Poco più di un anno fa, mi recai all’Università La Sapienza di Roma per incontrare un professore di Lingue e letterature anglo-americane. Avevamo appuntamento per un’intervista che nelle mia testa doveva essere parte fondamentale di un un progetto più ampio. Inutile dire che il progetto non ha ancora visto luce, e sarò onesto: non so se mai la vedrà, ma non è questo il punto adesso.
Durante il nostro colloquio, incentrato tutto sulla black culture, il professore fu in grado di smontare una quantità incredibile di convinzioni che negli anni mi ero fatto su certi temi. O almeno, mettiamola così, mi invitò ad osservare alcune vicende con minore entusiasmo. Dopo un po’ — in realtà sto passando da un argomento all’altro senza alcuna logica — mi raccontò di quando nel 1987, ad Harvard, dove si trovava in quel periodo, durante un’importante conferenza in cui si faceva il punto della cultura afroamericana, ebbe la sensazione che i primi a non essere troppo convinti del fenomeno del rap erano proprio gli intellettuali. Girava già il motto rap is crap — direi parecchio abusato in seguito — e veniva da un gruppo molto rappresentativo di intellettuali afroamericani.
Ora il discorso potrebbe diventare assai complesso, perciò evito di annoiarvi. Mi limito a constatare che l’hip hop in generale si è evoluto in un modo evidentemente inatteso e per quanto in origine non avesse pretese “pop”, ha contribuito non poco a trasformare una cultura a tratti elitaria in cultura di massa, facendo conoscere dinamiche sociali e problemi (anche oltreoceano) con una freschezza di linguaggio non alla portata di altri, con altri mezzi. Ecco perché il rap di protesta, per chi ama il genere, è un bene prezioso al di là del profondo senso di ingiustizia che racconta. Sono serviti anni di esperienza, ma la sua crescita mette in risalto un grado di consapevolezza e maturità che ormai coinvolge l’intero movimento. Ne abbiamo parlato questa settimana e sì, c’entra ancora l’uccisione di George Floyd.
Link: https://bit.ly/3fiaJ46
Ah, giusto. Titolo e sottotitolo sono una specie di omaggio.
Consigli per gli acquisti (e non solo). They Can’t Kill Us Allè il librodi Wesley Lowery, giornalista CBS, che nel 2014 seguì le proteste di Ferguson per il Washington Post: tutto quello che c’è da sapere su Black Lives Matter è lì dentro.
Qui, invece, potete trovare una playlist tematica su Spotify, targata Off The Benches.
Consigli da leggere. Michele Boroni recensisce RTJ4 dei Run The Jewels per Rockol, senza ombra di dubbio il disco hip hop del momento.