‘Cause he tried to educate and liberate all Blacks
Come Malcolm X resta a tutt’oggi una figura centrale della black culture (e della musica hip hop)
Di recente mi è capitato di vedere diverse cose con protagonista Malcolm X, in maniera più o meno diretta. In un certo senso si potrebbe dire che questa puntata è gentilmente offerta dalle vostre piattaforme streaming preferite.
Bentrovati su Mookie, la newsletter che passa da Netflix a Disney+ con disinvoltura.
«O.J. like “I’m not black, I’m O. J.”… Ok». Questo è JAY-Z che, in The Story Of O.J., ricorda una frase attribuita a O. J. Simpson. Secondo quanto abbiamo potuto vedere nella serie del 2016, The People v. O.J. Simpson: American Crime Story, il campione NFL, poi prestato al cinema, la pronunciò nell’ambito del processo – uno dei più grossi eventi mediatici degli anni ‘90 – che lo vide imputato per l’omicidio dell’ex moglie Nicole Brown, avvenuto il 12 giugno del 1994 a Los Angeles, ma quelle parole O.J. potrebbe averle riferite già in altri momenti. O forse mai. Quale che sia la più corretta collocazione temporale di una frase risultata poi storica, a suo modo, non definirsi “neri”, o non prendere posizione quando in realtà si è persone nere di successo, è un atteggiamento che troppo spesso allude alla contrapposizione culturale nero dei campi - nero da cortile, di cui lo stesso JAY-Z renderà conto poco dopo aver chiamato in causa Simpson.
House nigga, don’t fuck with me
I’m a field nigga, with shined cutlery
Gold-plated quarters, where the butlers be
I’ma play the corners where the hustlers be– JAY-Z, The Story Of O.J., 2017
O.J. Simpson non è stato il primo, né l’ultimo. Un altro grandissimo dello sport come Michael Jordan venne coinvolto in polemiche analoghe durante la sua carriera nella NBA e persino JAY-Z, in fondo, non è stato esente da critiche di questo tipo. Ma il tema è così pieno di insidie, dialettiche e intellettuali, che il retaggio storico del nero dei campi e del nero da cortile salta fuori ancora oggi, di tanto in tanto.
Tale conflitto divenne un topos della retorica radicale, molto caro al Black Panther Party. Il nero da cortile era visto perlopiù come uno “zio Tom”, un difensore dello status quo e dei beni cui poteva accedere, raffigurativo in chiave moderna dell’esigua, ma influente borghesia nera (specie all’inizio il cane si mordeva la coda: la borghesia nera era a sua volta osteggiata dai bianchi, dunque non furono pochi, in un primo momento, i leader neri che dopo l’emancipazione accettarono negli Stati del Sud il principio della società «separata, ma uguale»). La verità è che nell’America schiavile il nero da cortile era meno presente di quanto letteratura e cinema hanno in seguito tramandato e di norma era il più anziano o malconcio tra gli schiavi, ai quali altrimenti spettava il lavoro agricolo. Bastava il ragionamento, però: essere neri dei campi significava, in opposizione a quelli di cortile, ambire a qualcosa di meglio contro gli interessi della struttura di potere. Una nozione che arrivava da un modello illustre: Malcolm X.
La figura di Malcolm X è ovunque di questi tempi, tra film (One Night in Miami) e serie tv (Godfather of Harlem), documentari (Blood Brothers: Malcolm X & Muhammad Ali) e docuserie (Who Killed Malcolm X?). In particolare quest’ultima ha contribuito alla revisione dei fatti risalenti al 21 febbraio 1965, il giorno in cui X venne ucciso. Due degli uomini condannati per l’assassinio – Muhammad A. Aziz e Khalil Islam – sono stati scagionati qualche settimana fa. Ad annunciarlo è stato il procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance, quasi certamente uno dei suoi ultimi atti di rilievo prima dell’insediamento del neoeletto Alvin Bragg, il quale sarà il primo nero a ricoprire la carica nell’ufficio che gestisce decine di migliaia di casi l’anno e che sta indagando anche su Donald Trump e sulle sue società. Vance ha ammesso che all’epoca, durante il processo, furono commessi «gravi errori» dagli inquirenti e dagli investigatori di FBI e Dipartimento di polizia di New York, che nascosero prove fondamentali in grado di portare, con ogni probabilità, all’assoluzione dei due imputati (l’unico a confessare l’omicidio fu Thomas Hagan).
La storia di Malcolm X è lunga e complessa, e ne racchiude diverse altre. La stessa Nation of Islam, l’organizzazione che dapprima lo accolse da reietto della società – prima della conversione, avvenuta in carcere, Malcolm Little era una sorta di hustler in zoot suit che si aggirava per le strade di Harlem – e infine lo ripudiò per divergenze interne, nel proprio sito ha una sezione dedicata all’omicidio e alla “guerra”, solo in superficie silenziosa, tra un apparato importante d’America e le associazioni per i diritti civili o di stampo rivoluzionario.
La NOI e certamente Malcolm X – anche se in futuro, a seguito dei suoi viaggi in Africa e in Medio Oriente che lo condussero ad abbracciare l’Islam sunnita, comincerà a sviluppare pensieri più estesi al riguardo – presero molto in prestito dal movimento nazionalista di Marcus Garvey, che teorizzava, per l’appunto, un ritorno al continente africano, una dottrina che si diffuse in particolar modo tra i neri più poveri. Non a caso in Blood Brothers: Malcolm X & Muhammad Ali si osserva che Malcolm veniva da quella scuola: suo padre Earl, un predicatore battista, ne era stato un seguace, ma l’Africa resterà a lungo, in generale, un’immagine radicata e profonda, come dimostrano le più recenti prove di afrofuturismo.
Allo stesso modo la professione della religione islamica è correlata al concetto di ritorno alle origini, una presa di coscienza – più volte illustrata dallo stesso Malcolm X durante i dibattiti pubblici o nelle interviste – riguardo il controllo dei bianchi, cioè la volontà di far apparire i neri portati in America come selvaggi o, peggio, animali. L’Islam, dunque, era la religione della terra di origine, quella che verrà negata con la tratta atlantica degli schiavi africani. E in definitiva, come osserva tra gli altri Amiri Baraka, la successiva conversione al cristianesimo «rappresentò un movimento che allontanava dall’Africa; era l’inizio dell’Africa come terra straniera». In altre parole, nell’esperienza nazionalista nera, l’avvicinamento al cristianesimo aveva prodotto un ulteriore ostacolo alla riscoperta delle proprie radici. Tuttavia c’è anche da considerare che la fede, non importa il credo, viene oggi percepita dalla maggioranza dei neri americani, secondo un’indagine del Pew Research Center, come parte essenziale dell’opposizione al razzismo (l’Islam è attualmente la terza religione più diffusa nel paese, scrive Francesco Petronella su Jefferson dell’8 novembre).
Di Malcolm X, pur riconoscendone l’importante leadership, Martin Luther King dirà che era stato espressione dell’odio e della violenza, una «vittima della disperazione che nasce dagli abissi di oppressione, povertà e ingiustizia in cui sono precipitate le masse nere». La contrapposizione tra i due personaggi – le cui visioni sono state sempre considerate antitetiche – diverrà allora un tratto distintivo dell’hip hop, nella sua natura distorta e talvolta contraddittoria.
Visions of Martin Luther staring at me
Malcolm X put a hex on my future, someone catch me
I'm falling victim to a revolutionary song, the Serengeti’s clone
Back to put you backstabbers back on your spinal bone– Kendrick Lamar, HiiiPoWeR, 2011
Nell’Autobiografia con Alex Haley, X nota come i bianchi e i media lo abbiano spesso chiamato «il nero più arrabbiato d’America». Una definizione che non disdegnava del tutto, perché è la società nel complesso, più delle azioni dei singoli, a plasmare i comportamenti. Così la sua ostilità nei confronti della nonviolenza, cifra stilistica del movimento per i diritti civili di MLK, non avveniva per esaltazione della violenza, ma si trattava di una posizione contro la società che predica di essere nonviolenti «solamente agli americani neri» (dall’intervista alla Young Socialist Alliance rilasciata il 18 gennaio 1965, pubblicata anche nel libro Con ogni mezzo necessario. Discorsi e interviste).
No Malcolm X in my history text, why’s that?
‘Cause he tried to educate and liberate all Blacks
Why is Martin Luther King in my book each week?
He told Blacks, if they get smacked, turn the other cheek– Tupac, Words Of Wisdom, 1991
Il rammarico, ammetterà ancora MLK, è che «una simile tragedia» – l’assassinio di Malcolm X – «sia avvenuta in un momento in cui stava sottoponendo a un processo di revisione i presupposti della sua filosofia, arrivando a una maggior comprensione del movimento nonviolento e a una maggiore tolleranza verso i bianchi in genere».
Sweet King Martin, sweet Queen Coretta
Sweet Brother Malcolm, sweet Queen Betty
Sweet Mother Mary, sweet Father Joseph
Sweet Jesus, we made it in America– JAY-Z & Kanye West feat. Frank Ocean, Made in America, 2011
Il celebre motto By any means necessary – pronunciato da Malcolm X il 28 giugno 1964 all’Audubon Ballroom di New York in quello che fu il suo intervento fondativo dell’Organizzazione per l’unità afroamericana dopo l’uscita dalla NOI – è stato riutilizzato durante le proteste di Black Lives Matter del 2020 e non è forse un azzardo ipotizzare che il recente interesse mediatico – soprattutto se visto da quest’altro lato dell’Oceano – sia almeno in parte il risultato delle drammatiche vicende degli ultimi anni. Il senso di quelle parole, cariche di significato, nel tempo è stato storpiato, ma il discorso rimane uno dei più diretti e di efficace presa emotiva di cui si può avere testimonianza.
Così abbiamo creato un’organizzazione conosciuta con il nome di Organizzazione per l’unità afroamericana che ha lo stesso fine e obiettivo, cioè combattere chiunque si metta sulla nostra via, conseguire la completa indipendenza della gente di discendenza africana qui nell’emisfero occidentale, e prima di tutto qui negli Stati Uniti, e ottenere la libertà di questa gente con ogni mezzo necessario.
Questo è il nostro motto. Vogliamo la libertà con ogni mezzo necessario. Vogliamo la giustizia con ogni mezzo necessario. Vogliamo l’uguaglianza con ogni mezzo necessario.
Come abbiamo visto, l’hip hop è il genere della musica nera che più si è appropriato dell’eredità culturale e intellettuale di Malcolm X (il quale in vita aveva avuto uno stretto legame con il mondo jazz), e non solo per i Public Enemy. Ci sono ragioni sociali e ideologiche che potremmo definire quasi ovvie. Nel 2020 lo nomina anche Dr. Dre, nell’outro di Full Circle – pezzo contenuto in King’s Disease di Nas in cui Dre “benedice” la reunion dei The Firm, il supergruppo di New York che si formò nella seconda metà degli anni ‘90 sotto l’egida della sua Aftermath –, ma in definitiva, chi è appassionato di rap, sa che citazioni di questo tipo sono piuttosto frequenti.
Con ogni probabilità, per scovare chi in assoluto ha fatto propria quell’eredità, bisogna tornare al 1988, quando i Boogie Down Productions pubblicarono By All Means Necessary, un chiaro riferimento reso subito evidente dalla cover dell’album, una rivisitazione iconografica della famosa foto di Malcolm X alla finestra con un’arma in mano, scattata da Don Hogan Charles – che sarà il primo fotografo nero a lavorare per il New York Times – e apparsa, cinque mesi prima del suo assasinio, sulla rivista Ebony. L’immagine fu motivo di speculazione e fraintendimenti associati proprio al motto By any means necessary (in realtà la posa voleva essere una risposta alle minacce che X stava ricevendo in quel periodo), che nella trasposizione dei Boogie Down Productions assumeva il significato del nuovo corso che KRS-One e soci stavano avviando.
Nel 1987 i BDP avevano fatto il loro esordio con Criminal Minded, un disco pieno di elementi gangsta e che al suo interno presentava brani storici – come South Bronx e The Bridge Is Over – con cui il collettivo del Bronx animò le cosiddette Bridge Wars, una faida scoppiata un paio di anni prima con alcuni rappresentanti della Juice Crew, in particolare MC Shan, provenienti perlopiù dal Queens. Ma sempre nel 1987, dopo l’uscita dell’album, perse la vita uno dei fondatori dei Boogie Down Productions – Scott La Rock –, rimasto vittima di una sparatoria. La tragedia fu un momento di svolta nella carriera di KRS-One, ormai deciso ad abbandonare qualsiasi prerogativa gangsta e a formulare il messaggio Stop The Violence, inizialmente veicolato con By All Means Necessary. KRS, dunque, si “autoproclamò” teacher e si mostrò al pubblico come il Malcolm X del rap, svolgendo attraverso l’hip hop una funzione soprattutto educativa. My Philosophy fu il manifesto di questo cambiamento.
Diversamente, nel 2014, Nicki Minaj si è dovuta scusare con la famiglia di Malcolm X a causa dell’uso, da molti ritenuto inappropriato, della foto del 1964 (poi infatti rimossa) per la promozione online del brano Lookin Ass.
Il 22 novembre 2021, Malikah Shabazz, 56 anni, figlia di Malcolm X, è stata trovata morta nella sua casa di Brooklyn.
Altre cose interessanti
È morto all’età di 64 anni Greg Tate, importantissimo giornalista, scrittore e critico culturale, a lungo collaboratore del Village Voice. A partire dagli anni ‘80, scrive il New York Times, Tate contribuì a elevare l’hip hop e la street art allo stesso livello del jazz.
The reasons I embrace hip-hop have more to do with black esthetics than ballistics. I marvel at hip-hop for the same reasons I marvel at Duke Ellington, Ralph Ellison, Malcolm X and Michael Jordan: a lust for that wanton and wily thing called swing and an ardor for black artists who make virtuosic use of African-American vernacular.
Si è tenuto nelle scorse ore al Los Angeles Coliseum il megaconcerto #FreeLarryHoover di Kanye West e Drake. Con la scusa i due hanno sancito in via ufficiale la pace dopo gli screzi degli ultimi tempi. L’evento è stato trasmesso in diretta su Prime Video e a un certo punto Ye ha implorato Kim Kardashian di tornare insieme (non è la prima volta che accade…). Di Larry Hoover, invece, avevamo scritto brevemente qui, in occasione dell’uscita di Donda.
Un articolo di Federico Rampini, apparso sul Corriere della Sera alcuni giorni fa, ha sollevato un vespaio di polemiche niente male. Si confondono situazioni e circostanze (tragiche, peraltro) e in più viene tirato in ballo The 1619 Project di Nikole Hannah-Jones, non si capisce bene perché. Ad ogni modo si tratta di un progetto ampiamente dibattuto negli Stati Uniti: se ne è parlato anche in questi giorni sul New Yorker.
Se in queste settimane avete dimenticato di fare un salto su Mookie per sapere come è finito l’Hip Hop History Month celebrato insieme alla crew di Soul (R)Evolution, capitanata da Fabio Negri su Radio Milano International, no problem: è tutto qui.
Grazie di aver letto questa nuova puntata fino in fondo. Scrivere qualcosa riguardante Malcolm X era nella mia testa già da un po’, forse ricorderete. Oh, siamo quasi giunti al Natale! Incredibile… E domani, sabato 11 dicembre, sarà un anno di Mookie su Substack, direi altrettanto incredibile… Ora spazio alle solite, sane abitudini: domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, iscrivetevi e fate iscrivere le amiche e gli amici!
Ci leggiamo presto, state bene!