Gli Stati Uniti si fondano su un principio. Quello di essere una terra dalle risorse illimitate, capace di attrarre talenti e manodopera, di sviluppare le potenzialità di ognuno in energia. Una terra di opportunità, appunto, verso un successo altrimenti negato e un senso di rivalsa nei riguardi di un vecchio mondo, quello europeo — pensate alle origini dell’America — , non in grado di soddisfare appieno i bisogni delle persone e di promuovere il saper fare.
È un mito che accompagna gli Stati Uniti da sempre, per quanto le fasi storiche abbiano poi plasmato di volta in volta, in un modo sempre diverso, l’assioma di fondo. E a un certo punto il mito ha contagiato inevitabilmente anche le minoranze, dapprima, per ovvie ragioni storiografiche, gli afroamericani. Un processo che si è avviato con grave ritardo affinché una black culture diventasse *davvero* popolare e di massa, ma già tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 i neri diedero un impulso culturale fondamentale all’America, coinvolgendo tutte le arti: quelle visive, la letteratura, la musica, il teatro. Un processo culminato negli anni Venti, con l’Harlem Renaissance.
Circa 50 anni più tardi — più o meno eh, non siate pignoli — il rap (ma è giusto dire l’universo hip hop) nasceva con le stesse premesse di autenticità, necessità di essere e ricerca di opportunità. Certamente una corsa a ostacoli, ma quell’atteggiamento smargiasso dei rapper che nel tempo tanto abbiamo imparato a emulare anche qui, noi vecchi tromboni europei, è un rinnovato modello del mito americano. E non sarebbe l’America — già so che state pensando alla newsletter della scorsa settimana, così vi anticipo — se al suo interno non ci fossero delle contraddizioni incredibili, fatte di povertà, esclusioni, ricorso alla violenza e all’illegalità quale unica via per giungere ad un effimero —e il più delle volte estemporaneo — successo.
Comunque del rap quale forma d’arte catalizzatrice del mito americano, parlavamo. L’hip hop è proprio questo. Rhada Blank ha messo su pellicola una versione alternativa di se stessa in The 40-Year-Old Version, film che da qualche giorno potete trovare su Netflix. È la storia di una drammaturga di New York, colta dalla più classica delle crisi esistenziali, che decide di reinventarsi artisticamente come rapper. Non che la strada sia spianata, specie a 40 anni, ma ci sa fare e il percorso intrapreso le permetterà quantomeno di ritrovare se stessa. L’hip hop nacque per miliardi di motivi, ma oggi ha dalla sua quella forza simbolica che lo rendono a tutti gli effetti un “prodotto” che più americano non si può. Poi si è evoluto, è sbarcato un po’ ovunque nel mondo, tutto vero, ma non è questo il punto. Il rap e l’hip hop sono andati di pari passo con le conquiste sociali che un’intera comunità da sempre ai margini è riuscita ad ottenere. Nel primo episodio del suo podcast in esclusiva per Spotify, Michelle Obama in compagnia del marito Barack, racconta delle difficoltà di quando era bambina, dei sacrifici della sua famiglia, dei problemi nel quartiere. Da adulta varcherà la soglia della Casa Bianca, per rendere l’idea una volta di più di quanto sia stato significativo per l’America avere avuto un presidente afroamericano, al di là dei meriti (o dei demeriti) politici che ognuno è libero di attribuire alla sua amministrazione secondo le proprie convinzioni.
Il rap, per concludere, che ormai è parte integrante della vita politica. Ricordate, un paio di newsletter fa, quando abbiamo raccontato di quanto sia difficile per molte persone votare negli Stati Uniti? La campagna Biden-Harris — grazie Alessio Samele per la segnalazione — ha stretto un’alleanza con la Ultimate Rap League, coinvolgendo due MC esperti delle battle rap (DNA e Charlie Clips) in un video che ha l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sull’importanza del voto. Potere alle parole.
Altre cose di cui si sta parlando
Restiamo per un momento sulla questione voto. Le elezioni si terranno ufficialmente il 3 novembre. Sarà quello il giorno in cui — si spera — sapremo il nome di chi, tra Trump e Biden, l’avrà spuntata. Ma in realtà in numerosi Stati americani si è già cominciato a votare, o per posta o attraverso la procedura dell’early voting, che sta registrando code ai seggi come mai era avvenuto in passato. In altri termini, per evitare il caos totale e possibili assembramenti, molte persone preferiscono mettersi in fila ordinata in questi giorni. I numeri dicono che oltre 15 milioni di americani hanno già votato. E forse, stavolta, qualcosa potrebbe cambiare persino in Georgia (riprendete la newsletter di due settimane fa, quella linkata in alto, se non ricordate la storia).
Negli ultimi giorni Ice Cube è stato preso di mira dai fan per avere collaborato al Platinum Plan — un programma di politiche a favore dell’America nera della campagna Trump — , così come annunciato via Twitter da Katrina Pierson, consulente per la rielezione del presidente. In realtà le cose sono andate in maniera leggermente diversa da come le ha raccontate l’abile Pierson.
Ice Cube, a luglio, ha invitato i candidati a firmare il suo “contratto con l’America nera”, un manifesto che comprende una serie di iniziative volte ad una migliore inclusione e migliori opportunità (riforma della polizia e del sistema carcerario in primis, ma anche un sostegno per l’accesso al credito e altre idee di questo tipo). L’ex NWA ha chiarito che entrambe le parti lo hanno contattato, ma se i Democratici gli hanno fatto sapere che si sarebbero occupati del “contratto” dopo le elezioni, la campagna Trump ha deciso di assorbire alcuni punti nel Platinum Plan. Da qui il casino.
Il guaio è che le spiegazioni di Cube non sembrano avere convinto attivisti e pensatori neri. Di fatto, sostengono, ha prestato il fianco a Trump, apparendo come una sorta di collaboratore della sua campagna.
Ice Cube è passato dall’essere un fervente oppositore di questa amministrazione (Arrest The President rappava nel suo ultimo album del 2018, Everythangs Corrupt) ad auspicare, negli ultimi tempi, un cambiamento indipendentemente dal partito politico o dal presidente.
I consigli del venerdì
Tante le uscite discografiche (T.I. e Serial Killers tra gli altri), ma il disco che DOVETE ascoltare già oggi è Streams of Thoughts, Vol. 3: Cane and Abel di Black Thought. Poi Anime, Trauma and Divorce di Open Mike Eagle.
Per la cronaca: mancano 18 giorni alle elezioni americane. Significa un altro paio di venerdì così. Facciamo tre (o forse più), perché c’è da considerare anche il post-voto. Ma tutto questo è nello spirito di Mookie e di Off The Benches, chi segue da tanto lo sa. Speriamo sia cosa gradita, come dicono quelli bravi.
Piuttosto: è il momento di consigliare la newsletter in giro, a maggior ragione adesso!
Grazie, vi si vuole bene.
Alla prossima settimana!