A un certo punto a Eazy-E capitò di passare un brutto quarto d’ora, lì a Compton. Da qualche giorno era cominciata a girare la voce che fosse un sostenitore repubblicano e in quegli anni, tra i fratelli, la cosa non era vista di buon occhio. Si era ancora in piena war on drugs, che penalizzava soprattutto i neri e gli ispanici. E poi, quelli, erano gli anni di Paris e Bush Killa. Lo stesso Eazy-E, poco tempo prima, aveva gridato Fuck The Police con gli altri N.W.A. in ogni angolo di America, insomma che ci azzeccava con i repubblicani? Nel marzo 1991 era successo che lui e il suo manager Jerry Heller avevano partecipato ad una cena dell’inner circle repubblicano a cui avrebbe partecipato il presidente George H. W. Bush, su invito del senatore Bob Dole (futuro candidato alla presidenza nel 1996) e pagando una cifra che si aggirava attorno ai 2.500 dollari (per due). È probabile che Eazy-E sia stato invitato per errore, andando qualcuno a pescare il suo nome dalla lista di una precedente donazione da diecimila dollari alla City of Hope di Los Angeles. Qualcun altro in seguito disse che era un grande fan di Bush. Vero o no, il danno era ormai fatto.
Per anni l’hip hop non si è più avvicinato così tanto alla Casa Bianca. Anche questo è un fatto. E quando è accaduto che la politica se ne sia interessata, era per condannarlo per qualche parolina poco educata. Tutto è cambiato nel 2008 con l’elezione di Barack Obama. Wale è stato il primo rapper ad esibirsi per un discorso sullo stato dell’Unione, l’ultimo di Obama presidente. Common, Kendrick Lamar — specialmente Kendrick Lamar, con tanto di video celebrativo dell’evento –, Snoop Dogg: tutti ospiti alla Casa Bianca. Con JAY Z e Beyoncé praticamente amici di famiglia. Obama stesso si è improvvisato rapper in qualche simpatica occasione. La First Lady, Michelle, ha promosso un album hip hop a sostegno della sua campagna contro l’obesità. Poi, certo, qualche eccezione non manca. Lupe Fiasco ammise di non avere votato per lui. Nel 2008 Chuck D e Professor Griff — due dei Public Enemy — manifestarono idee discordanti: per il primo Obama era l’uomo giusto al momento giusto, il secondo sostenne invece il Partito dei Verdi e Cynthia McKinney. A Kanye West il presidente non è mai andato troppo a genio. Ma al netto di poche voci fuori dal coro, la campagna democratica, soprattutto all’inizio, poté così contare su una serie di spot, inni, remix di precedenti successi e brani che esaltavano il nuovo inquilino della White House. Obama è stato il primo presidente nero della storia, ma era stato soprattutto il primo candidato afroamericano alla Casa Bianca della storia: per l’hip hop un’occasione ghiotta.
Nel 2016 arrivò il momento di Donald Trump e che la musica sarebbe cambiata fu evidente da subito. Già prima dell’elezione, YG e Nipsey Hussle (rip) lo avevano caldamente spronato — CENSORED VERSION — a farsi un giro, mentre Common (Black America Again) e gli A Tribe Called Quest (We Got It from Here… Thank You 4 Your Service) pubblicavano dischi che avevano tutta l’intenzione di spiegare al prossimo presidente degli Stati Uniti in che direzione stessero andando, realmente, gli Stati Uniti. Kanye West a parte, l’hip hop era tornato ad essere, almeno in superficie, quella cosa di cui parlare (male) se può tornare comodo. Come quando l’allora portavoce della campagna Trump, Katrina Pierson (sì, quella del recente casino con Ice Cube), asserì che le facili battute sull’universo femminile del *tycoon* sono paragonabili agli insulti che le donne ogni giorno ascoltano alla radio con il rap. Big K.R.I.T., ospite qualche giorno dopo a The Breakfast Club su Power 105.1, marcò la sottile linea che continua a separare arte e politica in questo modo: «Io non sto correndo per la presidenza. E un presidente non è un rapper».
Obama permettendo.
Altre cose di cui si sta parlando
Nell’ultimo episodio del suo podcast in esclusiva per Spotify, Jemele Hill esordisce ammettendo un errore, quello di avere sostenuto la settimana precedente che l’election day sarà il 3 novembre. In realtà, rettifica, si tratta di un’intera stagione elettorale: oltre 40 milioni di americani hanno già votato, un record incredibile (c’entra sicuramente anche la pandemia) che potrebbe avere un qualche effetto, poi vedremo di che tipo, sul risultato finale. L’ospite di Jemele Hill questa settimana è Chuck D, il quale notando nel corso dell’intervista quanta gente si sia surriscaldata per il caso di Ice Cube (suo “fratello” Ice Cube, precisiamo), ha invitato le persone a esercitare quella rabbia attraverso il voto.
Stavolta è finito 50 Cent al centro dell’attenzione di tutti. In un post su Instagram critica la proposta di tassazione per le fasce di popolazione più ricche di Joe Biden (non capendola davvero, tant’è che il post è stato sottoposto a fact-checking), concludendo che allora è meglio votare Trump e chi se ne frega se al presidente non piacciono i neri. Poteva sembrare una “trollata”, tipica peraltro del personaggio e dell’uso che fa dei social, perché in un post successivo (ma l’ordine è inverso su Twitter) ricorda di essere in bancarotta, chiedendo se qualcuno può concedergli un prestito. In un terzo post infine scrive: «Non voglio essere 20 Cent» (divertente, però, dai).
Potete immaginare le strumentalizzazioni, tra gli isterismi di chi è anti-Trump e gli urrah urrah! di chi invece lo sostiene. 50 Cent non è mai stato un democratico dichiarato e più volte in passato — Mookie lo ha ricordato in diverse occasioni — ha simpatizzato con il presidente George W. Bush. Durante la campagna del 2016, dapprima pubblicò su Instagram una sua foto con Trump (radici nel Queens per entrambi) e a poche settimane dal voto, sullo stesso social, postò una preghiera: «Lord please don’t let Trump into office». Entrambi i post vennero poi rimossi, ma ci siamo capiti. Il ragazzo è così, gli si vuole bene comunque.
I consigli del venerdì
Mercoledì è uscito il nuovo disco di Caleb Giles, Meditations. Promessa: quando sarà concluso il periodo elettorale parleremo di questo ragazzo del Bronx, è da un po’ che ci si pensa. L’altro consiglio di oggi, invece, è molto r’n’b. Si tratta di Truth EP.2, ultimo progetto di IYAMAH. E poi ELEMENTS Vol. 1 di ToBi.
Meno 11 al voto. Ci siamo quasi. Qui non vediamo l’ora, lo attendiamo un po’ come i patiti di pallone attendono il mondiale di calcio (ammettiamo la malattia, naturalmente). Voi sapete già cosa fare, quindi è inutile starlo a ripetere.
Grazie di esistere e alla prossima settimana!