C’è una cosa — chi segue da tempo Off The Benches o ha letto RAP. Viaggio nella generazione hip hop lo sa bene — che quasi mi ossessiona: l’indagine sul futuro dell’hip hop. Per due ragioni di fondo. Intanto, perché è stato un pioniere come Kool Herc a parlare di «livello successivo» dell’hip hop nell’introduzione al libro di Jeff Chang, Can’t Stop Won’t Stop, del 2005. Dunque, il problema viene posto da anni. In secondo luogo perché troppo spesso dimentichiamo che questo è un movimento culturale nato nella metà degli anni ’70 a New York, cioè in un periodo ben preciso, in un contesto altrettanto preciso. Da allora l’hip hop ha “conquistato” il mondo, ma non si può negare che le condizioni dell’epoca siano diverse da quelle odierne (non molto, magari, abbiamo purtroppo constatato negli ultimi mesi). Perciò torniamo al punto di partenza: cosa ha da offrire oggi l’hip hop?
Sono consapevole che un giovane, non per forza giovanissimo, leggendo queste righe potrebbe pensare che a scriverle sia un marziano, ma è una questione fondamentale. Non possiamo dimenticare che dietro il successo di una star del rap (o della trap, certo, porca miseria) si cela un processo lungo oltre 40 anni, pieno di ostacoli riassumibili in tanti «ma cosa vuoi che sia se non una moda passeggera?», «mah!», «boh!». È ancora vivo lo spirito che ha dato inizio a questa avventura? (chi segue Off The Benches e bla bla bla sa bene anche che alla domanda spesso rispondo: sì!)
Per tantissimi, fino a qualche anno fa, parlare di hip hop era sostanzialmente parlare di rap, quindi di musica. Poi nel tempo, circostanza relativamente recente, l’hip hop, come nelle origini, è tornato a investire diversi aspetti culturali, dalla moda all’arte in generale. Nel frattempo abbiamo visto ragazzoni dai vestiti XXL diventare uomini ricchi sfondati e ultra-eleganti, così l’hip hop si è trasformato nel simbolo della ribalta, di chi ce la fa o ce l’ha già fatta. Gli artisti hip hop, oggi, sono i nuovi leader.
Dal lato business, c’è chi sta indagando in modo professionale sul «livello successivo». Si chiama Dan Runcie, fondatore di Trapital, un sito (che è anche una newsletter), dedicato alle strategie imprenditoriali che interessano l’universo hip hop. Questo perché, è il principio su cui si basa il progetto, la copertura mediatica dedicata alle persone di successo provenienti dall’hip hop è appena sufficiente, di qui la necessità di una narrazione che sia la più completa possibile. Inoltre, Trapital offre consulenza e servizi di strategia per la crescita — di chi lavora in quest’ambito, ovvio — della propria attività.
Molto prima della Roc Nation di JAY-Z, molto prima che Dr. Dre diventasse l’uomo di affari che è oggi, tra quanti cominciarono a portare l’hip hop al “livello successivo”, almeno in termini di vendite e sviluppi commerciali paralleli, figura senza dubbio Master P, il fondatore della No Limit Records, rivale in un certo senso della Cash Money Records di Birdman, entrambe nate nel 1991 e a trazione South (la geografia dell’hip hop è un elemento imprenscindibile). Il canale televisivo BET ha dedicato alla No Limit Records una docuserie, in onda in questi giorni. Master P non ha avuto solo il merito di avere prodotto alcuni dei dischi con le copertine più brutte di sempre, ma anche quello di avere permesso che la musica hip hop si elevasse ad un pubblico più ampio. Ha avuto tra le sue file gente come Mystikal, Silkk the Shocker, Mia X e C-Murder. La No Limit Records fu anche la casa di Snoop Dogg (tre album pubblicati con l’etichetta di Master P tra il 1998 e il 2000) quando quest’ultimo scappò dalla Death Row di Suge Knight. Comunque è storia, tranne che per quelle copertine orribili.
Forse non era chiaro, ma tutto questo era per consigliare l’iscrizione alla newsletter di Trapital, così da passare qualche minuto di relax sotto l’ombrellone. Ci avviciniamo a passi spediti alla pausa estiva, prossima settimana facciamo solo suggerimenti agostani, ok? Oh, ricordate di dire in giro che ci sono Off The Benches e Mookie!
A presto!