All’ultima cerimonia degli Oscar – i premi assegnati dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences – il titolo di miglior film documentario è andato a Summer Of Soul di Questlove. Il lavoro ripercorre i momenti salienti, in una ricostruzione che è anche storica, dell’Harlem Cultural Festival del 1969, evento che durò sei settimane d’estate. Ma a differenza di Woodstock dello stesso anno, poco e niente del festival di Harlem era arrivato ai giorni nostri, incluse le riprese che sono rimaste perlopiù inedite fino alla realizzazione del documentario, distribuito poi tra il 2021 e il 2022. Un pezzo della storia che stiamo per affrontare presenta dei contorni simili.
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Per una qualche ragione, la storia rimase a lungo dimenticata. Di certo non ha mai aiutato il fatto che, a differenza dell’Harlem Cultural Festival del 1969, di questo evento musicale esistano solo brevi riprese. Ma insomma, cinquant’anni fa, il 16 marzo del 1972, James Brown si esibì nella sezione giovanile del (già) controverso complesso carcerario di Rikers Island, a New York. E chi c’era all’epoca, ex detenuti o funzionari, ancora oggi giura che fu qualcosa di memorabile. La vicenda è tornata di dominio pubblico grazie al New York Times, che l’ha ricostruita partendo dall’intuizione di Gloria Bond, una dipendente del New York City Board of Correction.
Siccome alcune settimane prima era scoppiata una rivolta, oltretutto non una novità per Rikers Island, su più livelli si stava riflettendo su una serie di iniziative che potessero placare gli animi, almeno per un po’. Bond pensò che invitare James Brown, The Godfather Of Soul, potesse essere una buona idea, data l’attenzione che l’artista dedicava al tema delle droghe – su tutte l’eroina che ai tempi dilaniava la comunità afroamericana, anticipando l’epidemia di crack degli anni ‘80-’90 – e la sensibilità sempre manifestata nei confronti di chi era dietro le sbarre, circostanze, entrambe, che lo avevano interessato da più giovane. Brown acconsentì alla proposta di esibirsi in concerto nel penitenziario – per motivi di spazio stiamo riassumendo la vicenda al massimo, c’è da credere che per Bond arrivare a lui non fu una passeggiata all’inizio – e quello che ne derivò è ora un pezzo di storia di Rikers Island, uno dei pochi positivi, seppure tramandato e scarsamente documentato.
L’aspetto interessante è che, in quel 16 marzo 1972, Brown non si limitò a fare qualcosa di giusto per i detenuti a Rikers Island. Si presentò con 18 persone al seguito, tra coristi, musicisti e ballerini, più il comico Clay Tyson. Pretese, cioè, di allestire uno show in piena regola. Inoltre, secondo Anna Bond – giornalista e figlia di Gloria, la quale ha parlato con il NYT per conto della madre oggi 96enne – e non solo lei, Brown non venne pagato per lo spettacolo. Una storia dall’esito pecuniario diverso rispetto a quanto, con ogni probabilità, avvenne a Boston nell’aprile 1968, l’indomani dell’uccisione di Martin Luther King.
Ladies and Gentlemen
Fellow Americans
Lady Americans
This is James Brown
I wanna talk to you about one of our
Most deadly
Killers in the country today– James Brown, King Heroin, 1972
L’isola-penitenziario di Rikers può contenere oltre diecimila detenuti ed è abbastanza famigerata da renderla uno stato emotivo, chiaramente opprimente, un tropo utile agli artisti per descrivere determinate condizioni e conflitti interiori (ad esempio in Off To The Races di Lana Del Rey: Facing time again at Rikers Island / And I won’t get out).
In qualche misura, la storia della prigione, seppur problematica dalle origini, è legata a quella dell’incarcerazione di massa: di solito è dove vengono mandate persone che devono affrontare accuse penali (locali), che soffrono di disturbi mentali o che non possono permettersi la cauzione (o a cui è stata negata) e dunque sono in custodia cautelare, motivi che tutti insieme spiegano perché una parte consistente della popolazione carceraria di Rikers Island (l’85% secondo le stime di alcuni anni fa) è in attesa di giudizio. E in definitiva per gli stessi motivi, nel periodo dell’epidemia di crack, il numero complessivo di persone dentro era tanto più elevato di quanto lo sia oggi. Rikers ha sempre vissuto alti e bassi, in una scala in cui gli alti non sono mai davvero alti, ma i guai riguardano piuttosto la struttura – che facilita l’emersione di gruppi rivali e gli scontri tra i membri delle gang – e i metodi interni repressivi talvolta consentiti alle guardie carcerarie. «Circa il 93% della popolazione detenuta è di sesso maschile. Nella maggior parte dei casi sono afroamericani e latini provenienti da quartieri a basso reddito», riferiva il New York Times nel 2014. Nello stesso articolo si menzionavano gli sforzi dell’amministrazione di Rudy Giuliani che, con modalità non sempre encomiabili, era riuscita a ridurre la violenza nel carcere, tornata poi a salire con Michael Bloomberg sindaco.
(Too many)
Too many niggas in Rikers Island (Yeah)
Why must it be? (I said that there’s too many)
Too many niggas in Rikers Island (Set ‘em free)
Set ‘em free (You know that there’s too many)
Too many niggas in Rikers Island (Why must it be?)
Why must it be? (Too many locked up today)
Too many niggas in Rikers Island (Set ‘em free)
Set ‘em free– Raphael Saadiq, Rikers Island, 2019
I trend a Rikers Island non dicono tutto, spesso le dinamiche coinvolgono la condotta della polizia che a New York, come in altre città americane, può essere più o meno dura a seconda delle pratiche adottate in uno specifico momento (il programma stop and frisk è stato uno dei più frequenti negli anni post-11 settembre 2001, coinvolgendo soprattutto due amministrazioni municipali, quella di Giuliani e, appunto, quella di Bloomberg, quasi sempre con implicazioni di tipo razziale). Nel 2014, un articolo di Jennifer Gonnerman sul New Yorker portò alla luce la vicenda di Kalief Browder, un adolescente che passò tre anni, dal 2010 al 2013, a Rikers Island, senza processo e in isolamento per più di 17 mesi, dopo essere stato accusato di aver rubato uno zaino. Le accuse contro di lui furono in seguito respinte, ma Browder – vittima in carcere di numerosi episodi brutali che lo continuarono a tormentare anche una volta fuori di lì, rendendolo per sua stessa ammissione depresso e paranoico –, si suicidò nel 2015 a casa della madre, conclusione drammatica che stimolò un nuovo giro di appelli al cambiamento, tanto di Rikers quanto del sistema di giustizia penale. L’articolo del New Yorker suscitò l’interesse di JAY-Z, il quale volle conoscere il giovane. Nel 2017 è uscito il documentario in sei parti Time: The Kalief Browder Story, prodotto, tra gli altri, proprio da JAY-Z.
From day one it was theme music for peddlers
And bitches buying loosies, weaves tucked in a Doobie
Queens under their Doobies, here off of pay phones
I’m here til the jakes roll and I leave before they shoot me
They never leave from around us
Time took its place and they remembered Larry Davis and made a Kalief Browder
Pegs all on the back of my goose was how I grew
You rode then?, then you ride now, know how we do, like fuck it– Skyzoo, Doing Something, 2017
Il drammatico epilogo dell’esistenza terrena di Kalief Browder, semplicemente, scoperchiò il vaso di Pandora. Ma già in precedenza un’accurata analisi di Mother Jones, che collocava Rikers Island tra i peggiori complessi carcerari degli Stati Uniti, aveva documentato il modello «profondamente radicato» di violenza all’interno della struttura. Senza contare le condizioni igieniche e sanitarie del carcere altrettanto discutibili, una questione atavica dal momento che in principio – una delle tante: il complesso venne fondato nei primi anni ‘30 del secolo scorso – furono progettate celle prive di adeguata ventilazione, mentre problemi logistici di varia natura, in aggiunta ai ripetuti casi di violenza e abusi, hanno, di decennio in decennio, spronato cause giudiziarie e movimenti di opinione. Con Bill de Blasio sindaco si è tentato di porre rimedio almeno ai soprusi che costantemente sono avvenuti negli anni (e recentemente qualche timido progresso si era pure registrato), salvo poi sostenere, nel 2017, un piano per la chiusura del plesso da portare a compimento in dieci anni. Ecco, da allora, poco, quasi niente, è stato fatto sul serio. L’idea era di sostituire Rikers Island – che ricordiamo, negli anni ‘90, “ospitò” per un breve periodo Tupac Shakur, poi nei primi anni Duemila DMX e Foxy Brown (e nel 2011 persino Dominique Strauss-Kahn) – con una rete di carceri più piccole in giro per la città, ipotesi che a grandi linee non dispiace nemmeno al suo successore, l’attuale sindaco Eric Adams, il quale ha però sottolineato che un progetto di queste proporzioni manterrebbe in funzione Rikers ancora per un po’ (va infine ricordato che nel 2019 il consiglio cittadino votò a favore di un progetto che prospettava la sospensione della prigione anticipata al 2026). Su Rikers Island ha investito molto in promesse per migliorare la situazione, durante la sua campagna elettorale, anche il nuovo procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, il primo nero a ricoprire tale carica.
Cowering like cowards cowering in
Concrete showers in Rikers Island
Victims, we the wolves that’s wilding
We often smilin’ at sights of violence– Run The Jewels, Run the Jewels, 2013
Non è facile individuare una relazione di causa-effetto, ammesso che ci sia. Ad ogni modo New York sta vivendo un paradosso, che è quello di una crisi carceraria proprio mentre sta tentando di “decarcerare” in vista di un punto di svolta che porti alla chiusura del complesso. C’entra la pandemia? Un po’ sì, esacerbando i problemi di vecchia data (inclusa la carenza di personale), come del resto è avvenuto ovunque. E le difficoltà crescenti osservate negli ultimi due anni vanno di pari passo, non per forza in un rapporto causale, con il ritorno della violenza in città, o per meglio dire, con l’aumento dei crimini che dal 2020 interessano New York e altre metropoli statunitensi. Ancora: c’entra la pandemia? Di nuovo un po’ sì, quasi inevitabilmente, ma è difficile stabilirlo con sicurezza e in termini misurabili. Di norma, dinanzi alla criminalità in ascesa, concorrono diversi fattori. Infatti ancora oggi sono oggetto di indagini le ragioni, plausibili o meno, del perché e percome i reati e gli omicidi negli Stati Uniti crebbero così tanto tra i ‘70 e i ‘90, innescando contromisure sempre più aspre da parte delle istituzioni e provocando una serie di storture che poi sono state alla base del fenomeno dell’incarcerazione di massa, una piaga specialmente per le minoranze.
Resta il fatto che l’ultimo periodo ha conosciuto maggiori fortune. In generale il tasso di incarcerazione in America è sceso nel 2019 al livello più basso dal 1995, secondo dati del Bureau of Justice Statistics (BJS), con l’andamento che è proseguito al ribasso nel 2020. Ciononostante negli Stati Uniti è dove si continua a incarcerare una quota della popolazione superiore rispetto a qualsiasi altro paese di cui si possono consultare dati analoghi. Andare meglio non significa aver risolto il problema. È in questo senso che può essere interpretato l’annoso dibattito sul sistema di giustizia penale, con il coinvolgimento recente di personalità di spicco, da Meek Mill (si potrebbe azzardare che i suoi casi giudiziari abbiano fatto scuola) a Kanye West, passando per un intero movimento contro l’uso dei testi rap in ambito processuale – a conferma di diffuse azioni distorte – nel tentativo di provare la colpevolezza degli imputati, come accaduto a Drakeo The Ruler.
Quanto ai reati violenti di ritorno, dicevamo, non c’è mai un’unica giustificazione. Soprattutto si tratta di una condizione scarsamente uniforme. Nella stessa New York alcuni quartieri hanno registrato un deterioramento più di altri, tipo East Flatbush, dove il recupero dalla crisi pandemica appare abbastanza travagliato. «Dovremmo essere tutti d’accordo: la risposta non è “Defund the Police”. La risposta è finanziare la polizia con le risorse e la formazione di cui hanno bisogno per proteggere le nostre comunità. Chiedo allo stesso modo a Democratici e Repubblicani di approvare il mio budget e mantenere i nostri quartieri al sicuro»: la linea del presidente Joe Biden, confermata nel discorso al Congresso sullo Stato dell’Unione di inizio marzo, ha scontentato quella parte di sinistra più radicale e molti attivisti che avevano confidato in una profonda riforma della polizia. Quest’ultimo resterà un potenziale terreno di scontro nei prossimi mesi, molto più che le tragedie non sono finite con George Floyd.
Il 16 marzo del 1972, James Brown dedicò parecchio tempo ai detenuti di Rikers Island presenti allo show: «Guardatemi, guardate da dove vengo e dove sono arrivato. Non avrete successo se non state attenti a quello che fate, a come vi presentate al mondo». Di lì ne passeranno ancora molti. Alcuni non ne usciranno vivi, altri usciranno troppo provati dall’esperienza, nei casi più gravi morti dentro.
After the shower it’s, rush hour
So watch your back before you get sacked
These a bunch of maniacs that’s about to attack
If you’re a hustlin pro, keep a low profile’n
Cause you won’t be smilin on Riker’s Island– Kool G. Rap & DJ Polo, Riker’s Island, 1987
Altre cose interessanti
Finalmente abbiamo la data: il nuovo album di Kendrick Lamar, Mr. Morale & The Big Steppers, l’ultimo per la TDE, uscirà il 13 maggio. Intanto, ci si “accontenta” di Pusha T.
In tutta onestà, saremmo dovuti rientrare prima, o almeno queste erano le intenzioni. Ma va bene lo stesso, no? Domande? Suggerimenti? Potete rispondere alla mail, oppure scrivermi su Instagram o su Twitter. Se Mookie vi piace, mandate il link alle amiche e agli amici: più siamo, meglio è!
Ci leggiamo tra due venerdì, dovremmo riprendere il pieno ritmo. Speriamo.
State bene, a presto!