 Day High, da cui è tratta A Day In The Life, la traccia scelta per la puntata di Soul (R)Evolution del 16 novembre.
Il progetto dà la misura del processo stilistico di entrambi gli artisti, che più o meno manterranno intatto negli anni a seguire. In particolare per 9th Wonder, che già nel 2007 pubblica The Dream Merchant 2, un disco – e Skyzoo è naturalmente tra i partecipanti – che vale la pena riscoprire per contrapposizione al sound più in voga all’epoca e per il ponte che crea con la golden age dell’hip hop, soprattutto in Brooklyn In My Mind che – tra un campionamento e l’altro di Notorious B.I.G. – vede alternarsi al microfono Mos Def, Jean Grae e Memphis Bleek, la versione Duemila dei Croocklyn Dodgers.
Mookie x SLRVLTN ・ 23 novembre 2021
«È tornato il rap di protesta». Saremo onesti: l’affermazione non ci convince granché. Ma c’è una ragione valida se l’idea è così diffusa. Negli ultimi anni l’hip hop è definitivamente diventato un genere da classifica – da alta classifica, a dirla tutta, almeno negli Stati Uniti –, ha ispirato usi e costumi e in generale l’industria dell’intrattenimento, non solo la musica. Ha raggiunto, cioè, lo «step successivo» e nel frattempo si è evoluto nelle sue innumerevoli declinazioni. Questo ha fatto emergere un po’ di frivolezza nell’hip hop contemporaneo, ma alcuni punti essenziali della sua natura – e tra questi c’è appunto la protesta – non li ha mai davvero smarriti.
Nelle percezioni qualcosa è cambiato nel 2012, dall’uccisione di Trayvon Martin e dalla nascita, l’anno successivo, del movimento Black Lives Matter. Quello è stato il momento decisivo, il salto in avanti – intellettuale e corale – del grado di consapevolezza dell’essere neri oggi in America, una condizione che inevitabilmente ha pervaso anche l’hip hop.
Eric Garner, Michael Brown, Tamir Rice, Freddie Gray e via via fino a Breonna Taylor e George Floyd: anni di proteste nelle città statunitensi, di film, libri e canzoni sulle questioni razziali, perché «le vite dei neri contano».
Artisti quali Common, Run the Jewels, Kendrick Lamar e J. Cole sono perciò i principali protagonisti di un nuovo «rap di protesta», che trova forse il suo apice negli anni di Trump alla Casa Bianca. Non che il «rap di protesta» fosse altrimenti sparito, ma gli strumenti di cui disponiamo ora ci permettono di riflettere più a lungo e di provare a cambiare in meglio, laddove possibile.
Nel 2015 si unisce al dibattito – e non era certo la prima volta – Georgia Anne Muldrow, produttrice, musicista raffinata, cantante e rapper di Los Angeles. In Child Shot, il brano selezionato per celebrare l’Hip Hop History Month nel penultimo appuntamento con Mookie alla radio, affronta vari argomenti, come l’incarcerazione di massa e il doppio status dei neri, tra il potere – quello ad esempio rappresentato da Obama – e la persistente sensazione di pericolo nella propria nazione.
Mettiamola così, allora. Siamo rimasti distratti per tanto tempo, ma il «rap di protesta» era ancora tra noi. Semmai, la differenza, è che nostro malgrado adesso è tornato di moda.
Per il momento è tutto. È stato bello condividere queste celebrazioni con la crew di Soul (R)Evolution. Per sapere come avremo concluso l’Hip Hop History Month, avete due possibilità. La prima: ricordare l’appuntamento di martedì 30 novembre alle 21.30 su Radio Milano International o su MixCloud e Spotify dalle 22.45. La seconda: fare visita a Mookie l’indomani. Oppure entrambe le cose, di gran lunga la soluzione migliore.
Mookie x SLRVLTN ・ 30 novembre 2021 [Aggiornamento 1 dicembre 2021]
L’Universal Hip Hop Museum aprirà al pubblico nel 2024, a New York, e sorgerà proprio nel Bronx, non lontano dal 1520 di Sedgwick Avenue, il luogo che ha dato il via a questa incredibile storia. Il progetto, un investimento da circa 80 milioni di dollari tra pubblico e privato, era in cantiere da tempo, l’inaugurazione prevista per il 2023 quando l’hip hop compirà 50 anni, ma la pandemia ha rallentato tutto, facendo slittare l’apertura ufficiale all’anno successivo.
Il museo dell’hip hop celebrerà senza dubbio la grandezza di New York e l’importanza della città nello sviluppo dell’intero movimento. Ma nei piani dei promotori c’è la volontà di esaltare il linguaggio universale di una cultura capace di coinvolgere ogni angolo di mondo, non solo il ghetto americano. Sarà la celebrazione di un amore che ha travalicato i confini statunitensi, che ha avuto i suoi alti e bassi, ma che ha ispirato ovunque milioni di persone.
E di amore, non a caso, parlavano gli australiani Diafrix nel 2006 con One Love, brano che era contenuto in un ep dal titolo In Tha Place. Un concetto che fu già espresso da altri in passato, da I Used to Love H.E.R. di Common a Love Of My Life di Erykah Badu, passando per Nas, Joell Ortiz più avanti, e la lista potrebbe proseguire per ore.
In questo mese di novembre, che è stato il primo Hip Hop History Month, abbiamo voluto rendere omaggio all’arte del “qui e ora”, che però, a dispetto della sua natura estemporanea, è riuscita a conservarsi e allo stesso tempo a maturare e ad evolvere fino a diventare centrale – da un punto di vista sociologico, economico, talvolta politico – nella vita di tutti i giorni, nelle Americhe e in Europa, in Africa, in Asia e in Oceania.
Notorious B.I.G. ricordava di quando erano in pochi a credere che «l’hip hop sarebbe arrivato così lontano». Era il 1994, una vita fa. Oggi l’hip hop è andato oltre. È diventato grande e più consapevole.
Altre cose interessanti
Tra le iniziative che Nas e la sua Mass Appeal stanno lanciando per Hip Hop 50 (di cui avevamo parlato qui), da alcuni giorni c’è il podcast originale Spotify, The Bridge: 50 Years of Hip Hop, condotto dallo stesso Nas e da Miss Info. Sono stati pubblicati i primi episodi con ospiti Ice Cube, Mary J. Blige e Cordae.
Non si tratta di una cosa freschissima, risale a qualche settimana fa, ma vale la pena tornarci velocemente. A inizio mese Kanye West è stato ospite di Drink Champs, il podcast di N.O.R.E. e DJ EFN. Durante l’intervista è stato un fiume in piena, a tratti spassoso, insomma il solito Kanye. Come ha notato Dan Runcie di Trapital il momento più interessante, però, è stato quando ha lanciato l’idea di diventare un’entità quotata in borsa, con lo scopo di ottenere più del valore che genera per gli altri (ad esempio i suoi “soci in affari” Universal Music Group, Adidas e Gap). È allora che ha discusso delle Special Purpose Acquisition Companies, il cui meccanismo, per ciò che rappresenta, sarebbe il più appropriato. In questo modo metterebbe in pratica il concetto, da lui già espresso in diverse occasioni, di Artists are Founders. Non possiamo sapere come andrà a finire questa storia, ma Ye è testardo abbastanza da immaginare che alle parole seguiranno i fatti.
A proposito del “brand Kanye West” che cresce, consiglio l’articolo di Luca Belli su Jefferson riguardo l’ultima arrivata: la Donda Academy.
In queste settimane di cose importanti da commentare ne sono successe, vero, ma questa puntata di Mookie non aveva alcuna pretesa se non quella di celebrare l’hip hop, ricalcando quanto avvenuto alla radio. Ci torneremo, come sempre a modo nostro. Mi raccomando: l’appuntamento con Soul (R)Evolution prosegue anche senza il vostro fedelissimo! Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, iscrivetevi e fate iscrivere le amiche e gli amici alla newsletter!
Ci leggiamo tra due venerdì! A presto!